La XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi
Le parole del Papa durante il momento di preghiera in piazza San Pietro con i partecipanti al Sinodo

Il dolore dei migranti
grida al cospetto di Dio

 Il dolore dei migranti  grida al cospetto di Dio  QUO-242
20 ottobre 2023

Ampliare i canali migratori regolari per contrastare trafficanti e criminali


Duclair Ngongang Keumaleu, proveniente dal Camerun, Olha Osidach, dall’Ucraina, Nataly Perez Aguilar Sugey, da El Salvador. Sono i tre rifugiati presenti in piazza San Pietro durante il momento di preghiera per i migranti presieduto da Papa Francesco giovedì sera, 19 ottobre. La loro voce è risuonata durante la lettura delle intenzioni che hanno preceduto la recita del Padre Nostro: in francese la prima, per l’assemblea generale del Sinodo dei vescovi, perché «l’ascolto del segno dei tempi sia anche un momento di riflessione e confronto sinceri sulla questione migratoria, con spirito solidale e unione di intenti»; in italiano la seconda, per le vittime delle rotte migratorie, cioè per tutti coloro che «hanno perso la vita a causa della migrazione e per le loro famiglie, affinché il loro sacrificio e il loro dolore serva di monito a non chiudere mai i nostri occhi e il nostro cuore di fronte ai drammi umani»; in spagnolo la terza, per i profughi e i migranti, affinché «non debbano più avventurarsi in viaggi pericolosi e imbattersi in porte sbarrate, bensì in strade sicure e comunità pronte ad accoglierli». A unirsi alle loro preghiere i partecipanti al Sinodo — insieme con i due sottosegretari del Dicastero per il servizio allo Sviluppo umano integrale, lo scalabriniano Fabio Baggio e monsignor Anthony Onyemuche Ekpo — riuniti presso il monumento in bronzo e argilla “Angel unawares” (“Angeli inconsapevoli”), l’opera dell’artista canadese Timothy Schmalz che raffigura un gruppo di migranti di varie culture e appartenenti a diversi periodi storici. Durante il momento di preghiera — aperto dall’orazione del Papa a cui è seguita la lettura del Vangelo di Luca che narra la parabola del buon Samaritano — sono state elevate anche intenzioni per la pace, perché dove «ci sono conflitti, possano le armi tacere per lasciare spazio al dialogo e alla riconciliazione», e affinché tutti «possano diventare “artigiani” della pace». E per la Chiesa, perché possa rimanere «fedele alla sua missione di buon Samaritano, ospedale da campo per tutti i fratelli e le sorelle migranti e rifugiati, accompagnando con amore chi è in cammino e accogliendo con generosità chi arriva». Pubblichiamo di seguito la riflessione pronunciata dal Pontefice.

Non saremo mai abbastanza grati a San Luca per averci trasmesso questa parabola del Signore (cfr. Lc 10, 25-37). Essa è anche al centro dell’Enciclica Fratelli tutti, perché è una chiave, direi la chiave per passare dalla chiusura di un mondo a un mondo aperto, da un mondo in guerra alla pace di un altro mondo. Stasera l’abbiamo ascoltata pensando ai migranti, che vediamo rappresentati in questa grande scultura: uomini e donne di ogni età e provenienza; e in mezzo a loro gli angeli, che li conducono.

La strada che da Gerusalemme portava a Gerico non era un cammino sicuro, come oggi non lo sono le numerose rotte migratorie che attraversano deserti, foreste, fiumi, mari. Quanti fratelli e sorelle oggi si ritrovano nella medesima condizione del viandante della parabola? Tanti! Quanti vengono derubati, spogliati e percossi lungo la strada? Partono ingannati da trafficanti senza scrupoli. Vengono poi venduti come merce di scambio. Vengono sequestrati, imprigionati, sfruttati e resi schiavi. Vengono umiliati, torturati, violentati. E tanti, tanti muoiono senza arrivare mai alla meta. Le rotte migratorie del nostro tempo sono popolate da uomini e donne feriti e lasciati mezzi morti, da fratelli e sorelle il cui dolore grida al cospetto di Dio. Spesso sono persone che scappano dalla guerra e dal terrorismo, come vediamo purtroppo in questi giorni.

Anche oggi, come allora, c’è chi vede e passa oltre, sicuramente dandosi una buona giustificazione, in realtà per egoismo, indifferenza, paura. Questa è la verità. Invece, cosa dice il Vangelo di quel samaritano? Dice che vide quell’uomo ferito e ne ebbe compassione (v. 33). Questa è la chiave. La compassione è l’impronta di Dio nel nostro cuore. Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza: questo è lo stile di Dio. La compassione è impronta di Dio nel nostro cuore. Questa è la chiave. Qui c’è la svolta. Infatti da quel momento la vita di quel ferito comincia a risollevarsi, grazie a quell’estraneo che si è comportato da fratello. E così il frutto non è solo una buona azione di assistenza, il frutto è la fraternità.

Come il buon samaritano, siamo chiamati a farci prossimi di tutti i viandanti di oggi, per salvare le loro vite, curare le loro ferite, lenire il loro dolore. Per molti, purtroppo, è troppo tardi e non ci resta che piangere sulle loro tombe, se ne hanno una, o il Mediterraneo è finito per essere la tomba. Ma il Signore conosce il volto di ciascuno, e non lo dimentica.

Il buon samaritano non si limita a soccorrere il povero viandante sulla strada. Lo carica sul suo giumento, lo porta a una locanda e si prende cura di lui. Qui possiamo trovare il senso dei quattro verbi che riassumono la nostra azione con i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. I migranti vanno accolti, protetti, promossi e integrati. Si tratta di una responsabilità a lungo termine, infatti il buon samaritano si impegna sia all’andata sia al ritorno. Per questo è importante prepararci adeguatamente alle sfide delle migrazioni odierne, comprendendone sì le criticità, ma anche le opportunità che esse offrono, in vista della crescita di società più inclusive, più belle, più pacifiche.

Mi permetto di evidenziare l’urgenza di un’altra azione, che non è contemplata dalla parabola. Dobbiamo tutti impegnarci a rendere più sicura la strada, affinché i viandanti di oggi non cadano vittime dei briganti. È necessario moltiplicare gli sforzi per combattere le reti criminali, che speculano sui sogni dei migranti. Ma è altrettanto necessario indicare strade più sicure. Per questo, bisogna impegnarsi ad ampliare i canali migratori regolari. Nello scenario mondiale attuale è evidente come sia necessario mettere in dialogo le politiche demografiche ed economiche con quelle migratorie a beneficio di tutte le persone coinvolte, senza mai dimenticarci di mettere al centro i più vulnerabili. È anche necessario promuovere un approccio comune e corresponsabile al governo dei flussi migratori, che sembrano destinati ad aumentare nei prossimi anni.

Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: questo è il lavoro che noi dobbiamo fare.

Chiediamo al Signore la grazia di farci prossimi a tutti i migranti e i rifugiati che bussano alla nostra porta, perché oggi «chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito» (Fratelli tutti, 70).

E adesso faremo un breve momento di silenzio, ricordando tutti coloro che non ce l’hanno fatta, che hanno perso la vita lungo le diverse rotte migratorie, e coloro che sono stati usati, schiavizzati.