Il quarto incontro del progetto «I Volti della Povertà in Carcere» è segnato dalla storia di Roberto, recluso nel raggio dei “giovani adulti”. La premessa di ogni incontro è il racconto di quello che con la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, la Direzione del Carcere di San Vittore, «L’Osservatore di Strada» e «L’Osservatore Romano» intendiamo fare, accogliendo l’invito di Papa Francesco: ascoltare e prendersi cura dei poveri, degli ultimi, dei bisognosi. E noi vogliamo non solo dare una visione di quello che accade in carcere, ma raccontare l’uomo in quanto uomo con ogni sua povertà, che anche se cade può sempre rialzarsi e sperare nel futuro, soprattutto se per il suo futuro sogna ancora.
«La musica era il mio rifugio.
Ho potuto strisciare nello spazio tra le note
e dare la schiena alla solitudine».
(Maya Angelou)
«Oggi pomeriggio c’è musica al Centro diurno!». «Roberto», gli dico, «allora, possiamo sentirti cantare!».
Roberto fa musica trap al Centro diurno del Carcere di San Vittore con altri giovani detenuti, guidati da un maestro che ogni venerdì accompagna il ritmo dei loro testi sofferti. «Cantare ti fa esprimere — continua Roberto — quello che provi, ma è anche il modo per sentirti un po’ più libero. Il carcere è un posto che ti schiaccia ed è importante che ci sia qualcuno che riesca a farti sentire libero; la routine e le regole che non decidi tu ti fanno perdere la fiducia in te stesso e ti bloccano».
Le parole di ogni canzone trovano la migliore via per esprimere la rabbia e la musica accompagna quel canto ribelle. A soli ventitré anni ha già scontato la sua pena e, tra poco tempo, uscirà da San Vittore «da uomo libero», come ha continuato a ripeterci durante tutta l’intervista. Tre anni e quattro mesi di reclusione, successivi ad un altro anno già trascorso tra carcere, affidamento in comunità e la prima ricaduta.
«Com’è stato vivere qui?». «È stata dura e non volevo convincermi che il carcere sarebbe stato definitivo. Sono stato arrestato alle 5 del mattino e alle 6 ero in cella, con altre sei persone. Fino a quando non capisci che quella è la tua nuova realtà e la sofferenza profonda ti assale, hai ancora la speranza di uscire…».
«Cosa porti via con te?». «Il Centro diurno e l’arteterapia che mi hanno aiutato a lavorare su un progetto che ho chiamato “il viaggio della vita”. La prima tappa sarà l’Inghilterra, dove incontrerò la mia famiglia… In ogni tappa successiva che ho disegnato, invece, c’è sempre il mare».
Lo incalzo: «Cosa ha significato per te disegnare il viaggio della vita?». «Questo progetto mi ha aiutato a dare continuità nelle cose. Il disegno di ogni tappa del mio viaggio ha sempre un particolare in più che caratterizza la città che ho scelto e che un giorno vorrei vedere». Roberto può esprimersi attraverso la musica, può cantare e scrivere canzoni e programmare il viaggio della vita, avvolto in una realtà ovattata molto diversa da ciò che lo attende. Quando gli chiedo se è pronto per uscire, mi risponde di no e ribatte: «A combattere si inizia quando si è fuori di qua e la forza sta nel coraggio di allontanare qualunque cosa ti riporti alla tua vecchia vita».
Il suo racconto è segnato dalla paura di non farcela, che la musica del Centro diurno smorza rendendo tenui i suoi colori e diventa l’abito che Roberto potrà cucirsi addosso in qualunque momento e che gli ha insegnato a parlare di sé.
di Rossana Ruggiero