Umanizzazione
della medicina

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11 settembre 2023

Curare e prendersi cura testimoniano una visione plurale interna allo stesso contesto sanitario, così come la complessa evoluzione che l’ha interessata nel corso del tempo. La lingua inglese esplicita in modo evocativo i diversi significati connessi, passando da “to treat”, facendo riferimento al trattamento di una patologia, all’espressione “to cure” per curare l’individuo in tutti i suoi aspetti a “to care” per definire il farsi carico e il prendersi cura dell’umano. Per quanto sia necessario, a livello epistemologico, studiare l’essere umano nelle sue istanze fisiche e anatomiche, dinamiche e fisiologiche, per essere curato nelle sue specifiche parti e interazioni, va considerato sempre un sistema vivente, un organismo cui attribuire valore, ontologico ed etico.

«Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (Fratelli tutti, n°32). La persona-paziente, quando affronta la malattia, esperisce tutto il vasto insieme della sofferenza personale ed esistenziale: il “Vangelo della sofferenza”, come viene definito da Giovanni Paolo ii, possiede una paradossale forza nella fragilità dei pazienti, partecipi in modo misterioso — ma assai reale — delle sofferenze di Cristo stesso, che perciò possono condividerle con Lui e con la comunità cristiana.

La prospettiva cristiana sulla cura auspica l’identità del medico tra competenza e accoglienza, ove sia l’una che l’altra debbono intersecarsi nel tempo della vita professionale, nei luoghi di lavoro e nell’interiorità delle persone, nel fondamento antropologico più profondo. Di fronte ai bisogni materiali e spirituali della persona-paziente, il medico deve saper rispondere, tra scienza e coscienza. Porre le basi di una sinergia virtuosa significa porsi in ascolto autentico di tutti gli stakeholders per generare buone pratiche di aiuto reciproco, cooperazione, sostegno, sollievo.

Umanizzare la medicina significa imparare a “chiamare per nome” la persona-paziente che si ha di fronte, saper vedere il corpo-soggetto, oltre la malattia, e imparare ad ascoltare la storia, anche formativa, di cui ognuno è portatore e, allo stesso tempo, protagonista esistenziale.

di Cristian Righettini
Dottore di ricerca in scienze oncologiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore
e collaboratore dell’Alta scuola per l’ambiente presso la sede di Brescia