Presentati i progetti sociali della basilica di San Pietro in preparazione al Giubileo

“Rosari del mare”
e lavoro ai detenuti

 “Rosari del mare”  e lavoro ai detenuti  QUO-279
05 dicembre 2023

I “Rosari del mare” e “Seconda chance”: sono i due progetti più significativi compresi nelle “azioni di carattere sociale della basilica papale di San Pietro in preparazione al Giubileo”. A presentarli è stato il cardinale arciprete Mauro Gambetti, durante un incontro con i giornalisti svoltosi stamane, martedì 5 dicembre, nella Sala stampa della Santa Sede, attualmente in via dell’Ospedale.

La prima iniziativa, avviata nel settembre scorso in collaborazione con la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, impiega persone rifugiate nella produzione di corone mariane destinate ai pellegrini che giungono in Vaticano; la seconda, portata avanti con l’associazione che ha lo stesso nome del progetto, promuove il reinserimento dei detenuti nella società tramite attività lavorativa.

Illustrando le motivazioni generali delle attività, il cardinale Gambetti ha indicato tre parole-chiave per l’Anno giubilare: gratuità, giustizia, perdono. Proprio da esse — grazie anche alla collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia della Repubblica italiana e con le due associazioni coinvolte — nascono i progetti sociali promossi dalla basilica di San Pietro.

Riguardo alla gratuità, il porporato ha sottolineato che si vive in un mondo dove ciascuno «è un dono e tutto ciò che utilizziamo o di cui abbiamo il temporaneo possesso ha la sua origine nella gratuità». Ne deriva che «prima di pensare alla retribuzione da ricevere, occorre impegnarsi per restituire ciò che è stato ricevuto in dono (in prestito), mettendo a disposizione degli altri il “talento” e i “talenti”».

Quanto alla giustizia, Gambetti ha fatto notare che la terra «in cui viviamo è una terra buona, terra donata, ma non solo a me. A tutti». Per cui bisogna che «le diseguaglianze sociali, le sperequazioni, vengano quanto ridotte, dove non del tutto eliminate».

Infine, parlando del perdono, il porporato lo ha definito «il motore e il carburante della gratuità e della giustizia». Occorre «essere operatori di pace nel proprio ambiente, a partire da quello familiare» rispondendo «con mitezza alle parole offensive», con «gesti di riconciliazione dove vi è divisione» e facendo «del bene a chi si pone come nemico»: tutti atteggiamenti «che costruiscono la pace, distruggono il potenziale del male e lo trasformano in bene».

Entrando nello specifico, Gambetti ha poi annunciato che la sera del 9 dicembre, in occasione dell’accensione dell’albero e della benedizione del presepe in piazza San Pietro, la parrocchia di San Pietro organizzerà insieme al Dicastero per la Carità e con il supporto del Governatorato una cena con persone senza fissa dimora.

Inoltre, in vista del Giubileo, sono stati ampliati gli orari per la preghiera in basilica, aggiungendo l’appuntamento settimanale dell’adorazione eucaristica serale all’altare della Confessione ogni sabato alle 21.

Da parte sua Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha sottolineato che uno dei tre assi portanti del significato giubilare, quello della giustizia, consiste nel riconoscimento della dignità di tutte le persone, anche di quelle la cui libertà è limitata. In proposito ha chiarito come la necessità che l’esecuzione di una pena possa e debba «essere scontata in condizioni di sicurezza, senza che venga mai misconosciuta l’identità del condannato. Il rischio è quello di considerare i detenuti non come essere umani ma come “corpi” da consegnare nei luoghi del carcere, o da trattare come numeri, come cose».

Ha quindi preso la parola Flavia Filippi, fondatrice e presidente di “Seconda Chance”, associazione nata lo scorso anno per offrire opportunità di lavoro a carcerati, ex detenuti e loro familiari. Grazie alla collaborazione con il sodalizio, un ospite di Rebibbia Nuovo Complesso è già impiegato da alcuni mesi come elettricista presso la Fabbrica di San Pietro. E dopo recenti colloqui negli istituti romani di Rebibbia e di Regina Coeli, altre figure sono in corso di selezione.

La richiesta primaria, ha osservato la Filippi, è «trovare opportunità per i tanti ristretti che sono nella condizione giuridica adeguata per lavorare fuori, dove la carenza di manodopera è cronica in diversi settori, soprattutto nell’edilizia e nella ristorazione». Ma i reclusi scrivono anche per colmare la solitudine, «per una risposta o una visita, per domandare se possono contare su di noi».

L’intenzione di “Seconda Chance” è «di allargare, consolidare, ben strutturare sull’intero territorio nazionale questa piccolissima rete che, non contando su personale dedicato, non è potuta ancora uscire dall’artigianalità». Purtroppo, ha evidenziato Filippi, reperire contratti di lavoro è molto difficile. Per individuare un «imprenditore senza pregiudizi disposto a venire in carcere con noi per valutare manodopera, e disinteressato ai lunghi tempi burocratici che passano prima che il detenuto venga autorizzato a lavorare fuori».

Sempre in collaborazione con Seconda Chance, la Fabbrica di San Pietro ha aderito anche al progetto Mammagialla Sailin’, presso il Carcere di Viterbo, dove è allestita una sartoria, nella quale i detenuti utilizzano vele in disuso per produrre borsoni per circoli sportivi, enti pubblici e aziende. La Fabbrica ha perciò richiesto borse da proporre ai visitatori nei punti vendita della basilica Vaticana.

Successivamente, Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Fondazione “Casa dello spirito e delle arti”, ha aperto il suo intervento rievocando una visita compiuta a Lampedusa, dove aveva constatato che le barche su cui arrivano i migranti venivano distrutte e smaltite come “rifiuti speciali”. Da qui l’intuizione che quel legno potesse diventare «memoria della storia di quelle persone in fuga dalla guerra e dalla povertà». E nel 2021 ha chiesto al Governo italiano che il materiale delle imbarcazioni potesse essere riutilizzato. Da questo legno sono ricavati i “rosari del mare”, mentre con le chiglie vengono realizzate le croci da parte di persone detenute.

Il progetto si chiama “Metamorfosi” e prevede che le croci arrivino dal carcere insieme ai grani di legno: in un locale messo a disposizione dalla basilica di San Pietro vengono assemblati i rosari da due persone rifugiate. Con questa iniziativa, da una parte si cerca di far sì che tanti giovani, ricevendo la corona mariana, possano conoscere il dramma contemporaneo dei migranti; dall’altra, si offre un’occasione di lavoro in carcere, negli istituti penitenziari di Opera, Monza, Rebibbia e Secondigliano, dove ci sono le diverse liuterie e falegnamerie. Con il legno delle barche infatti vengono anche realizzati violini nel carcere milanese di Opera. A coordinare i laboratori dove vengono costruiti i rosari è Erjugen, uno dei primi liutai, che Mondadori ha incontrato tredici anni fa. Accompagnato nel suo percorso, «ora da uomo libero, con il suo cartellino con la scritta “insegnante”», organizza il lavoro delle persone detenute e presto sarà anche nella Fabbrica di San Pietro per collaborare insieme al «falegname Stefano, presenza costante insieme alle due donne rifugiate, Suzanne e Ana Maria». Una piccola parte del lavoro viene inoltre svolta da persone senza fissa dimora presso l’Opera Cardinal Ferrari di Milano. E il primo rosario prodotto è stato donato al Papa.