Hic sunt leones
Il complesso scenario delle reti terroristiche nel continente e gli sviluppi dopo il golpe in Niger

L’Africa Occidentale
minacciata dai jihadisti

epa10820345 Police stand guard at the roundabout leading to the French base during a protest against ...
01 settembre 2023

«Il nesso tra reti terroristiche e criminalità organizzata transnazionale (Toc) in Africa Occidentale rappresenta una delle sfide più significative per la sicurezza». È quanto emerge da uno studio redatto da due analisti, Theo Clement e Hans-Jakob Schindler, sull’interconnessione tra terrorismo e criminalità organizzata transnazionale nell’Africa Occidentale. Si tratta di un documento che rientra nell’ambito di un progetto congiunto denominato The Deteriorating Security Situation in West Africa della Konrad-Adenauer-Stiftung e del Counter Extremism Project (Cep).

La ricerca ha portato alla conclusione che «i rischi derivanti dalla cooperazione tra le reti terroristiche e quelle Toc non si limitano al solo finanziamento del terrorismo poiché i gruppi terroristici utilizzano anche la loro cooperazione con le reti Toc per ottenere l’accesso alle risorse necessarie per le loro attività, come armi e munizioni». Come se non bastasse, tale cooperazione «permette anche ai gruppi terroristici di ritagliarsi spazi che consentano loro di controllare la popolazione locale e allo stesso tempo garantire sicurezza per le attività economiche locali lecite e illecite». Pertanto, questa cooperazione è in alcuni casi anche una sorta di escamotage attraverso il quale i gruppi islamisti possono ottenere sostegno e accettazione tra le popolazioni autoctone.

Viene spontaneo domandarsi di quali gruppi terroristici stiamo parlando. Sono fondamentalmente quattro, tutti di matrice islamista. Il primo è denominato Jama’at Nusrat al-Islam wa al-Muslimeen (Jnim), che significa “Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani”. Si tratta di un’organizzazione-ombrello sotto la quale operano diverse formazioni allineate con al-Qaeda. Tra di esse figurano in particolare Ansar al-Din, al-Qaeda nel Maghreb islamico, al-Mourabitoun, e Katibat Macina. Il Jnim è attivo in Mali, Niger e Burkina Faso.

Un’altra rete terroristica molto presente sul campo è quella dello Stato Islamico nel Grande Sahara (Isgs) che rappresenta il ramo regionale del sedicente stato islamico (Is). È attivo in Niger, nel nord del Mali, così come in Burkina Faso e ha una relazione controversa con Jnim. Non è un caso se recentemente si sono verificati scontri tra Jnim e Isgs che potrebbero indicare una contrapposizione d’interessi legata al controllo delle risorse nelle loro rispettive e confinanti aree operative.

Un terzo gruppo operativo nello scacchiere è quello dello Stato islamico–provincia dell’Africa Occidentale (Iswap), originariamente uno spin-off dell’organizzazione nigeriana Boko Haram ed è molto attivo soprattutto nella regione del Lago Ciad. Vi sono delle forti similitudini tra l’Iswap e l’Isgs, non foss’altro perché fanno riferimento allo stesso concetto di “stato islamico”. La differenza sta certamente nel fatto che nei territori sotto il suo controllo, l’Iswap si è impegnato a garantire la fornitura dei servizi pubblici di base, amministrando e imponendo imposte in modo sistemico e molto regolare.

Un’altra componente terroristica, la quarta, presente nell’Africa Occidentale, è quella di Hezbollah. Com’è noto, si tratta di un movimento libanese sciita ed è anche considerato un’organizzazione militante, attiva principalmente in Medio Oriente. Attualmente è presente nell’Africa Occidentale attraverso libanesi economicamente influenti e potenti appartenenti in gran parte alla diaspora. Hezbollah è comunque molto meno visibile e operativa nell’Africa Occidentale rispetto ad altri scenari mediorientali, ma è abilissima nel garantire i legami con reti di finanziamento illecito e riciclaggio di denaro collegate all’oro, commercio di droga e diamanti nella parte meridionale del Sahel, ma anche in Paesi come Guinea, Costa d’Avorio e Sierra Leone.

Lo scenario è dunque molto complesso in quanto le reti che fanno riferimento ideologicamente al sedicente stato islamico (Is), ovvero Isgs e Iswap nella macroregione saheliana, e ad al-Qaeda (riuniti sotto l’organizzazione-ombrello Jnim) hanno di fatto il controllo di vaste porzioni di territorio riuscendo a penetrare nei circoli culturali ed etnici locali per loro inaccessibili fino a poco tempo fa. Ciò non toglie che la War on terror contro le organizzazioni terroristiche — prima fra tutte al-Qaeda —, a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, ha fatto sì che formazioni antigovernative preesistenti di matrice islamica dispiegate nel Nord Africa e nella fascia saheliana si configurassero nella galassia jihadista, attraverso un’operazione di franchising del terrore. Motivo per cui se da una parte è vero che questi gruppi islamisti hanno sfruttato i marchi della rete globale del terrore (al-Qaeda e Is) per avere visibilità, dall’altra stanno sempre più penetrando nel tessuto sociale delle popolazioni a loro sottomesse.

Da questo punto di vista, la situazione è molto allarmante in tutta la macro-regione saheliana, non solo per il golpe avvenuto in Niger, ma anche per il progressivo disimpegno delle Nazioni Unite e dei Paesi Occidentali. Ad esempio, come già scritto su questo giornale nella nostra rubrica alcune settimane fa, il Mali ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di terminare la missione di pace Minusma, operativa da undici anni nel Paese. La decisione in tal senso è stata votata all’unanimità il 30 giugno scorso. Il ritiro dei caschi blu dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno. A questo proposito il ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, ha evidenziato che la fine della missione è stata causata da un deficit fiduciario tra il suo governo e le Nazioni Unite.

Come se non bastasse, lo scorso novembre, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane e ha dichiarato che alcune truppe francesi rimarranno nella regione in base a nuovi accordi. Contemporaneamente, si è ritirata dal Mali anche l’operazione multinazionale delle forze speciali europee Takuba, mentre nel gennaio scorso, il governo burkinabé ha chiesto alla Francia di ritirare le proprie truppe rimaste nel Paese la cui presenza era finalizzata principalmente alla lotta al terrorismo jihadista.

Da notare che nel 2021, la giunta maliana ha approvato il dispiegamento di un migliaio di paramilitari russi del gruppo Wagner, utilizzati sul campo in funzione anti-jihadista. In cambio, i miliziani russi hanno avuto dalla giunta di Bamako il via libera per la creazione di due compagnie minerarie e la partecipazione in almeno tre siti auriferi a sud di Bamako. A seguito però della scomparsa, avvenuta la scorsa settimana dei leader della Wagner, Yevgeny Prigozhin e Dimitri Utkin, non è ancora chiaro se questo gruppo rimarrà dispiegato sul campo nel Sahel.

Gli interessi economico-strategici sono tali da far pensare che questi paramilitari, almeno in parte, rimarranno sul campo. Molto dipenderà anche dall’esito della crisi nigerina dove il gruppo Wagner potrebbe intervenire in difesa della giunta di Niamey. Una cosa è certa: l’insicurezza legata al jihadismo saheliano è crescente. Gli Stati costieri del Golfo di Guinea si sentono evidentemente minacciati per il progressivo avanzamento della linea rossa; una preoccupazione condivisa dai leader politici della Comunità economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (Ecowas/Cedeao). Motivo per cui, a rigor di logica, sarebbe necessario per questa istituzione regionale trovare un’intesa con la giunta nigerina, coinvolgendo gli alleati maliani e burkinabé. Solo così sarà possibile garantire l’incolumità delle popolazioni saheliane (animiste, cristiane e musulmane) messe sotto scacco dai fondamentalisti. Con l’attenzione del mondo, e soprattutto dell’Occidente, concentrata sulla guerra russo-ucraina, l’Is sembra davvero pronto a rialzare la testa.

di Giulio Albanese