
21 novembre 2023
È un grigiore avvolgente e pervasivo il vero protagonista de Il porto delle nebbie (1932) di Georges Simenon (Adelphi 1994, traduzione di Filippo Ascari). Ogni pagina è ispirata dall’intenzione di suggerire piuttosto che descrivere nel dettaglio, di evocare invece che affermare apertamente. Tuttavia l’effetto che emerge da questa impostazione narrativa è ben lungi dall’essere sbiadito e inefficace: al contrario, s’impone un ritratto di vita a tutto tondo — grazie alla singolare maestria espressiva dello scrittore belga — in cui la psicologia dei personaggi è scandagliata fin nei più remoti recessi, pur con un tocco di penna lieve e sfumato.
Il porto, nell’ambito di una narrazione tesa come una gomena, assurge a testimone del dinamico, e talora, confuso via vai di individui che — particolare eloquente — ...
Questo contenuto è riservato agli abbonati

Cara Lettrice, caro Lettore,
la lettura de L'Osservatore Romano in tutte le sue edizioni è riservata agli Abbonati
la lettura de L'Osservatore Romano in tutte le sue edizioni è riservata agli Abbonati