Non ha un compito preciso, suor Christa Parra. Solo stare vicino. Amare. E rispondere ai bisogni che si presentano nel rifugio per persone migranti in cui opera a Ciudad Juárez, la città più popolosa dello stato messicano di Chihuahua, fondata col nome di El Paso del Norte, che dice tutto.
Christa Parra è una giovane religiosa delle suore di Loretto. Vive tra due mondi: privilegiata perché nata negli Stati Uniti, e per missione migrante tra i migranti – lei stessa terza generazione di immigrati messicani - in attesa del grande balzo verso gli Usa. Ogni mattina si mette al volante, parte da El Paso, in Texas, e in 45 minuti di auto raggiunge lo “shelter” dall’altra parte della frontiera. «Nel rifugio vivono donne con bambini. Donne vulnerabili, senza risorse, che hanno affrontato un lungo viaggio dal Sud per disperazione e pensando al futuro dei figli. Abbiamo tre casitas, casette con le cucine in comune, e poi alcuni appartamenti per le famiglie. In tutto possiamo alloggiare 60 persone». Gli ospiti arrivano da Haiti, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Venezuela e sono tutti in attesa di attraversare il ponte che separa il Messico dal Texas, sogno e incubo di ognuno.
Scaduto a maggio 2023 il Titolo 42, una misura voluta dall'amministrazione Trump per bloccare le persone migranti al confine con il Messico, oggi entrare negli Usa è una selva di regolamenti, eccezioni, possibilità. Joe Biden ha voluto che ci fosse un sistema di sponsor per gli ingressi. Funziona ma allunga le attese. In più, è necessario usare una App per prendere un appuntamento con un agente statunitense e presentarsi al punto di frontiera. Ma la App va consultata continuamente, perché le 1.000 disponibilità giornaliere si esauriscono in fretta. E poi, una volta superati anche gli intoppi tecnici (la linea che salta, la connessione precaria…) e registrati, bisogna aspettare pazientemente la chiamata.
Suor Christa a questo popolo in attesa dedica la vita. «Il nostro metodo è quello suggerito da papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare». E ascoltare. Ascoltare la tristezza di una famiglia in fuga dal Sud del Messico, dopo che un figlio e la nuora incinta sono stati rapiti dai “cartelli” (le gang criminali) e rilasciati dietro pagamento di un riscatto. O la disperazione di una giovane honduregna alla quale per motivi religiosi è stata uccisa la madre in chiesa. O, ancora, la rabbia di una piccola imprenditrice, madre di cinque figli, che in Salvador era taglieggiata e minacciata di morte se non versava una quota dei suoi ricavi… Ecco da cosa fuggono: dalla violenza, dai ricatti, dalle estorsioni e ora anche dalla siccità che trasforma in deserti i campi coltivati.
Suor Christa è la cerniera tra due mondi, tra quello “di qua” da cui si fugge e quello “di là” dove tutto può ricominciare. Una donna di frontiera, lei stessa, con le sue radici messicane e il suo passaporto statunitense. «Sento la tensione del contrasto. Essere il volto di una Chiesa di frontiera è la mia risposta alla chiamata di Dio. Porto a queste persone in fuga l’amore che ho ricevuto. Lo voglio dividere con loro. E poi per me è un privilegio – dice suor Christa, sguardo intenso e una cascata di capelli bruni -. Significa oltrepassare i confini ed entrare nel cuore delle persone, nei loro luoghi più segreti. Imparare dai drammi che hanno vissuto nei loro Paesi e per i quali hanno deciso di partire. Un giovane padre mi ha detto cosa ha significato per lui viaggiare aggrappato al tetto di un treno attraverso il Messico, con il terrore di cadere, stringendo tra le braccia il suo bambino di 3 mesi. Una mamma mi ha chiesto: sono arrivata fin qui, soffrendo la fame e lottando per non soccombere, pensi che mio figlio di 3 anni ricorderà tutto questo? Io le ho risposto: ricorderà quanto sua madre l’ha amato e ha fatto per proteggerlo. Saprà che tutto questo era per lui».
Suor Christa è giovane ed è capace di sognare. «Sì, sogno un mondo senza frontiere. Perché penso che sia un diritto umano cercare sicurezza, ricevere un’istruzione, lavorare, crescere una famiglia. I diritti non possono essere riservati solo a chi nasce dalla parte giusta del confine e ha, come me, un numero di sicurezza sociale che gli consente di avere scuola, ospedale, patente, prestiti… La gente ha il diritto di spostarsi laddove può vivere. Anzi, ha il diritto di vivere».
di Antonella Mariani
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