Hic sunt leones
Le attese dell’Africa
Si è parlato molto del cammino sinodale in Europa, ma forse poca è stata l’attenzione riposta nei confronti del percorso ecclesiale intrapreso in Africa. Ebbene, è importante sottolineare che anche in questo continente è avvenuto l’auspicato discernimento che ha avuto il suo apice nell’Assemblea sinodale continentale ad Addis Abeba, in Etiopia, dal 1° al 6 marzo di quest’anno. Si è tratto di un evento organizzato dal Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (Secam) nel prolungamento delle due sessioni di lavoro che si sono svolte rispettivamente ad Accra, in Ghana, e a Nairobi, in Kenya, nel dicembre 2022 e nel gennaio 2023.
«Il nostro raduno — si legge nel comunicato finale — è stato sotto forma di un’Assemblea ecclesiale. Da tutte le regioni del continente africano e del Madagascar e delle isole, 206 partecipanti si sono riuniti per camminare, pregare e celebrare insieme sotto la guida dello Spirito Santo. Tra loro 9 cardinali, 29 vescovi e 41 sacerdoti. Ma la maggior parte dei partecipanti sono stati donne e uomini laici, persone consacrate, ma anche giovani, e rappresentanti di altre tradizioni cristiane e religiose». Al termine dei lavori, il Secam ha consegnato il contributo della Chiesa in Africa alla Segreteria generale del Sinodo di Roma. Molto importante è stato poi l’incontro preparatorio del 15-18 agosto scorsi, al Mariapolis Retreat Center di Nairobi, che ha visto riuniti i partecipanti all’assise sinodale provenienti da tutte le chiese africane. È stata un’esperienza all’insegna della condivisione che non solo ha consentito la conoscenza reciproca, ma ha anche offerto la possibilità di riflettere maggiormente sui risultati dell’Assemblea sinodale continentale, e di aiutare i partecipanti a familiarizzare con l’Instrumentum Laboris.
Com’è noto, il magistero di Papa Francesco è essenzialmente missionario. Motivo per cui il Pontefice non perde occasione per affermare che la Chiesa deve essere «in uscita», in «periferia» (locus per eccellenza dell’evangelizzazione), e soprattutto dalla parte dei poveri. Si tratta di un indirizzo teologico e pastorale espresso a chiare lettere nel documento programmatico del suo Pontificato, l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, e ribadito con fermezza in più circostanze. Perché tutto questo avvenga, è necessario imprimere un dinamismo che consenta alle comunità cristiane disseminate nei cinque continenti di «andare» e dunque di intraprendere un «cammino». Ed è quello che è avvenuto anche in Africa dove i cambiamenti sono repentini da tutti i punti di vista: come cultura, come modo di vivere, come sentimento del sacro, come senso ecclesiale, come modalità comunicative, come concezione dei diritti dell’uomo, come pluralismo religioso, come rapporto con l’aldilà, come visione globale della realtà. È chiaro dunque che, in una società globalizzata, in progressiva accelerazione, occorre vincere ogni forma di abulia, inerzia o conservatorismo. Come ha affermato lo stesso Pontefice «i tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente» (da: «L’Osservatore Romano», ed. quotidiana, Anno clv , n.243, 24/10/2015), con libertà e nella verità della fede. In effetti, non si tratta di una novità se si considera che fin dall’inizio del suo Pontificato fu molto esplicito. Quando la sera del 13 marzo 2013, subito dopo la sua elezione, si affacciò dalla loggia centrale della Basilica vaticana, scandì queste testuali parole: «E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi».
Come ha pertinentemente ricordato la Commissione teologica internazionale, la parola greca synodos è composta dalla preposizione syn e dal sostantivo hodos, e indica il «cammino» che i membri del popolo di Dio percorrono assieme. Ed è proprio questo il significato del «cammino sinodale» che Papa Francesco aveva in mente quando, nel capitolo primo dell’Evangelii gaudium, descrisse a chiare lettere la «trasformazione missionaria della Chiesa» (EG 19-49), proponendo «un improrogabile rinnovamento ecclesiale» (EG 27), che tenesse conto di tutte quelle strutture ecclesiali in cui si attua e si manifesta la comunità cristiana: la parrocchia (EG 28), le comunità di base, i movimenti e altre forme di associazione (EG 29), la Chiesa particolare diocesana (EG 30-31), le Conferenze episcopali e le strutture centrali e del papato della Chiesa universale (EG 32).
Sulla scorta di questi paragrafi si comprende il motivo per cui, il 10 ottobre del 2021, è stato inaugurato il processo sinodale in vista dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. La domenica successiva, il 17 ottobre di due anni fa, è avvenuta l’apertura in ogni diocesi del mondo del cammino sinodale. Con la riforma voluta da Papa Francesco, il Sinodo dei vescovi non si è limitato ad essere soltanto un’assemblea di pastori, come è accaduto finora, ma sarà a fasi. La prima, quella che ha coinvolto le Chiese locali di tutto il pianeta, è stata la vera e propria «consultazione del popolo di Dio». La seconda fase ha avuto invece una valenza continentale e attraverso le Conferenze episcopali ha recepito gli spunti emersi dal basso. L’ultima, quella che è appena iniziata, è l’Assemblea dei vescovi con l’intento dichiarato del Pontefice di coinvolgere tutto il popolo di Dio nel processo sinodale, le cui parole chiave sono partecipazione, ascolto e discernimento.
Una cosa è certa: riflettendo sul contesto ecclesiale africano, è davvero importante che i partecipanti provenienti da questo continente, facendo tesoro del bagaglio di esperienze, saperi e spiritualità propri dell’Africa, riescano ad esprimersi nella libertà delle figlie e dei figli di Dio, pienamente consapevoli che la posta in gioco è alta. Basti pensare al tema dell’inculturazione del Vangelo ben descritto dall’indimenticabile padre John Mary Waliggo, come «il tentativo sincero e serio di far comprendere sempre meglio Cristo e il suo messaggio di salvezza a popoli di ogni cultura, località e tempo, vale a dire la riformulazione della vita e della dottrina cristiana secondo i modelli concettuali di ciascun popolo. È il continuo tentativo di fare in modo che il cristianesimo possa veramente “sentirsi a casa” nelle culture di ogni popolo». In breve, l’inculturazione dovrebbe andare oltre l’apparenza, verso il significato, dichiarando il suo fine proprio, che è l’incontro fruttuoso tra Vangelo e cultura.
Ma non è tutto qui. Il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa e presidente del Secam, ha affermato che «la partecipazione della delegazione africana a questa Assemblea sinodale arricchirà la nostra comprensione della sinodalità, alla luce dell’esperienza delle Piccole comunità cristiane (Small christian communities), che caratterizza la Chiesa in Africa, al cui interno vi sono i germi della sinodalità, come il riconoscimento che ogni membro a cui viene attribuito un ruolo unico e cruciale da svolgere nella sua missione».
E cosa dire dunque, sempre su questa linea, della ministerialità? Essa, se debitamente promossa, potrebbe creare le condizioni per un maggiore coinvolgimento dei laici nell’evangelizzazione. Si tratta, per dirla con le parole del compianto teologo camerunese Jean-Marc Ela, di approfondire il dinamismo della speranza cristiana e quindi di «tracciare dei percorsi di riscatto e liberazione» per i popoli africani. Non solo: la produzione di qualsivoglia argomentazione legata al mistero cristiano richiede proprio come luogo epistemologico l’analisi sociale e politica correlata ai dati dell’economia e dell’antropologia. Leggendo proprio le opere di Ela si evince l’esigenza, biblicamente fondata, che la ricerca di Dio si situa «nell’incontro con il povero, con l’ammalato, con il prigioniero…». Un incontro epifanico, secondo lui, capace d’imprimere un orientamento inedito a una pastorale che nel concreto diventa «la pastorale delle mani sporche», «quella che, a partire dalla solidarietà con i poveri e gli oppressi, sprigiona la forza provocatoria e liberatrice del Vangelo» come scrisse senza reticenze nel suo saggio Ma foi d’Africain . È comunque evidente che è ora di passare dalle parole, dalle buone intenzioni, all’azione pratica di fede, facendo tesoro del suggerimento di san Giovanni Crisostomo: «Chiesa è nome che sta per sinodo».
di Giulio Albanese