La buona Notizia
Il Vangelo della XXIV domenica del tempo ordinario (Mt 18, 21-35)

Una conversione possibile

 Una conversione possibile   QUO-209
12 settembre 2023

La domanda di Pietro sulla “quantità di volte” cui è dovuto il perdono al fratello (Matteo, 18, 21), spinge il suo maestro Yeshua al racconto di una favola evangelica dalle tinte sorprendenti ed estreme (le chiamiamo solitamente parabole). E così il rabbi di Galilea — per scuotere i cuori dei suoi discepoli — si mette a parlar di un re, di un servo, di debiti insanabili e sanabili, di compassione viscerale e di mancata conversione: procediamo un passo per volta e accostiamoci a questo bel passo matteano.

Il primo dato sorprendente lo troviamo al versetto 23 del capito 18 di Matteo: «Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi». In questa parabola gesuana il regno dei cieli è personificato: non è una dramma perduta (Luca, 15, 8-10), né il più piccolo tra i semi (Matteo, 13, 31-32) ma una persona (Matteo, 18, 23): precisamente il regno dei cieli è un re che si lascia muovere a compassione, toccare “fin dentro le viscere”. Volendo regolare i conti, questo re comprende che un suo servo gli è debitore di «diecimila talenti»: per meglio cogliere la portata del senso teologico nascosto in queste cifre, occorre tirar giù un po’ di conti. Un solo talento equivaleva a circa seimila denari; la paga giornaliera di un operaio agricolo ai tempi era di circa un denaro: trecentosessantacinque denari l’anno o poco meno, il che significa che ad un operaio agricolo sarebbero serviti sedici anni di lavoro in tutto per raggiungere la somma di un solo talento. Proseguendo con il calcolo ci si rende conto che sarebbero stati necessari, al servo debitore, qualcosa come 160mila anni per saldare il debito contratto con il suo re. Fa sorridere e riflettere l’enorme sproporzione della cifra, assolutamente impossibile da ripagare nel corso di molti secoli: il debito contratto è radicalmente e sostanzialmente insanabile. Davanti a questo fatto al re si palesano due possibilità: o gettare il servo in prigione o condonare un debito dalle proporzioni indefinibili. Ricordiamolo: quel re è, nella trama della favola gesuana, il regno dei cieli stesso, “in persona”. Innanzi alle suppliche del servo che promette l’impossibile (sottolineo, l’impossibile): «Gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» (Matteo, 18, 26), il re è toccato fin dentro le viscere, si muove a compassione. Condona un debito inestinguibile, lascia il servo in libertà, e con lui tutta la sua famiglia. Nell’immaginario gesuano il regno dei cieli è un re che agisce con compassione e misericordia inconcepibile, indefinibile, eccessiva. Una misericordia che trabocca, precede ed eccede: agli uomini toccherà in sorte la remissione di colpe imperdonabili, di debiti radicalmente insanabili, una vita con-donata, senza fame, né spade, né prigioni, a patto che questi acconsentano ad una metànoia possibile: una conversione che, per quanto difficile, si palesa fattibile, raggiungibile. Ecco il nodo cruciale, il punto di svolta della parabola evangelica: il servo cui il re ha condonato un debito insanabile, uscito dalla sala si avventa su un suo compagno di servizio, a lui debitore di cento denari (poco più di tre mesi di lavoro). Non lo risparmia e lo fa gettare in prigione (Matteo, 18, 28-30), dimostrando così di non aver saputo offrire una sola goccia di misericordia mentre a lui ne sono stati donati interi oceani. Il regno dei cieli è, fin da questa terra, una conversione possibile; a noi soli, sta — nella Grazia — l’attuarla: consci che, quando perdoniamo al fratello, stiamo a lui donando solo un’infinitesima parte dell’amore che su di noi si è già riversato. «Nella vita ordinaria — scriveva Dietrich Bonhoeffer — raramente ci rendiamo conto che riceviamo molto di più di ciò che diamo e che è solo con la gratitudine che la vita si arricchisce». 

di Deborah Sutera