Diario da Dubai

Attaccati ai tubi di scarico

 Attaccati ai tubi di scarico  QUO-281
07 dicembre 2023

Prima di entrare nella “Blu Zone”, il cuore di Expo City dedicato ai negoziati, i partecipanti alla cop28 di Dubai attraversano uno spazio nel quale sono installate tre cupole geodetiche all’interno delle quali si scorge una fitta nebbia. Si tratta dei “baccelli dell’inquinamento”, progettati dal Clean Air Fund e da Breathe Cities per riprodurre la qualità dell’aria di tre megalopoli come Londra, Pechino e Nuova Delhi. Entrando in questi spazi ci si spiega facilmente come mai nel mondo muoiano ogni anno 7 milioni di persone (più di quanti ne siano morti per il Covid) a causa dell’inquinamento dell’aria.

Anche Dubai questa mattina sembrava avvolta da una densa nuvola di smog. Probabilmente la migliore scenografia possibile per la pubblicazione del primo testo negoziale sul Global Stocktake, il bilancio programmato su quanto è stato fatto sino ad oggi dai paesi membri delle Nazioni Unite per rispettare lo storico accordo sul clima di Parigi.

I negoziati sono a metà strada e per ora i testi condivisi, più che raccontare delle soluzioni mostrano in tutta evidenza la difficoltà di raggiungerle. Un testo ancora dominato dal “non detto” sui temi davvero caldi dell’uscita dalle fonti fossili di energia e di una giusta finanza climatica che riporti in equilibrio il pianeta e le comunità che lo abitano.

Un “non detto” che però parla molto chiaro sull’impasse che caratterizza questa a cop , ma che aveva neutralizzato anche le 27 a cop precedenti. Le posizioni inconciliabili su gas e petrolio dividono in due le tribune dei negoziatori, che per la ventottesima volta sembrano orientate a rinunciare alla soluzione che la storia invoca con forza da oltre trent’anni.

Se i più abili politici del pianeta continueranno ad eludere il problema delle fonti fossili, il risultato migliore che si potrà sperare di raggiungere sarà una massiva azione sulle rinnovabili e un impegno, tutto da verificare, delle compagnie petrolifere ad adottare tecniche di cattura del carbonio per compensare, almeno la CO2 prodotta per l’estrazione di questi combustibili velenosi. Una goccia nel mare se solo si pensa all’impressionante incremento di emissioni che ogni anno generiamo.

Fino alla metà del ‘700 la CO2 in atmosfera è rimasta stabile per 6mila anni al di sotto delle 300 parti per milione. Con la rivoluzione industriale l’incremento di questo gas clima alterante ha cominciato a crescere esponenzialmente senza che nessuno se ne preoccupasse per anni. Quando gli effetti sul clima hanno cominciato a manifestarsi, la scienza ci ha informato che il livello massimo di CO2 non avrebbe mai dovuto superare le 350 ppm e che se avessimo superato le 400 ppm i cambiamenti climatici sarebbero diventati irreversibili perché avrebbero scatenato un effetto domino inarrestabile all’interno dello stesso ecosistema. Da alcuni anni ormai abbiamo superato questo limite, ma nonostante questo continuiamo ad aumentare ogni anno di più la CO2 immessa in atmosfera tanto che a maggio scorso abbiamo raggiunto il livello record di 421 parti per milione, come documenta la National Oceanic and Atmospheric Administrationamericana.

Le decisioni che si prenderanno quest’anno a Dubai non riguarderanno dunque solo l’economia del petrolio o delle rinnovabili, un mondo pulito o un mondo sporco. Riguardano la nostra stessa sopravvivenza! Perché se raggiungeremo le 450 ppm di CO2 in atmosfera quello che avremo messo a rischio sarà la nostra stessa sopravvivenza come specie.

La partita delle rinnovabili, come anche quella della cattura del carbonio, è decisiva per riportare in equilibrio il nostro ecosistema. Ma se non fermeremo le fonti fossili, queste soluzioni potranno solo rallentare la crescita delle emissioni e non certo ridurle. È come se camminassimo in auto con il tubo di scappamento dentro l’abitacolo. Per quanto si rallenti e si cerchi di limitare il gas emesso, questo continuerà a riempire la vettura finendo sempre per intossicare mortalmente i viaggiatori.

di Pierluigi Sassi