Breve cronaca del chiacchiericcio negli anni del pontificato di Francesco

La Chiesa sotto il tavolo

 La Chiesa sotto il tavolo  QUO-277
02 dicembre 2023

Nel giorno di san Francesco, il Santo Padre ha invitato la Chiesa a parlare alla luce del sole, a non bisbigliare “sotto il tavolo”. Il chiacchiericcio, ha detto, è l’«anti-Spirito santo». Per questo, ha contrapposto a chi intriga nell’ombra l’adunanza dei rappresentanti dell’episcopato, in apertura della xvi Assemblea generale del Sinodo dei vescovi, il 4 ottobre scorso. La storia di come la Chiesa sia finita “sotto il tavolo” merita di essere letta nell’originale, per l’accuratezza e l’intensità con cui è esposta dall’attuale Pontefice.

Durante l’Angelus dell’8 gennaio, Francesco aveva ribadito come il chiacchiericcio sottobanco carichi «un’arma letale» e «uccide la fratellanza». Forse nessun pontificato, in tutta la storia della Chiesa moderna, è entrato a tal punto nella storia del chiacchiericcio. È stato per me eloquente vedere come, anche prima che Francesco ne parlasse negli ultimi mesi in Vaticano, da tempo egli aveva aperto il campo a importanti considerazioni sul tema. A pochi giorni dall’insediamento al soglio pontificio, in una meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Francesco ne aveva colto appieno il significato: la “chiacchiera”, secondo il Papa, «è una vendita». Spiega: «La persona di cui chiacchieriamo [...] diventa una mercanzia» da contrabbando sul modello della transazione compiuta da Giuda il quale fa dell’amicizia con Cristo un mercato in cui l’apostolo suicida opera segretamente per trarne profitto (27 marzo 2013).

Si può guardare alle “dicerie” da diversi lati o considerarle per vari fini. Proviamo a riderne? Il chiacchierone è il personaggio immancabile nei migliori romanzi tragicomici. Se una di queste sceneggiature fosse ambientata in una chiesa, egli assumerebbe il tipico ruolo della “lingua lunga”. È colui al quale, per ricevere la comunione eucaristica, non serve avvicinarsi al tabernacolo dato che — stando a un racconto satirico narrato da un parroco al Papa — «con la lingua che ha» già dalla porta della chiesa «arriva all’altare». È «un carnevale per il diavolo» quando in una chiesa si «incontra quell’aria non d’incenso, ma di chiacchiericcio» (Omelia del Santo Padre, 21 maggio 2017). Sarà divertente ma fa sul serio. Il «chiacchiericcio è un “atto terroristico”» di distruzione disinvolta dell’altro. A soccorrerci viene la Madonna del Silenzio, figura altamente materna (21 ottobre 2017). Il chiacchiericcio è appunto «degli zitelloni», cioè è di chi rinuncia a farsi madre, a una “maternità” spirituale, come pure alla paternità (10 febbraio 2018). Torna sull’argomento e cambia angolazione: «Tu puoi avvicinarti a tuo padre non per fare una chiacchierata, ma soltanto per fargli sentire che è tuo padre». Usando il lessico delle patologie terminali della paternità, si può dire che il «chiacchiericcio è la lebbra» che può tenerti a distanza persino dal tuo “papà” se questo morbo lo colpisce (16 marzo 2018). Restando nel registro medico, sembra che «il termometro per sapere la temperatura del mio amore è la lingua» (30 aprile 2018).

Il «chiacchiericcio è un atteggiamento assassino, [...] fa fuori la “fama” della gente» (17 maggio 2018); le «chiacchiere sono guerre», distruggono l’unità; radono al suolo «quello che fa Dio» (6 giugno 2018). Nascono dalla “rivalità” che sorge in chi, «per diventare più alto dell’altro», lo «diminuisce [...] con il chiacchiericcio» (5 novembre 2018). Vi è qualcosa d’inumano («non è da uomo», 24 novembre 2018) e qualcosa di devoto nel contrastarlo giacché «non spettegolare custodisce il prossimo, custodisce Dio nel prossimo» (10 gennaio 2019). Gli argomenti prendono una piega apocalittica: «Distruggere l’altro con la lingua o con una bomba atomica, è lo stesso» (3 marzo 2019). Basta nulla a vivere un’esistenza incapace e non all’altezza del nostro potenziale. Del resto, con quanta facilità «ascoltiamo sempre» il chiacchierone, mentre la «voce del Signore, tante volte, rimane inascoltata» (28 marzo 2019). Si esorta a «lasciar cadere dalle nostre mani le pietre [...] del chiacchiericcio» (7 aprile 2019). Serve emanciparci dalla cultura della violenza non meno che da quella dello scarto, propria di coloro che “aggettivando” l’altro «buttano fuori, scartano, e vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose» (9 maggio 2019). Il chiacchiericcio è «accanimento sociale» quando nel prossimo si vede non un fratello ma un disturbo e una molestia di cui disfarsi (27 marzo 2020).

«Non è la prima volta che lo dico», ribadisce nel 2020: «Il chiacchiericcio» è «quella cosa che il diavolo mette in noi» (21 aprile 2020). Pochi giorni a seguire, invita a non abbassare la guardia: «Quello che non sappiamo — avverte ammonendo — è che c’è un piccolo linciaggio quotidiano che cerca di condannare la gente, [...] di scartarla» (28 aprile 2020). Lo ridice e sente persino di doversi giustificare, tale è l’insistenza con la quale denuncia questa disgrazia come mai nessun Papa aveva fatto prima: «Non è una mania che io ho parlare contro il chiacchiericcio». Francesco spiega le sue ragioni. La sua «è la denuncia di un male che entra» persino «nella Curia [...], trasforma ogni crisi in conflitto» (21 dicembre 2020). «Fuggire dal chiacchiericcio» è la raccomandazione (2 febbraio 2021). E questo è l’aforisma: «Il chiacchiericcio è un’abitudine dei gruppi chiusi» (7 giugno 2021). A metà tra il serio e il faceto, esclama: «C’è gente che sembra di essere laureata in chiacchiericcio» (3 novembre 2021).

Una frase in particolare non tanto mi impressiona perché è un colpo a effetto, quanto mi sgomenta per le conseguenze del mormorio che mette in evidenza: «Quando il chiacchiericcio cresce e cresce e cresce e ti toglie la buona fama di una persona, quell’uomo non potrà governare, perché ha perso la fama, non per il suo peccato» (6 dicembre 2021). Qui è messo a nudo il lato ridicolo delle chiacchiere che ambiscono a sostituirsi al peccato, come pure al senso di colpa e del perdono da cui la salvezza dipende essenzialmente. Nel 2021, egli porta l’attenzione su un volumetto del nunzio apostolico nigeriano monsignor Fortunatus Nwachukwu. Il libro è una riflessione sul chiacchiericcio alquanto profonda e non meno chiara, intesa a mostrare la capacità nefasta che hanno le “parole abusate” [traducendo dal titolo originale The Abused Word] di sciogliere l’identità. Dirà Francesco: le chiacchiere sono caratteristiche della «spiritualità del “tarlo”, che fa cadere la forza di una comunità» (15 gennaio 2022). Entriamo nell’anno 2022 e l’urgenza rimane immutata: «Fuggite dalle chiacchiere, fuggite, sono la peste!» (18 marzo 2022). Invita a disinnescare i conflitti, a non cadere «nel mondo del chiacchiericcio, che sempre uccide» (24 aprile 2022). Lo ripete: «Il chiacchiericcio è un veleno mortale» che semina «inquietudini che fanno male e distruggono» (30 maggio 2022). In altra sede, aggiunge: «Fa morire la Parola di Dio» (26 agosto 2022); «è un’arma di disunione» (27 ottobre 2022); «non è cristiano» (29 ottobre 2022). Nel gennaio del 2023 formula una delle frasi più taglienti; l’interrogativo al quale torno in chiusura: «Io sono discepolo dell’amore di Gesù o un discepolo del chiacchiericcio?».

Il gossip allo stesso modo del miele — con riferimento alla metafora delle chiacchiere «come le caramelle di miele» (10 gennaio 2019) — addolcisce le maldicenze per dare sapore a bocche amareggiate. Cosa farne e di quali rimedi disponiamo? Questo è l’arsenale di Francesco: dire in faccia, con carità, e non di nascosto; oppure, ricorrere alla medicina del silenzio (di chi si morde e custodisce la lingua o di chi con la preghiera cerca Dio); confidarsi e affidarsi ai propri superiori, a chi può e deve porre sollievo; infine, e più di ogni altra cosa, condividere il dolore e i turbamenti degli uomini, non come nemici ma come fratelli.

Questo mio articolo è nient’altro che un invito a imparare qualcosa su quelle parole prive di fede e che, con tutto ciò, ardiscono di aprire la bocca al cielo.

di Pino Esposito