Dieci anni di operazioni militari tregue
Le terribili immagini che arrivano da Israele e dalla Striscia di Gaza sono solo l’ultimo tragico capitolo di una storia che affonda le sue radici nel Novecento. A cinquant’anni dallo scoppio della guerra del Kippur, un conflitto che ha profondamente influenzato le relazioni tra Israele e i suoi vicini arabi, le armi tornano a risuonare in Terra Santa. Se vogliamo capire davvero quello che sta accadendo e quali possono essere i futuri sviluppi, è dunque essenziale guardare indietro, alle operazioni militari che hanno segnato gli ultimi dieci anni e all’evoluzione del contenzioso tra israeliani e palestinesi.
Dal 2013 al 2022, la Striscia di Gaza è stata spesso al centro dell’attenzione globale a causa delle frequenti operazioni militari e delle tensioni persistenti tra Israele e Hamas, il principale movimento politico e paramilitare palestinese che governa la Striscia, di ispirazione fondamentalista islamicasunnita, e definita come organizzazione terroristica da molti Stati. Questi conflitti, sebbene in un contesto diverso da quello della guerra del Kippur, hanno continuato a plasmare la complessa dinamica tra israeliani e palestinesi, influenzando la percezione internazionale del conflitto e le speranze di una soluzione duratura. A partire dall’operazione “Piombo Fuso” nel 2008-2009, passando per “Margine Protettivo” nel 2014, fino agli scontri del 2021, ogni operazione ha portato con sé storie di tragedia, resistenza, speranza e disperazione. Ogni conflitto ha evidenziato la fragilità della pace nella regione e la necessità urgente di una soluzione che affronti le radici profonde del disaccordo.
Nel luglio-agosto del 2014, la tensione ha raggiunto un punto culminante con l’Operazione “Margine Protettivo”, durata sette settimane. Questa operazione fu scatenata da una serie di eventi tragici, tra cui l'uccisione di tre adolescenti israeliani, il lancio di razzi da Gaza verso Israele e l’assassinio di un adolescente palestinese a Gerusalemme. La risposta fu marcata da intensi bombardamenti aerei, attacchi con artiglieria e un’incursione terrestre. Il conflitto causò la morte di oltre 2.100 palestinesi e 73 israeliani, con significativi danni alle infrastrutture di Gaza.
Pochi anni dopo, nel 2018, ebbe inizio una serie di proteste al confine tra Gaza e Israele. Conosciute come la “marcia del ritorno”, queste manifestazioni erano volte a rivendicare il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e a protestare contro il blocco di Gaza da parte di Israele. Durante le proteste, si registrarono violenti scontri tra migliaia di palestinesi e l’esercito israeliano. Centinaia le vittime e i feriti, tra quali anche militari israeliani.
Nel maggio del 2019, un ulteriore picco di tensione fu innescato da un’intensificazione del lancio di razzi da Gaza. Israele rispose con bombardamenti aerei mirati a colpire obiettivi di Hamas e della Jihad islamica. I combattimenti portarono alla morte di oltre 20 palestinesi e di 4 israeliani. Il cessate il fuoco venne raggiunto grazie alla mediazione dell’Egitto e delle Nazioni Unite. La situazione, tuttavia, non si placò immediatamente; numerosi scontri furono registrati anche dopo il raggiungimento dell’intesa.
Poco meno di due anni dopo, in seguito agli scontri a Gerusalemme causati dall’evacuazione di famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, le violenze ripresero su larga scala. Le tensioni sfociarono in un altro ciclo di violenza, con il lancio di razzi da Gaza verso Israele e intensi bombardamenti aerei israeliani su Gaza. Durante il conflitto, Hamas e altre fazioni militanti lanciarono migliaia di razzi verso Israele, mirando a città come Tel Aviv e Gerusalemme. Israele, dal canto suo, condusse una campagna aerea contro obiettivi a Gaza, colpendo infrastrutture di Hamas e della Jihad islamica. Più di 200 palestinesi, tra cui numerosi civili e bambini, furono uccisi negli attacchi, mentre 12 israeliani, inclusi un bambino e un soldato, persero la vita. La Striscia di Gaza subì danni significativi alle sue infrastrutture, con interruzioni nei servizi essenziali come l’acqua e l’elettricità. Anche in Israele ci furono danni significativi a edifici e infrastrutture. Un cessate il fuoco venne annunciato il 21 maggio grazie a una complessa mediazione internazionale. Gli scontri del 2021 sono stati particolarmente notevoli anche per il loro contesto, avvenendo in un momento di crescente tensione anche all'interno di Israele tra le comunità ebraica e araba, e per la vasta copertura mediatica e la reazione internazionale che hanno suscitato.
Nel corso di questi anni, la comunità internazionale ha fatto numerosi tentativi per trovare una soluzione duratura al conflitto. Il contenzioso tra israeliani e palestinesi è uno dei conflitti più complessi e duraturi della storia contemporanea, con radici che risalgono a più di un secolo fa. Tra i punti cruciali del negoziato ci sono:
1) Il territorio: la questione della terra è centrale. Le frontiere tra Israele e un futuro Stato palestinese, in particolare i confini del 1967 rispetto alle attuali insediamenti e territori occupati, sono fonte di contenzioso. La presenza e l’espansione degli insediamenti israeliani in Palestina sono considerate illegali secondo il diritto internazionale e sono un ostacolo alla pace.
2) Lo status di Gerusalemme: Gerusalemme è una città sacra per cristiani, ebrei e musulmani. Israeliani e palestinesi la rivendicano entrambi come loro capitale. La questione dello status di Gerusalemme Est, occupata da Israele nel 1967 e poi annessa, è particolarmente controversa.
3) I rifugiati: la questione dei rifugiati palestinesi è una delle più delicate. Riguarda il diritto al ritorno dei palestinesi espulsi o fuggiti dalle loro case durante la guerra del 1948 e le loro successive generazioni.
4) La sicurezza: Israele sottolinea la necessità di garantire la sua sicurezza, citando attacchi terroristici e lanci di razzi. Dall'altro lato, i palestinesi denunciano la presenza militare e le restrizioni nei territori occupati come una forma di oppressione e discriminazione.
5) Il riconoscimento reciproco: la non-accettazione e il non-riconoscimento di Israele come Stato ebraico da parte dei palestinesi sono altri due punti importanti. D’altra parte, il riconoscimento e l’accettazione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente sono una richiesta fondamentale dei palestinesi.
6) Le reciproche accuse di incitamento: entrambe le parti si accusano a vicenda di incitare alla violenza e all’odio, tramite media, educazione e discorsi pubblici.
7) Acqua e risorse: la distribuzione e l’accesso alle risorse idriche nella regione, particolarmente scarse, sono una questione controversa, con i palestinesi che accusano Israele di monopolizzare l’accesso all'acqua.
(luca m. possati)