Bailamme

Tutta testa

 Tutta testa  QUO-224
29 settembre 2023

«Nella nuova età, quello che finora è stato solo il nucleo intellettuale della razza diventerà, in stadi graduali, la razza stessa. Immagini la nostra specie alla stregua di un animale che ha imparato a semplificare la nutrizione e la locomozione a un punto tale che non saranno più necessari i vecchi organi complicati e il grosso corpo che li conteneva. L’ingombrante corpo pertanto sparirà, e ne resterà solo quel decimo necessario a mantenere in vita il cervello. L’individuo diventerà solo testa. La razza umana diventerà tutta Tecnocrazia».

Era il 1945 quando C. S. Lewis faceva pronunciare queste parole al signor Frost nel suo Quell’orribile forza, ultimo capitolo della sua trilogia dello spazio. Si delinea l’idolo di una creatura tutta testa, finalmente libera della zavorra ingombrante del corpo. Potrebbe sembrare un sogno di leggerezza e purezza, in cui il pensiero è libero di spaziare senza essere legato alle fastidiose necessità della carne. Masticare, avere il fiatone, sanguinare, sentire freddo. Quanti fastidi ogni giorno interrompono le cose davvero importanti, procurano inciampi alle intuizioni, ai ragionamenti, alle priorità mentali della testa.

Il passo citato di Lewis potrebbe essere un’intuizione profetica sulle sfide attuali poste dall’intelligenza artificiale. E per profetico non bisogna intendere la preveggenza della palla di vetro, ma la parola di chi vive così a fondo la sua realtà presente da saper discernere i punti deboli, rotti, in via di esasperazione.

Quelle parole sono senz’altro una descrizione di cosa sia un’intelligenza disincarnata, per questo contengono — a rovescio — una rinnovata lode di quel drammatico e meraviglioso putiferio che è l’incarnazione. Dobbiamo incarnarci di più, affiora tra le righe. A cosa potrà mai pensare una testa sofisticata che non sa più il sapore del caffè, l’odore della pelle di chi ami? L’intelligenza punta in alto solo la carne è il suo trampolino di sfida, urto, slancio. È lì dove lo stomaco morde e la bocca si disseta, dove una spalla duole per il peso di una borsa e le spalle si rilassano sotto l’acqua della doccia che il pensiero si nutre di occasioni e vince l’incubo di un vuoto sterile.

Sempre C. S. Lewis disintegrò la tentazione di un mostro umano tutta testa chiedendo a un suo dottorando quale fosse il più grande piacere nella vita. Dopo aver ascoltato le sue bellissime ipotesi intellettuali, gli rispose: «Te lo dirò, è il piacere dopo aver camminato per ore, di arrivare in un pub e fare pipì». 

di Annalisa Teggi