DONNE CHIESA MONDO

TribunaAperta
La lezione del Concilio tra fede e impegno politico

Politica è cura
della casa comune

 Politica è cura  della casa comune  DCM-010
04 novembre 2023

Avevo 11 anni quando l’11 ottobre del 1962 si apriva il Concilio Vaticano ii e papa Giovanni xxiii , al termine della prima giornata, salutò con una carezza la folla riunita in piazza San Pietro con quel breve discorso passato alla storia come il discorso alla luna.

Ne avevo 14 quando Paolo vi , il 7 dicembre 1965, annunciava la fine di lavori e l’inizio di un cammino di rinnovamento umano e religioso, consegnando alla chiesa l’insegnamento “di amare l’uomo per amare Dio”.

Sono cresciuta in una famiglia semplice dai forti valori religiosi e civili. Fin da piccola ho respirato una fede forte, popolare vissuta e tramandata dai miei genitori con autenticità.

Il Concilio fu davvero una nuova Pentecoste, una novità sconvolgente per tutti, non soltanto per i cattolici.

Giovanissima sono entrata all’Azione cattolica e l’associazione è stata la forma che ha plasmato, nel segno del Concilio Vaticano ii , il mio essere credente e cittadina. L’Azione cattolica stava cambiando e a guidarla era stato chiamato Vittorio Bachelet, giurista e politico. Paolo vi chiedeva al nuovo presidente di ripensarne la missione per rendere visibile e operante la Chiesa della Gaudium et Spes e della Lumen Gentium.

Erano gli anni della scelta religiosa in cui l’associazione riscopriva la sua vocazione formativa e pastorale, la centralità della Parola, il primato della fede e abbandonava ogni forma di collateralismo politico. La scelta religiosa significava tornare a l’essenziale del Vangelo e avviare una lettura laica della realtà storica.

Mentre mi affacciavo all’età adulta respiravo un’aria nuova, capivo che la fede cristiana non era una teoria ma una persona, era Gesù Cristo, era il Vangelo. Scoprivo che la Chiesa universale è chiesa di tante chiese locali e la nuova liturgia in italiano un’esperienza davvero comunitaria. La chiesa che valorizza la libertà di coscienza, la ricerca della verità piuttosto che la sua imposizione, che scruta i segni dei tempi con sguardo fiducioso e carico di misericordia.

L’attuazione del Concilio, affidata a monsignor Enrico Bartoletti nella Cei, la Conferenza episcopale italiana, e a Vittorio Bachelet nell’ Azione cattolica non era impresa scontata. Non bastava adeguare la struttura dell’associazione, bisognava investire in modo capillare le parrocchie con una nuova catechesi rivolta ai giovani e le famiglie, alla vita di carità e alla corresponsabilità.

Un pilastro della mia formazione è stata l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di Paolo vi che ai laici chiedeva di realizzare il regno di Dio attraverso le cose del mondo. Compresi cosa voleva dire responsabilità e libertà dei laici, uno dei grandi doni del Concilio.

Nel clima appassionato di rinnovamento ecclesiale, la politica si presentava come terra di missione. La fede, che non si lascia imprigionare in nessun progetto politico, ti spinge a fare la tua parte, in un rapporto che non è mai né di sovrapposizione né di separazione ma sempre di distinzione. Imparai allora che la laicità significa farsi carico in autonomia della responsabilità verso la società e la storia, per perseguire il bene comune e realizzare la Città dell’uomo.

La politica è stata quindi l’approdo naturale di una pedagogia alla cittadinanza maturata di pari passo con la mia formazione religiosa.

Il Concilio aveva letto di segni dei tempi ma i tempi erano arrivati con un carico di contraddizioni, lacerazioni e conflitti.

Il ‘68 e le lotte operaie, il protagonismo delle donne nel femminismo, le nuove sensibilità ambientaliste, le tensioni verso nuove libertà e nuovi diritti civili e infine il terrorismo avevano messo a nudo grandi fratture nel rapporto tra istituzioni e società, democrazia e politica.

Vivere il Concilio in quel decennio che va dal 1968 al 1980 ha significato crescere con la consapevolezza che non bastava essere buoni cristiani - come ripeteva Bachelet – bisognava essere anche buoni cittadini.

In tanti, avvertivamo la necessità di un nuovo pensiero a ispirazione cristiana, capace di dare nuova linfa all’agire politico dei cattolici prendendo atto delle divisioni che, a partire dal referendum sul divorzio, investivano il nostro mondo.

Il percorso di cambiamento culturale e politico, avviato dalla componente più avanzata del cattolicesimo democratico, fu tragicamente interrotto con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro per mano delle Brigate rosse. Non a caso il terrorismo politico ha colpito alcune delle personalità cattoliche più lucide e lungimiranti come Aldo Moro, Piersanti Mattarella, Vittorio Bachelet, Roberto Ruffilli, interpreti di una visione di democrazia e società che contribuì a scrivere la Costituzione e a edificare la nuova Repubblica.

Quella generazione ha praticato la laicità con una rara attitudine alla mediazione, nella consapevolezza del rapporto tra regole e valori, guidata dal senso del limite e dal principio di non appagamento che faceva dire a Moro «il nostro destino non è quello di realizzare la giustizia ma di averne fame e sete tutta la vita».

Una lezione di laicità e rigore morale che ho cercato di seguire, fin da quando Maria Eletta Martini, responsabile della Democrazia Cristiana per i rapporti con il mondo cattolico, mi propose di candidarmi al Parlamento Europeo, nel 1989 al termine del mio mandato come vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica.

Con il fallimento del progetto di Aldo Moro le energie più innovative si scontrarono con le opacità della forma partito. La Democrazia Cristiana, identificata con il partito dei cattolici, non era più in grado di rispondere alle attese degli italiani e la serie di inchieste giudiziarie sulla corruzione che coinvolgeva politica e imprenditoria e che giornalisticamente ha preso il nome di Tangentopoli fu l’atto conclusivo di un logoramento in atto da tempo.

Per chi come me aveva iniziato il servizio nelle istituzioni con l’ambizione di rilanciare i valori del cattolicesimo democratico, l’inchiesta chiamata significativamente anche Mani Pulite andava letta come un’opportunità di rigenerazione etica della politica.

Sul fronte ecclesiale, si prese atto che l’unità dei cattolici non avrebbe retto al nuovo assetto bipolare, frutto della nuova legge elettorale maggioritaria. Venendo meno la Democrazia Cristiana che storicamente aveva svolto un ruolo di traduzione laica dell’ispirazione cristiana in politica, la chiesa italiana cercò di colmare questo vuoto assumendo una propria soggettività sociale e politica per avviare un rapporto diretto con le istituzioni del paese. Una svolta che ha indebolito la Cei che interloquiva senza più mediazioni con i diversi schieramenti politici. È venuto meno quel metodo di dialogo e sintesi, fondato sul discernimento che misurava la coerenza tra scelte politiche e ispirazione religiosa. Di fatto prevalse un’interpretazione neo clericale e conservatrice del ruolo dei cattolici, che ha incoraggiato la strumentalità con la quale la religione e i temi eticamente sensibili furono affrontati dal centrodestra.

Penso agli scontri sul fine vita, sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto e omosessuali, sulla procreazione assistita e l’invito della gerarchia a disertare il relativo referendum. Tutti snodi nei quali l’interventismo politico della Cei sui cosiddetti valori non negoziabili - assunti come priorità dell’agenda politica a discapito di questioni non meno rilevanti come la qualità della democrazia, le diseguaglianze, la povertà crescente, l’immigrazione, ha accentuato la solitudine di chi nel solco della lezione di laicità del Concilio cercava faticosamente una sintesi tra valori e legge, tra ispirazione cristiana e pluralismo della società italiana.

Quella stagione ha lasciato una traccia profonda se la religione e i valori ostentati dalla destra oggi al governo tornano ad essere branditi come vessilli di un’identità cristiana svilita a ideologia politica. Questa torsione ideologica si accompagna a un’evidente incoerenza tra la dichiarata ispirazione cristiana e le concrete scelte di governo sul terreno della lotta povertà e dell’accoglienza dei migranti. Forse non è un caso se nel Parlamento italiano, per la prima volta, la presenza di esponenti del mondo cattolico è ridottissima, segno di un’offerta politica miope, che non ha saputo o voluto intercettare la vitalità di un laicato che nelle associazioni e nelle parrocchie è servizio dei più fragili.

Papa Francesco ha più volte incoraggiato l’impegno dei cattolici in politica con le parole di Paolo vi “forma più alta ed esigente di carità” e ha chiarito che “il disimpegno equivale a tradire la missione dei laici” che devono essere “sale della terra e luce del mondo” anche nelle istituzioni. Ma invita a scegliere la politica con la P maiuscola, quella capace di visione. «Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine».

Con il suo invito a essere una Chiesa sinodale e in uscita, il Santo Padre indica un cammino di rinnovata attuazione del Concilio anche ai laici. La scelta preferenziale per i poveri, l’attenzione alle periferie esistenziali e materiali del mondo, la denuncia delle profonde diseguaglianze generate da una globalizzazione senza regole, la preghiera incessante per la pace nel mondo, sulle orme della preghiera con tutte le religioni voluta da Giovanni Paolo ii ad Assisi, la condanna della corruzione e dell’illegalità, l’intensa pastorale sulla salvaguardia del creato e la fraternità senza frontiere, sono indicazioni preziose per chiunque abbia fame e sete di giustizia. La politica è cura del bene comune, questo ho imparato da Concilio. Solo una politica libera dagli interessi, che si prenda cura della comunità può fare giustizia per i poveri e le periferie del mondo, come ci chiede Papa Francesco.

di Rosy Bindi
Politica italiana, docente della Pontificia Università Antonianum, presidente del Comitato Nazionale Centenario nascita don Lorenzo Milani. E’ stata Vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica, europarlamentare, ministro della Sanità e ministro della Famiglia, vicepresidente della Camera dei deputati; presidente del Partito Democratico, presidente della Commissione parlamentare antimafia.