Nella catechesi il Papa si è soffermato sulla luminosa figura di Madeleine Delbrêl

La mistica dei sobborghi

 La mistica dei sobborghi  QUO-256
08 novembre 2023

«Non sarà che tutti noi cristiani d’oggi ci siamo lasciati intimidire dal mondo?»; il modo migliore per conoscere Madeleine Delbrêl è immergersi, da subito, nella sua allegra, sfrontata sincerità. Nelle domande dirette, esigenti, mai generiche o formali, tese davvero ad ottenere una risposta che faceva agli altri e a se stessa. Come anche, direttamente, al Creatore: «Mio Dio, se tu sei dappertutto, come mai io sono così spesso altrove?». Se ci sei, devi anche trovare il modo per farti conoscere, chiede Madeleine bambina a quello che tutti gli altri trattano con deferente rispetto, ma, di fatto, con rispettosa indifferenza. La tenerezza di cui, dopo la conversione, parlerà così spesso non sostituirà mai il rigore di un pensiero che non fa sconti e l’assertività di giudizi chiari e taglienti. Una tenerezza — parola molto amata da Papa Francesco — conquistata a fatica. Nel 1921 Madeleine Delbrêl ha diciassette anni; fieramente atea, scrive un tema che inizia così: «Dio è morto. Ma, se ciò è vero, bisogna avere la lucidità di non vivere più come se Dio esistesse ancora». Non solo: se qualcosa è vero non si può fare finta che non lo sia. Quindi «se Dio è morto, allora a dominare è la morte e bisogna prenderne atto coraggiosamente». Altrettanto radicale sarà il suo “sì” a Dio quando si renderà conto di quanto è reale e potente il suo amore per l’uomo. Per ogni uomo, in qualsiasi situazione si trovi.

Nel suo libro Madeleine Delbrêl. Fralezza e trascendenza (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2022, pagine 320, euro 25) Edi Natali volutamente pone l’accento sull’antropologia della mistica francese, in un periodo storico particolarmente confuso su chi è l’uomo, prima ancora che su chi è Dio. Due sono le tentazioni più difficili da smascherare di cui la Delbrêl sottolinea il pericolo, nota l’autrice: lasciarsi assorbire totalmente dalle urgenze del presente, dimenticando l’eternità, e, all’opposto, dimenticare l’oggi, puntando su un ipotetico futuro felice ultramondano che non ha nessun nesso con il nostro impegno quotidiano.

Le risposte della mistica francese sono sempre talmente semplici da riuscire a smascherare ipocrisia e idolatria della comodità. «Il cristiano porta su di sé il peso del mondo e di Dio». Punto. Ne porta la speranza, proprio perché ne accetta il peso, la responsabilità, non si sottrae al dialogo con Chi l’ha creato che passa attraverso il volto dell’uomo che trova per strada, al lavoro, in famiglia. Il suo prossimo, in senso letterale. «Non ha avuto paura degli inferni della storia» spiega Natali parlando della protagonista del suo libro. Tra gli artisti conquistati dalla franchezza di Delbrêl c’è anche Elisabetta Salvatori, attrice e regista che le ha dedicato un testo teatrale, Come gli scambi del treno.

«Madeleine è molto vicina a noi, è morta nel 1964 — scrive Salvatori parlando della genesi del suo lavoro — da Parigi si è trasferita nella periferia, a Ivry, che era la capitale del partito comunista in un periodo in cui i comunisti e i cattolici vivevano un momento di tensione altissima. Siamo prima del Sessantotto, e proprio a Ivry si presero a sassate, poi cambiarono i nomi delle strade dedicate a santi. Tutt’intorno uno sventolio di bandiere rosse».

Madeleine, continua Salvatori, non si sottrae alla sfida del dialogo con chi la pensa diversamente da lei, «riesce a legare con il marxismo e, attraverso questo, rinnova la sua fede. Scrive un trattato sulla tenerezza e parla di periferie perché ci vive. Dice che ogni volto è un santuario, ogni strada un luogo per pregare. E decide di vivere una vita da religiosa. Infatti non si sposerà, vivrà in una comunità, non di suore, ma di amiche che decidono di fare la sua stessa scelta». Dopo aver letto Comunità secondo il Vangelo, Umorismo nell’amore «e un po’ di poesie, quelle più note, mi ha “agganciata” — continua Salvatori — Madeleine ha vissuto solo sessant’anni, eppure la sua sembra una vita lunghissima. Dal 1904 al 1964, quando è morta, ha attraversato così tanti cambiamenti, tanti stimoli. Era una bimba sveglia, figlia unica di una famiglia che stava bene economicamente ma dove i genitori non andavano d’accordo, lei amatissima da entrambi. Aveva una vena poetica che il suo babbo ha alimentato: a quindici anni la portava in un salotto letterario di Parigi, ambienti liberi, colti, fucine di pensiero. È stata un’adolescente che voleva tutta la vita possibile, che vedeva la guerra, il dolore, e si aggrappava all’arte, alla bellezza. Era dura nei giudizi nei confronti del mondo, come lo sono i ragazzi: ed era convinta che Dio e l’amore non esistessero. Dovrà ricredersi: a diciannove anni in estate, lei che pensava che la vita non potesse stupirla, prima si innamora, poi scopre Dio».

Nella sua vita, continua Salvatori, non c’è nulla di straordinario se non lo straordinario che è in tutte le vite. La risposta alla domanda “come posso fare a vivere il Vangelo oggi?” l’ha trovata «guardando il mondo con occhi innamorati e vedendo il mondo abitato ovunque da Dio. Si accorge che nel volto di un suonatore ubriaco, di un bimbo pallido o di una donna stanca c’è un santuario, sente Dio che danza con la vita, anche quella in disparte, anche quella che non ha l’abito adatto. Ed ecco che per lei la metropolitana, la strada, il sobborgo, la periferia diventano luoghi di preghiera e la chiesa non è più uno spazio chiuso ma è un prolungamento del cuore, è una carezza necessaria, un sorriso».

Per mettere in scena il “personaggio Madeleine”, Salvatori è andata alla ricerca anche di dettagli apparentemente banali, legati alla sua vita di tutti i giorni: «Quando qualcuno andava a parlare con lei, per prima cosa accendeva una sigaretta. Fumava e stava zitta. In quel silenzio pregava per la persona che aveva davanti». Ascoltare non è facile; la tentazione più forte, rileva con franchezza Delbrêl, è fuggire il dolore degli altri perché ne abbiamo già abbastanza del nostro. E spesso non siamo né abbastanza forti né abbastanza solidi per poterlo portare: «Occorrono crogioli solidi per contenere il metallo fuso, tutto posseduto e lavorato dal fuoco» ci dice Madeleine. Allo stesso modo, occorrono a Dio dei cuori solidi dove possano coabitare le nostre miserie in cerca di guarigione e quelle degli altri. Il profeta, molto semplicemente, è chi vede, nel presente, quello di cui gli altri non si accorgono. E lo mostra agli altri con miracolosa chiarezza.

Un processo da lei descritto nella sua valenza più intimamente cristiana con un’immagine che vede protagonisti poissons aveugles, pesci ciechi: «In una caverna sottomarina protetta da ogni luce c’erano dei pesci ciechi — scrive in una delle sue “parabole” più famose —. Uno scienziato ne prese alcuni, li pose in un acquario buio. Poco a poco vi fece penetrare la luce finché tutta l’acqua fu illuminata. Sotto l’azione del giorno lentamente quella specie di pesci si modificò. Gradualmente si formarono degli occhi. I pesci ciechi divennero pesci che vedevano. La vita li aveva resi adatti all’ombra. La stessa vita li rendeva adatti alla luce. Per questa metamorfosi era bastato loro vivere (...). Al pesce cieco non fu chiesto che di continuare a rimanere nell’acqua viva per essere lui stesso un vivente e la sua vita gli diede gli occhi quando l’acqua fu resa luminosa. A noi non è chiesto che di restare nello zampillare di Dio. A Lui di darci gli occhi».

di Silvia Guidi