Con il cardinale Eduardo Francisco Pironio — che viene beatificato oggi a Luján, in Argentina, nel corso di una celebrazione presieduta, a nome del Papa, dal cardinale Fernando Vérgez Alzaga — ho avuto un lungo e intenso rapporto dal 1976 fino alla sua morte, nel 1998. Della sua persona ho potuto ammirare le profonde radici e le ampie ali. Nutriva ed elevava; ha aiutato a sognare e a impegnarsi. Anche per me è stato un vero padre, fratello e amico. E, allo stesso tempo, un maestro spirituale nel quale erano operanti i sette doni dello Spirito Santo.
Ho apprezzato e ammiro tuttora molto la sua saggezza, i suoi consigli, la sua forza e la sua pietà. Non per nulla egli si considerava formato dallo Spirito e da Maria. Per questo era divenuto un faro luminoso e una guida coraggiosa per attraversare le oscure radure della fine del secolo e per annunciare l’alba di una nuova vita per il terzo millennio.
Il mio incontro con lui non è stato un incontro casuale. Avevo sentito parlare molto del presidente del Celam e avevo anche letto i suoi scritti pastorali e le sue riflessioni per i religiosi. Lo invitammo a partecipare alle Settimane nazionali organizzate dall’Istituto teologico della vita di Madrid. Il primo invito è stato nel 1975, ma Pironio non ha potuto accettare a causa di impegni in America.
Ci accordammo per incontrarci l’anno successivo. Era già pro-prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Accettò e si recò a Madrid. Fu allora che ebbi la gioia di incontrarlo. Pochi giorni dopo fu creato cardinale e nominato prefetto. Ricordo questo primo incontro, come i molti altri che abbiamo avuto, con cuore grato.
Quando penso alla figura del nuovo beato, mi viene spontaneo pensare ad un uomo di fede, sensibile, accogliente, umile, contemplativo, disponibile e fedele. In tutto e per tutto ringraziava. Era sempre pronto ad ascoltare e a servire. Un buon pastore.
Il nuovo beato era ed è un dono dello Spirito alla sua Chiesa. Con il tempo la sua immagine crescerà in statura; apprezzeremo meglio il valore della sua presenza. La sua figura continua a risplendere di luce e a infondere fiducia in noi che siamo in pellegrinaggio in questo mondo travagliato e pieno di ostilità. Era ed è tuttora ammirato e amato da tutti i membri della Chiesa: vescovi, sacerdoti, laici e consacrati. Chi non gli era amico?
Tutte le vocazioni del popolo di Dio — nei loro diversi carismi e ministeri — cantano alla sua beatificazione il Te Deum laudamus e ripetono il Magnificat. Con la liturgia dei santi pastori, proclamano con gioia: «Era pastore e forma del gregge, luce per i ciechi, bastone dei poveri, padre comune, presenza provvidente, tutto a tutti». Egli portava impressa nella sua anima l’immagine del buon Pastore. Sempre con uno sguardo contemplativo e compassionevole (cfr. Mt 9, 36).
Sì, tutta la Chiesa ringrazia e canta inni di lode, non solo per le cose che ha fatto per i suoi membri e per tutti gli uomini, ma per essere stato un testimone fedele di Gesù Cristo e della sua Parola, per il suo amore per la Chiesa, per il suo amore per il Papa, per il suo amore per i poveri e gli svantaggiati e, in modo particolare, per l’amore che esprimeva per coloro che non lo capivano e lo facevano soffrire.
Era veramente un uomo di Dio, un vero amico di Gesù, un fervente figlio di Maria, Madre della Chiesa! Ha incarnato le beatitudini (5) e ne ha fatto il suo programma di vita.
Le generazioni post-conciliari, e ancor più quelle successive, guarderanno al nuovo beato come guida, modello e protettore del rinnovamento ecclesiale. È stato un padre conciliare e un promotore di profondi cambiamenti nella visione, nella comprensione e nel modo di svolgere la missione del popolo di Dio.
Il suo spirito profetico è riconosciuto in tutti i continenti. Era un profeta in tempi difficili per tempi nuovi. Conosceva le crisi, le notti buie dei contrasti intra-ecclesiali e sociali, e ha annunciato la vita nuova offerta dalla Pasqua di Gesù.
Ha assaggiato la croce per la sua profonda fede nella risurrezione. Il mistero della Pasqua si è annidato nel suo cuore e a partire da esso ha proclamato e invitato alla fedeltà, alla gioia e alla speranza. Dalla sua esperienza di Cristo risorto egli auspicava germogli verdi, segni di vita nuova, per la Chiesa.
È stato e continua ad essere l’araldo dello Spirito, l’uomo della parola e della manifestazione della presenza misericordiosa di Dio in mezzo al suo popolo. In lui si può vedere l’eco delle parole di Isaia: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, per guarire chi ha il cuore spezzato...» (61, 1).
Chiesa che adora, contempla e serve. Questo è stato uno dei riferimenti più fecondi della sua vita personale e ministeriale. Nell’immediato periodo post-conciliare ha sottolineato la comprensione della Chiesa come mistero, comunione e missione. Una Chiesa che adora e contempla la Trinità, che nasce dalla Pasqua di Gesù e che si impegna per la sua missione e per la sua causa: il Regno di Dio.
Il riferimento alla Chiesa come «mistero, comunione e missione» è articolato nelle grandi esortazioni apostoliche post-sinodali: Christifideles laici, Pastores dabo vobis, Vita Consecrata e Pastores gregis.
La sinodalità era nella sua mente, nel suo cuore, nella sua parola, nei suoi piedi e nelle sue mani. E forse questo è stato il suo miglior contributo alla vita consacrata, che ha tanto amato e per la quale ha offerto la sua esistenza: averla aperta, dalla presidenza del Pontificio Consiglio per i laici, alla correlazione e alla collaborazione con gli altri membri della Chiesa, con la Sede apostolica, con i vescovi, i sacerdoti e i laici.
Come per istinto, egli cercava armonia, cercava di costruire insieme un mondo migliore. In breve, egli voleva che la Chiesa fosse luce dei popoli, speranza dei popoli.
Da lui ho imparato ad amare la Chiesa e a lavorare per la comunione e la missione di tutti i suoi membri e per la pace tra tutti i popoli. Abbiamo pregato insieme, abbiamo riflettuto insieme, abbiamo fatto discernimento insieme, ma sempre con risonanze universali, cattoliche, apostoliche e solidali. È stato impressionante pregare con lui e la sua visione del futuro è stata sorprendente e aperta alla speranza, nonostante le battute d’arresto.
Ho avuto la fortuna di collaborare con lui in incontri, settimane di lavoro e congressi in Messico, a Roma e a Madrid. Si è sempre considerato l’ultimo, il servitore di tutti. La sua semplicità e la sua umiltà incutevano quasi timore.
Noi religiosi gli saremo sempre grati per tutto quello che ha fatto per la vita consacrata. Non dimenticheremo che durante il suo periodo come prefetto della congregazione, tra le altre cose, furono pubblicati questi grandi documenti: Mutuae relationes, La promozione religiosa e umana e La dimensione contemplativa della vita religiosa.
Maria, la Madre di Gesù, nella sua vita personale e nel suo ministero, è stata la Madre della Chiesa. E, in modo particolare, è stata sua Madre. Maria è la Vergine fedele, quella dai piedi scalzi, e la Madre dei poveri. Amava parlare di Maria soprattutto legando la Sua figura all’Annunciazione, alla Visitazione e a Pasqua. La teneva ai piedi della croce. Parlava di lei come della donna semplice e disponibile, riconoscente (Magnificat) e serva (Cana).
Egli continuerà ad essere invocato da tutti coloro che cercano il volto di Dio in Maria e vogliono fare della propria vita un sacrificio di lode. La profondità e la densità della sua vita spirituale e apostolica hanno sbalordito tutti coloro che lo hanno conosciuto e sono entrati in contatto con lui. Abbiamo ora qualcuno a cui rivolgerci come intercessore; abbiamo un modello da seguire nella vita evangelica per mano di Maria.
Per chi vuole conoscere la vita del nuovo beato sarà importante leggere i suoi scritti. Essi nascono da una profonda vita teologica, dalla sua esperienza del rapporto con la Trinità, con Maria e con il popolo di Dio.
Beato Eduardo, intercedi per noi!
di Aquilino Bocos Merino
Cardinale dei Missionari figli del Cuore immacolato di Maria (Clarettiani)