Dal 2005 la Caritas di Roma, attraverso l’attività di volontari e operatori domiciliari, quotidianamente vive la città di Roma andando nelle case degli anziani, degli adulti, delle famiglie che vivono in condizioni di fragilità sociale. Assistiamo in prima persona alla trasformazione che ci sta portando a gran velocità verso una società dominata dalle “cose”.
Ma ancor prima che delle cose, intese anche come scarti, come ci ricorda Marco Armiero (L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, Einaudi, 2021), parliamo delle relazioni di scarto, delle persone stesse che diventano scarti. Sono processi che scartano sistematicamente gli esseri viventi e che conseguentemente scartano saperi, luoghi, comunità.
La storia vissuta in questi 18 anni ci insegna che parliamo di qualcosa di trasversale nella città di Roma. Non esistono, infatti, luoghi, quartieri o “classi” sociali che mettono a rischio le persone da questo punto di vista, no. È un sistema sociale organizzato a tutti gli effetti che riguarda la società tutta, indifferentemente dal proprio luogo di vita o condizione sociale.
Le persone conosciute sono anziani soli perché rimasti gli unici ad abitare nello stesso stabile che ha visto un cambiamento demografico importante e che quindi non conosce più nessuno; sono adulti che hanno vissuto una separazione coniugale e sono precipitati in un vortice di tristezza o ancora nuclei familiari che hanno perso adeguate entrate economiche.
Abbiamo conosciuto persone nei quartieri “alti” esattamente come nell’estrema periferia romana. Lo “scarto” oggi, come ci ricorda Papa Francesco, è il vivente. I moderni campi di concentramento sono i campi profughi o le carceri, i ghetti, le periferie, finanche i confini fissati dalle mura di un palazzo, o di un semplice appartamento: sono luoghi dove i viventi sono abbandonati, esclusi, isolati.
Gli operatori e i volontari del servizio incontrano quotidianamente persone “nascoste” nelle proprie case. Dopo 18 anni di servizio, di chilometri percorsi nella città, di palazzi frequentati, case “scoperte” essere addirittura abitate, persone e volti impressi nella mente e nei ricordi, possiamo affermare che oggi non basta più un servizio; è vitale tornare a legare le generazioni tra loro, ricreare solidarietà, ricostruire comunità.
Abbiamo compreso, frequentando tanti anziani in questi anni di servizio, che essi non chiedono di trovare delle soluzioni, né di dare risposte, ma solo di essere ascoltati, capiti e accompagnati.
Il servizio, provando ad ascoltare le storie di vita delle persone, cerca di incentrare gli interventi domiciliari proprio sulla relazione e l’ascolto dell’Altro. Tante sono le attività che svolgono i volontari e gli operatori: la spesa, le commissioni nel quartiere, “semplice” compagnia, l’aiuto pratico in casa, l’aiuto nell’igiene personale, l’accompagnamento per le visite mediche presso ospedali o centri specializzati. Ogni attività viene interpretata come strumento per conoscere l’altro. Fare qualcosa insieme diventa occasione unica di ascolto e relazione reciproca. L’abbandono e la solitudine, la lontananza dei figli, la loro mancanza di tempo per occuparsi di loro, portano i nostri anziani ad una fragilità e una paura, financo alla depressione. La paura di ammalarsi, di morire da soli, per loro è devastante; spesso li sentiamo dire: «Che vivo a fare… sarebbe meglio morire, così non do più fastidio e non sono di peso» (testimonianza raccolta da Fabiola Renzi e Andreina Russo, operatrice e volontaria della Caritas diocesana di Roma).
Negli interventi a favore delle persone coinvolte in queste situazioni, si parte dalla ricerca di un contatto, chiamato a trasformarsi in una relazione di fiducia, di accoglienza e di amore, che liberi dalla costrizione dei semplici bisogni materiali e le restituisca a una vita attiva e dignitosa. Esperienza ed esperienze psicologiche si sommano a quelle emozionali, che assumono molteplici forme di espressione nella vita di ogni giorno; l’assenza di reti primarie e secondarie influisce negativamente sulla vita delle persone e le sofferenze trovano diversi modi per sfogarsi. L’accumulo di oggetti e l’incuria della propria persona diventano possibili risposte alle assenze e il disagio psichiatrico, acuito dalla condizione di isolamento sociale, man mano si prende una parte importante nella vita quotidiana. L’aggancio non è semplice, ma, quando avviene, arriva un momento in cui la persona inizia a fidarsi, inizia così una storia nuova ed unica. Quando è “con” l’essere umano diventa soggetto, perché riconosciuto dall’altro, perché l’altro risponde e lo accoglie.
Bisogna provare a far emergere con forza che queste case sono abitate da Persone, che, per un motivo o per un altro vivono periodi di sofferenza, solitudine, isolamento e non possono essere solo un fastidio da confinare sotto il tappeto. Questa la più importante delle responsabilità dei volontari e degli operatori del servizio domiciliare “Aiuto alla persona” della Caritas di Roma: essere presenza e testimoni della bellezza dell’altro.
di Luca Murdocca