Carità pastorale
L’atto più eroico di don Giuseppe Beotti, «forse pure tra le cause decisive del martirio, fu la sua carità pastorale verso gli ebrei, di cui molti provenienti dalla Jugoslavia». Lo ha sottolineato il cardinale Marcello Semeraro durante la beatificazione dell’arciprete della parrocchia di Sidolo di Bardi, nel Parmense, ucciso dai nazisti il 20 luglio 1944. Il rito è stato presieduto dal prefetto del Dicastero delle cause dei santi, in rappresentanza di Papa Francesco, sabato pomeriggio, 30 settembre, nella cattedrale di Santa Maria Assunta e Santa Giustina di Piacenza. Con il porporato hanno concelebrato il vescovo di Piacenza-Bobbio, Adriano Cevolotto, e il vescovo emerito Gianni Ambrosio.
In questo atto di carità nei confronti degli ebrei, ha affermato il cardinale, il nuovo beato non si nascose: si trattava, peraltro, di «una cosa ben nota all’autorità nazifascista». Don Beotti «si impegnò per proteggerli e salvarli dalla persecuzione, aiutandoli a fuggire in Svizzera». Per i nazisti, ha evidenziato il prefetto, «il semplice fatto di dare ospitalità agli ebrei era considerato come un crimine punibile con la pena di morte». In Polonia, nello stesso periodo, «abbiamo l’esempio luminoso degli sposi Josef e Wiktoria Ulma, uccisi dai nazisti il 24 marzo 1944 con gli otto ebrei che avevano nascosti e con i loro sette bambini, l’ultimo dei quali venuto alla luce dal grembo materno proprio in quelle drammatiche vicende». Anche di loro, ha ricordato, lo scorso 10 settembre «ho avuto la grazia di procedere, a nome del Santo Padre, al rito di beatificazione. Dopo venti giorni, ecco che la Chiesa ha un altro beato che ha praticato l’ospitalità ed ha aiutato chi era maltrattato quasi fosse suo compagno di patimenti».
La carità pastorale di don Beotti, però, «è più che in singoli gesti». Fu una scelta di vita. Di lui si diceva che «aveva le “tasche buche”, nel senso che dava ai poveri tutto quello che aveva». La cosa era conosciuta, sicché «i suoi parrocchiani e anche i parroci vicini, pur sapendo che aveva le mani buche, lo aiutavano». La povertà, d’altra parte, «l’aveva sperimentata in famiglia». Ricordava il cardinale Ersilio Tonini: «Veniva da famiglia povera. Il piccolo Giuseppe, durante la vacanze estive in famiglia, avvicinava direttamente alcune famiglie della parrocchia per racimolare qualche offerta con cui alleggerire la quota mensile che gravava pesantemente sul bilancio familiare». Don Beotti seppe però «trasformare la sua povertà in ricchezza di dono, specialmente per chi alla povertà univa altri gravi disagi».
C’è poi, ha evidenziato, anche la carità nascosta, «conosciuta soltanto dai famigliari e da alcuni intimi». A questo proposito, Semeraro ha riferito un episodio accaduto dopo l’8 settembre 1943 quando il sacerdote era sul treno Parma-Piacenza. «Per aiutare un soldato ancora nella sua divisa da alpino — ha detto — profittando del fatto di essere coperto dalla veste talare don Beotti gli fece dono dei suoi pantaloni e fece cambio delle scarpe usando quelle da alpino». Anche la vicenda martiriale è preceduta da un atto di carità: «lui povero aveva accolto in casa un chierico, Italo Subacchi, orfano di padre e di madre, che aveva dovuto abbandonare il seminario di Parma per il pericolo dei bombardamenti aerei e, non avendo parenti stretti, aveva trovato ospitalità presso di lui. Nel momento del pericolo era accorso a lui anche il confratello don Francesco Delnevo».
Quanto alla causa immediata del martirio, «le testimonianze addotte ci permettono di dire che sembra essere stata la distribuzione del pane, sul sagrato della Chiesa, fatta a diverse persone che ne facevano richiesta, la mattina del 20 luglio: gesto che i nazisti videro da lontano con il binocolo e da cui materialmente si sviluppò il dramma». Il porporato ne ha fatto notare il valore simbolico: «l’unità tra esercizio del sacro ministero nella divina liturgia e impegno quotidiano della vita». Fin dalla Chiesa antica, difatti, «la condivisione dei beni e la raccolta delle offerta a favore dei bisognosi sono strettamente unite all’anamnesi del sacrificio di Cristo».