Il magistero

 Il magistero  QUO-286
14 dicembre 2023

Sabato 9

Prezioso
servizio sociale per la pace

Il progresso scientifico, in cento anni, ha trasformato la vita dell’umanità, segnando in modo speciale, il mondo del “volo”, con una straordinaria evoluzione di mezzi e metodi; un progresso che ha comportato anche problemi e insidie.

Da velivoli molto poveri, pilotati con fatica e difficoltà, si è arrivati a sofisticati sistemi di ingegneria aerospaziale che consentono di varcare i cieli, raggiungendo persino luoghi nello spazio extraterrestre.

La ricerca, l’innovazione, le nuove tecnologie non devono mai essere subordinate a interessi di potere o usi lesivi, ma sempre vanno indirizzate al bene dell’uomo.

Il vostro è e rimarrà un prezioso servizio alla pace.

Se all’inizio la presenza dei militari si rendeva necessaria soprattutto nel tragico tempo della guerra, oggi le donne e gli uomini dell’Aeronautica intervengono in molti contesti.

Penso alla sicurezza del volo e al soccorso, per i quali voi assicurate la disponibilità 24 ore su 24; alla cooperazione con Organismi Internazionali per le missioni umanitarie; alla gestione di disastri naturali anche a favore di Paesi meno attrezzati e popolazioni più disagiate.

Penso anche al vostro contributo nelle emergenze sanitarie, come la pandemia da covid-19, che vi ha visti mantenere operativi gli ospedali, sostenere la campagna vaccinale e garantire il trasporto di malati.

L’ultima prospettiva è quella umana. Voi difendete, accogliete, soccorrete e servite le persone.

Inoltre svolgete attività di formazione, offrendo insieme alla competenza specializzata, trasmessa nelle vostre scuole, l’eredità di un patrimonio culturale e valoriale, che vi consente di mantenere la vostra identità di servitori dello Stato.

Infine, siete uomini e donne connotati da grande passione, impegno, coraggio e motivazione; pronti a pagare il loro tributo di fatica e, a volte, di vita, come fu per i tredici militari uccisi a Kindu, in Congo, durante un trasporto sotto egida dell’ONU.

In questo tempo, in cui l’umanità è tormentata da terribili conflitti, la custodia di tale ricchezza umana rappresenta la migliore garanzia del fatto che il vostro impegno è sempre indirizzato a difesa della vita, della giustizia e della pace.

(A una delegazione dell’Aeronautica militare italiana, nel centenario dell’istituzione)

Con il presepe
a piazza San
Pietro vicino
ai bambini
di Terra Santa

Saluto la delegazione di Rieti, nel cui territorio sono state realizzate le rappresentazioni della Natività, e quella del comune di Macra, in provincia di Cuneo, da cui, proviene l’albero di Natale.

Il presepe allestito in Piazza San Pietro si propone di rievocare, dopo ottocento anni, il clima dell’anno 1223 nella Valle Reatina, dove San Francesco sostò.

Nella sua mente era ancora vivo il viaggio fatto in Terra Santa e le grotte di Greccio gli ricordavano Betlemme. Chiese di rappresentare in quel piccolo borgo la scena del Natale: giunsero molti frati da varie parti e uomini e donne dai casolari della zona realizzando un presepe vivente.

Nasceva così la tradizione come lo intendiamo noi. Quest’anno, da Piazza San Pietro penseremo a Greccio, che a sua volta ci rimanda a Betlemme.

E non possiamo non pensare al dramma che stanno vivendo gli abitanti della Terra Santa, manifestando a questi nostri fratelli, specialmente ai bambini, la nostra vicinanza e il nostro sostegno spirituale. Sono questi che pagano il conto della guerra.

Davanti ad ogni presepe, anche a quelli realizzati nelle nostre case, riviviamo ciò che è avvenuto a Betlemme duemila anni fa; e questo dovrebbe risvegliare in noi la nostalgia del silenzio e della preghiera, nella vita quotidiana spesso tanto frenetica.

Silenzio, per poter ascoltare quello che Gesù ci dice da quella “cattedra” singolare che è la mangiatoia. Preghiera, per esprimere stupore riconoscente [e] tenerezza.

Nella Piazza, accanto al presepe, c’è l’albero... arricchito con stelle alpine coltivate in pianura, per tutelare quelle che crescono in alta montagna.

Questa scelta evidenzia l’importanza della cura per la casa comune: piccoli gesti essenziali nella conversione ecologica.

(Alle delegazioni che hanno donato il presepio
e l’albero di natale in piazza San Pietro)

Lunedì 11

Vigilare sulla corruzione

Voi appartenete a un organo vaticano istituito nove anni fa con il Motu Proprio Fidelis dispensator et prudens, con cui ho voluto riforme economiche, in continuità con l’opera di Benedetto xvi . Organo le cui funzioni sono definite nei successivi Statuti e ribadite nella Praedicate Evangelium.

L’Ufficio del Revisore Generale non dipende gerarchicamente da altri Enti. Questo però, lungi dal voler dire arbitrarietà, implica la responsabilità di un’azione sempre ben ponderata e ispirata al principio della carità.

A guidarvi sia sempre lo spirito della correzione fraterna, anche quando è necessario segnalare pratiche contabili e amministrative non conformi alle regole.

Amore e paternità, sempre, senza cedere alla tentazione di facili protagonismi.

È bene ricordare, in spirito sinodale, l’importanza della collaborazione con gli altri Dicasteri della Curia e in particolare con gli organismi economici, evitando “competizioni” che possono trasformarsi in rivalità a livello personale.

È importante promuovere l’applicazione delle migliori pratiche internazionali, per favorire l’equità e per essere allineati con il resto della Comunità internazionale, sempre che le norme non siano in contraddizione con gli insegnamenti della Chiesa.

Avete un notevole bagaglio professionale. In alcuni casi, si tratta di decenni di esperienza ad alto livello, vi ringrazio per aver deciso di mettere questo a servizio della Santa Sede.

So che al fine di mantenere elevati standard professionali investite molto nella formazione. Per voi è un vero obbligo morale essere aggiornati circa la continua evoluzione di numerose e complesse norme.

L’Ufficio è una tra le Autorità Anticorruzione, ai sensi della Convenzione di Mérida cui la Santa Sede ha aderito nel 2016.

Quanti lavorano presso Santa Sede e Vaticano lo fanno con fedeltà e onestà, ma la lusinga della corruzione è pericolosa.

Dedicate attenzione a questo, con un lavoro i cui frutti sono gestiti al tempo stesso con fermezza e misericordiosa discrezione perché, ferma restando l’esigenza di un’assoluta trasparenza, gli scandali servono più a riempire le pagine dei giornali che a correggere in profondità i comportamenti.

Aiutate i responsabili dell’amministrazione dei beni della Santa Sede a creare presidi che possano evitare, “a monte”, che l’insidia della corruzione si concretizzi.

So che alcuni di voi prestano servizio alla mensa della Caritas: fatelo con cuore aperto, con semplicità e gratuità, e trovate il tempo per parlare con queste persone... che hanno bisogno di amicizia, ma vengono lasciate sole. A volte un sorriso e una parola valgono più di un piatto di pasta.

(Discorso consegnato al personale dell’ufficio
del Revisore generale )

Legalità
e umanità

Vi accolgo, pochi giorni dopo la festa del vostro patrono, sant’Ambrogio: anche lui era stato prefetto, prima di essere chiamato a diventare pastore a Milano.

Voi fate da tramite fra Stato e territorio, mettendo costantemente in relazione l’insieme con le parti, il centro con le periferie, il bene comune con l’attenzione ai singoli.

Vi fate carico di diverse sfide, come la sicurezza e l’ordine pubblico, servizi a persone e comunità.

L’ordine pubblico [è] prioritario: richiede, in situazioni imprevedibili e di emergenza, di coniugare il rispetto della legge con l’attenzione all’umano.

Legalità e umanità insieme, per dare alle disposizioni la necessaria applicazione e al contempo accostarsi a chi sbaglia con il rispetto dovuto, conciliando tutela delle vittime ed equo trattamento dei colpevoli.

La vostra è una paternità istituzionale: esercitata con coscienza e dedizione, essa non risparmia sacrifici e notti insonni.

Sebbene non rientrino nelle vostre dirette competenze, le criticità ambientali sono purtroppo emergenze frequenti.

Ne siamo stati testimoni in questi ultimi tempi: pensiamo per citarne alcuni ai disastri in Emilia-Romagna, Toscana, Sicilia.

In quelle circostanze abbiamo avuto modo di ammirare, al di là di sterili polemiche, le migliori qualità del popolo italiano, che nelle difficoltà sa unirsi, congiungendo la solerzia delle istituzioni all’impegno dei cittadini.

Urge unire gli sforzi per tutelare, per tempo, la nostra casa comune.

Infine i flussi migratori, con la loro delicata gestione. Compito non facile, perché affida alla vostra cura persone ferite, vulnerabili, smarrite e reduci da traumi terribili.

Sono volti, non numeri: persone che non si possono semplicemente classificare, ma che occorrerebbe abbracciare; fratelli e sorelle che hanno bisogno di essere sottratti dai tentacoli delle organizzazioni criminali, capaci di speculare senza pietà sulle loro disgrazie.

Abbiamo saputo dei “lager” in alcuni Paesi del Nord Africa, dove quelli che vogliono venire in Europa sono trattati da schiavi, torturati, anche uccisi.

A voi l’arduo compito di organizzare un’accoglienza ordinata, basata sull’integrazione e sul costruttivo inserimento nel tessuto locale.

Non potete essere lasciati soli in questo compito di sostenerli nei loro bisogni e al tempo stesso di prestare ascolto alle apprensioni e alle tensioni che si possono generare nei residenti, come pure di intervenire quando si creino disordine e violenza.

I migranti vanno ricevuti, accompagnati, promossi e integrati. Se non c’è integrazione, c’è pericolo.

Questo mi fa pensare a un altro problema. I migranti aiutano quando si inseriscono bene. L’Italia è una terra dove mancano i figli, e vengono i migranti. A me preoccupa il problema della poca natalità qui.

Mi diceva uno dei miei segretari che andava per la piazza l’altro giorno: si è avvicinata una signora che aveva un carrello; lui va per accarezzare il bambino… era un cagnolino! I cagnolini al posto dei figli.

Grazie, perché vi adoperate per la pacifica convivenza nei territori dell’Italia, ricca di tradizioni e di valori che parlano di coesione, accoglienza, solidarietà.

(Udienza ai prefetti della Repubblica italiana )

Mercoledì 13

Precarietà e
disoccupazione sono una ferita
alla dignità
delle persone

Mi è venuta in mente un’immagine, quella di un grande cantiere — ce ne sono tanti a Roma — che rivela due aspetti contrastanti: da una parte quando non c’è chi vi lavora offre a chi guarda un senso di vuoto; dall’altra quando è attivo mostra la corsa febbrile di tante persone.

Vedo così il lavoro oggi: come un cantiere aperto, all’interno del quale, però, si respira, da una parte un senso di vuoto e dall’altra un sovraccarico di stress.

La parola “lavoro” purtroppo, ne evoca spesso la mancanza, e ciò rappresenta una grave ferita alla dignità di tante persone.

Ma la dignità è ferita anche quando il lavoro non è sufficientemente stabile e compromette progetti, come la creazione di una famiglia e il desiderio dei figli.

Questo “vuoto di lavoro” è come un terreno che frana sotto i piedi: non succede così, tra tirocini, stage, lavori saltuari e interinali?

Davanti a questo vuoto, tanti, spaesati e demotivati, rinunciano e vanno altrove, ma ciò provoca amarezza [e] costituisce una sconfitta, perché le risorse non mancano e vanno impiegate per realizzare sogni concreti.

Occorre soprattutto contrastare la percezione di vuoto che si insidia nel cuore di molti giovani, i quali vedono crescere l’impressione di non arrivare da nessuna parte ed ereditano da noi adulti un messaggio nocivo.

Contratti a termine, lavori brevi che impediscono di progettare la vita, bassi redditi e basse tutele sembrano i muri di un labirinto dal quale non trova via d’uscita.

Cari giovani, serve qualcuno che vi prenda per mano e vi aiuti a sconfiggere questa precarietà , tirandovi fuori dalle sabbie mobili dell’insicurezza!

Riflettete anche sull’opposto al senso di vuoto: la corsa febbrile presente oggi nel cantiere del lavoro, dove il tempo sembra non bastare mai e gli imperativi della produttività diventano sempre più esigenti.

Se prima parlavo di “lavoro che manca”, qua si tratta di “lavoro che schiaccia”: pressione costante, ritmi forzati, ansia, spazio relazionale sempre più sacrificato in nome del profitto a tutti i costi.

È il lavoro “mercificato”, che cresce nel nostro contesto, dominato da un mercato competitivo, sempre più accelerato.

Con alcune prospettive cupe in agguato: l’illegalità, via di fuga dalla responsabilità verso il lavoro in nero, che finisce per rendere la coscienza dello stesso colore; un lavoro disumanizzato, dove le moderne tecnologie, come l’intelligenza artificiale e la robotica, minacciano di sostituire l’uomo; la sempre più scandalosa e preoccupante mancanza di sicurezza, effetto della corsa a produrre di più a ogni costo.

Quante vittime ci sono ancora sul posto di lavoro! Vorrei invitarvi a non perdere la speranza, perché il lavoro conserva sempre una vocazione unica e insostituibile.

La speranza non è ottimismo che dipende dalle circostanze, ma fiducia che si ingenera attraverso la costruzione impegnata e partecipe del bene comune.

Il lavoro è protagonista di speranza, è la via maestra per sentirsi attivi nel bene in quanto servitori della comunità, perché occuparsi degli altri è il miglior modo per non preoccuparsi di cose inutili.

Torni il lavoro a essere un cantiere di speranza, di sogni!

Voi siete insieme per consolidare un progetto, il cui nome mi piace molto: “Il cantiere Generiamo lavoro”.

Generare è il verbo della vita ed è bello che il lavoro sia, prima che produttivo, generativo: non è un accessorio, ma una componente essenziale dell’esistenza; conferisce dignità e speranza.

Apprezzo, in particolare, la volontà di creare un tessuto stabile, connessioni durature: “Labordì” coinvolge la Chiesa, il mondo dell’istruzione, le istituzioni, il terzo settore, i sindacati, le associazioni, gli imprenditori e le aziende, che hanno bisogno di cogliere la ricchezza dei giovani.

È importante progettare insieme il lavoro, senza contrapposizioni ideologiche e isolamenti sterili: non la logica delle tifoserie, ma quella della collaborazione.

Questo approccio comune oggi è l’unico in grado di affrontare compiutamente le grandi questioni italiane: la crisi della natalità, la questione ambientale e il lavoro.

Questa giornata apra cantieri di speranza che permettano ai giovani di abbracciare la bellezza di un lavoro dignitoso.

(Messaggio alla ii edizione del “LaborDì:
un cantiere per generare lavoro” promosso dalle ACLI di Roma)

Aperti alla
Parola di Dio
e al servizio
degli altri

Concludiamo il ciclo dedicato allo zelo apostolico, in cui ci siamo lasciati ispirare dalla Parola di Dio per aiutare a coltivare la passione per l’annuncio del Vangelo. Questo riguarda ogni cristiano.

Il Vangelo riporta la parola decisiva di Gesù in aramaico, effatà, che significa “apriti”, ed è un invito rivolto ai discepoli di allora e di ogni tempo.

Anche noi, che abbiamo ricevuto l’effatà dello Spirito nel Battesimo, siamo chiamati ad aprirci.

“Apriti”, dice Gesù a ogni credente e alla sua Chiesa: perché il messaggio del Vangelo ha bisogno di te per essere testimoniato e annunciato!

Questo ci fa pensare anche all’atteggiamento di un cristiano: dev’essere aperto alla Parola di Dio e al servizio degli altri.

I cristiani chiusi finiscono male, sempre, perché non sono cristiani, sono ideologi della chiusura.

Un cristiano dev’essere aperto all’annuncio della Parola, all’accoglienza.

Anche alla fine dei Vangeli Gesù consegna il suo desiderio missionario: andate oltre, andate a pascere, andate a predicare.

Sentiamoci tutti chiamati, in quanto battezzati, a testimoniare e annunciare.

Chiediamo, come Chiesa, di attuare una conversione pastorale e missionaria.

Ognuno di noi faccia questa domanda a sé stesso: amo davvero il Signore, al punto da volerlo annunciare? Voglio diventare suo testimone o mi accontento di essere suo discepolo? Prendo a cuore le persone che incontro, le porto a Gesù nella preghiera? Desidero fare qualcosa perché la gioia del Vangelo, che ha trasformato la mia vita, renda più bella la vita loro?

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi )