Il 23 dicembre 1943 questo giornale annunciava che in Vaticano non si sarebbe celebrata la messa di Natale, che era stata anticipata alle ore 17.00 del 24 dicembre. L’annullamento della celebrazione proveniva da un ordine esplicito di Pio xii il quale, stando a una testimonianza resa da monsignor Traglia ad Andrea Riccardi, sarebbe poi tornato sui suoi passi con un “contrordine” rivelatosi tuttavia non eseguito per i limiti di comunicazione nella “Roma nazista”.
Non essendoci documenti sulle ragioni di questa energica decisione, e poi della sua revoca, la principale ipotesi è che Pio xii intendesse protestare contro l’irruzione dei tedeschi nel Pontificio Seminario Lombardo, il 21 e 22 dicembre 1943. È tuttavia possibile armonizzare questa ipotesi con altre circostanze.
La violenza della guerra, nella seconda metà del 1943, aveva colpito anche Roma e la Città del Vaticano. I due bombardamenti della capitale del 19 luglio e 13 agosto, intervallati dalla caduta di Mussolini, l’armistizio dell’8 settembre, la fuga del Re e l’invasione tedesca della penisola, la razzia degli ebrei romani del 16 ottobre e il bombardamento sul Vaticano di metà novembre sono manifestazioni piuttosto chiare di una situazione tragica e inedita per la Santa Sede. Iniziava quel «lungo inverno» che Andrea Riccardi ha ben documentato.
Il 24 dicembre 1943, Pio xii fece il punto della situazione insieme al Collegio cardinalizio e alla Curia romana. «Non pochi tra i più poveri — disse il Papa ai suoi prelati — hanno visto il loro focolare distrutto da attacchi aerei. Un Santuario, caro al cuore e della Roma cristiana e vero gioiello di una venerabile antichità, fu colpito e ricevette ferite difficilmente sanabili». Il riferimento era alla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, sulla quale si era abbattuto il feroce attacco dei bombardieri alleati.
Vi erano poi i turbamenti causati dalla guerra in campo economico. La crisi vedeva crescere i bisogni e l’indigenza della popolazione romana. A maggior ragione Pio xii raccomandava calma e moderazione, chiedendo ai romani di non ricorrere a gesti inconsulti, peraltro suscettibili di rappresaglie da pare dei tedeschi. Mantenere calma e moderazione serviva anche a evitare che l’opera della Santa Sede corresse il pericolo, «per false o mal fondate interpretazioni, di venir travolta ed esposta ai colpi del fuoco incrociato dei contrasti politici».
Un senso di afflizione dominava quindi l’animo del pontefice in quel Natale del 1943. La guerra era diventata, dicevamo, violenta in ogni sua manifestazione. Il Papa anticipò ai cardinali che nel consueto radiomessaggio natalizio avrebbe rivolto non solo «una nuova e calda esortazione a coloro, dalla cui penetrazione e rettitudine dipenderà essenzialmente il raggiungimento di una vera e giusta pace» ma altresì parole volte ad «attirare l’attenzione del mondo sulla penuria che tormenta tanti Paesi della terra». Da ogni angolo della guerra mondiale le voci dei poveri si erano infatti moltiplicate, e poco il Papa sentiva di poter fare, tanto era il divario tra i bisogni e «la penosa ristrettezza dei Nostri mezzi, che le barriere economiche del tempo di guerra rendono ognor più esigui».
Nel suo discorso ai prelati Pio xii tornò anche sul recente bombardamento del territorio vaticano da parte di un aereo di livrea ignota. Era stato un attacco «tanto deliberatamente preparato, quanto poco onorevolmente ed efficacemente coperto sotto il velo dell’anonimo volatore». Queste parole furono così commentate dal ministro britannico Osborne, in un dispaccio al suo governo: «Non ho ancora sentito alcun commento da fonti autorevoli sull’affermazione del Papa secondo cui l’anonimità dell’oltraggio fu nascosta senza successo; può darsi tuttavia che il Vaticano ora possegga prove secondo cui, come comunemente si crede, l’attacco fu condotto dai fascisti con la prospettiva di indurre la Santa Sede a premere per la neutralizzazione di Roma».
Come sappiamo, del bombardamento sul Vaticano non si era trovato un colpevole. I documenti registrano auto-discolpe a raffica tra i Paesi belligeranti, i quali tuttavia dopo il triste episodio avevano fatto a gara per impartire ordini perentori di non colpire la Città del Vaticano; ordini che suonavano excusationes non petitae, dato che tutti erano sospettabili di avere avere un «anonimo volatore» nelle loro fila.
Il fatto è che Pio xii mal giudicava l’incrudelirsi della lotta sugli opposti fronti. Il 1943 aveva visto troppe tragedie, cui si erano aggiunte le voci su una nuova “cattività avignonese” del Papa, progettata da Hitler; e l’«ira funesta» di costui, che riteneva il Papa il vero responsabile della caduta di Mussolini, il 25 luglio.
Tutti questi elementi suggeriscono che per Pacelli una giusta condotta della guerra fosse affare di entrambi i fronti, e questo ci riporta al suo radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1943. In esso, il Papa si rivolgeva a entrambi gli schieramenti con accenti severi che ricordavano gli errori commessi a Versailles. «I vostri scopi di guerra nella coscienza della vostra forza possono ben aver abbracciato interi paesi e continenti. La questione circa la colpa della presente guerra e la richiesta di riparazioni possono pure indurvi ad alzare la vostra voce. Oggi però le devastazioni, che il conflitto mondiale ha prodotte in tutti i campi della vita, materiali e spirituali, arrivano già a così incomparabili gravezza ed estensione, e il temuto pericolo che con la continuazione della guerra esse crescano in orrori senza nome per ambedue le parti belligeranti (...). Sollevatevi sopra voi stessi, sopra ogni strettezza di giudizio e di calcolo, sopra ogni vanto di superiorità militare, sopra ogni affermazione unilaterale di diritto e di giustizia. Riconoscete anche le verità sgradevoli ed educate i vostri popoli a guardarle in faccia con serietà e fortezza». Infatti, proseguiva il Papa, «vera pace non è il risultato, per così dire, aritmetico di una proporzione di forze, ma, nel suo ultimo e più profondo significato, un'azione morale e giuridica». Tale pace non si poteva tuttavia ottenere «senza impiego di forza», e aveva bisogno di poggiare «sopra una normale misura di potenza». Trattavasi, infatti, di una forza che avrebbe dovuto servire a protezione e a difesa del diritto, per potersi dire moralmente retta. Era dunque una chiamata della comunità internazionale alle proprie responsabilità.
Il 27 dicembre 1943 il ministro britannico in Vaticano, Osborne, telegrafò una versione inglese del radiomessaggio, rilasciatagli dalla Segreteria di Stato. «Come al solito — scriveva Osborne — la traduzione lascia molto a desiderare. È un peccato che il Vaticano non disponga dei servigi di un traduttore inglese le cui doti letterarie siano più adeguate al compito». Ci si deve però anche chiedere come mai, nell’emergenza di quel tragico inverno del 1943, Osborne non fosse in grado di colmare il lamentato deficit servendosi di collaboratori in grado di tradurre i messaggi papali direttamente dall’originale.
Le parole di Pio xii, pronunciate alla radio il 24 dicembre, si connettono alle notizie provenienti dall’Italia, che erano state raccolte dai servizi segreti alleati e diffuse da Radio Bari. «Sessantamila ebrei sono stati arrestati e le loro intere proprietà confiscate dalle autorità tedesche di occupazione — leggiamo in uno di questi dispacci —. Si dice che il Papa abbia protestato personalmente contro queste misure presso l’inviato tedesco in Vaticano. Barone von Weizsäcker».
Nel magma incandescente della tragedia bellica, Pio xii scelse dunque di non celebrare e di non far celebrare la Messa di Natale. Il suo successivo ripensamento, riferito da monsignor Traglia ad Andrea Riccardi, ha molto di umano, anche se si considera l’episodio del bombardamento sul Vaticano. Quell’incidente poteva ritenersi privo di ulteriori conseguenze? O i belligeranti, fossero dell’Asse o Alleati, si sarebbero ripetuti in ossequio ai loro opposti scopi di guerra?
Le preoccupazioni del Papa e la severità del suo giudizio si leggono meglio se pensiamo che Roma non era mai stata “città aperta” nel vero senso del termine (interessanti sul punto le considerazioni di Umberto Gentiloni Silveri). Ciò spiega le preoccupazioni di Pio xii e la sua personale protesta; ma evidenzia anche il suo senso di alta responsabilità in un inverno ancora lungo da passare.
di Matteo Luigi Napolitano