In questo momento «il mio pensiero di gratitudine va al Papa, il quale mi ha chiamato a un servizio — quello nel Dicastero delle cause dei santi — che quotidianamente mi ripropone “il volto più bello della Chiesa” (Gaudete et exsultate, n. 9)». Lo ha detto il cardinale Marcello Semeraro durante la concelebrazione eucaristica presieduta all’altare della cattedra della basilica di San Pietro venerdì 29 settembre, festa dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, in occasione del suo xxv anniversario di ordinazione episcopale.
Il porporato ha fatto riferimento all’omelia di san Gregorio Magno da cui è tratta la seconda lettura dell’Officium lectionis del giorno. «Ho veduto — ha detto — che, oltre a richiamare i tre arcangeli, Michele, Gabriele e Raffaele, di cui oggi celebriamo la festa, egli parla anche di tutte le schiere angeliche ed espone una teoria che può avere un certo interesse per la teologia della santità». Dopo avere messo in luce «le missioni particolari dei tre arcangeli, suggerite dal significato dei loro nomi: Michele, quis ut Deus?; Gabriele, fortitudo Dei e Michele, medicina Dei», san Gregorio spiega infatti che «la prerogativa principale di ogni coro angelico appartiene in qualche modo anche a tutti gli altri». Afferma tre cose in particolare: anzitutto che «una riflessione sugli spiriti angelici deve avere sempre come scopo il nostro progresso spirituale»; in secondo luogo, che «alla fine dei tempi ci sarà una corrispondenza tra il numero dei beati e quello degli angeli eletti»; e di conseguenza, in terzo luogo, ricorda che «ciascuno di noi, chiamato alla patria celeste, è pure chiamato a imitare in qualcosa le schiere angeliche».
Per questo san Gregorio fa degli esempi: alcuni, «come gli angeli, sono chiamati ad annunciare il Vangelo e illustrare la sacra dottrina; altri, come i cherubini, sono chiamati a vibrare di carità verso il prossimo; altri, come i troni, sono chiamati a reggere la santa Chiesa». Così, nella sua «particolare vocazione alla santità ciascuno può sempre trovare qualcosa da imitare nei cori angelici».
È, in altre parole, il principio della «comunione dei santi, nella quale dobbiamo certamente includere pure gli angeli». Mondo angelico e mondo umano sono fatti, «in qualche modo, l’uno per l’altro, insegnava già san Tommaso d’Aquino». Il prefetto del Dicastero delle cause dei santi ha ricordato Sergej Bulgakov che, nel suo trattato sugli angeli, afferma che «alla synantropia (la “co-umanità”) degli angeli corrisponde una synangelicità dell’uomo, creato a immagine di Dio». L’angelo, scrive, è «il nostro amico celeste; ciascuno di noi ha vicino questo amico spirituale, un alter ego unico e personale che veglia su di noi e ci è sempre accanto con discrezione».
Anche nella messa, «entrando nella preghiera eucaristica — ha detto — uniremo le nostre voci a quelle delle moltitudini degli angeli». Sarà così un canto che «da qui si eleverà al cielo e che dal cielo scenderà verso di noi». E sarà pure il «sinodo», di cui parla san Giovanni Crisostomo «nel suo famoso testo, molto ripetuto in questo tempo di sinodalità». Egli scriveva: «È necessario che una lode sia unisca alle altre lodi sicché nascano acclamazioni tali da formare una sinfonia. La Chiesa, infatti, è un corpo in cui tutto è messo al suo posto sì da formare una compagine (sinodo) armonica».