Benedetto xv e la “inutile strage”: voce isolata e profetica per la pace

 Benedetto  xv  e la “inutile strage”:  voce isolata e profetica per la pace  QUO-176
01 agosto 2023

Era l’agosto 1917 e la voce del Papa pronunciava per la prima volta in modo così forte e concreto una proposta di pace per far finire la “inutile strage” della Grande Guerra che sarebbe costata 16 milioni di morti e più di 20 milioni di feriti e mutilati.

Pur trovandosi isolato e di fronte a enormi difficoltà ed essendo ben conscio delle scarsissime possibilità di successo che avrebbe potuto avere un appello papale, Benedetto xv decide comunque di agire facendo tesoro dei limiti e degli errori riscontrati nelle proposte di pace che prima la Germania e poi il presidente americano Thomas Woodrow Wilson avevano avanzato nei mesi precedenti. A convincere il Pontefice dell’opportunità di tentare un passo concreto erano anche le mutate condizioni belliche nella prima metà del 1917. Le gravi perdite subite a causa degli attacchi sottomarini e il timore che gli Stati Uniti entrando in guerra prendessero il sopravvento nell’Intesa sembravano favorire una maggiore disponibilità del governo inglese che pareva ormai determinato a chiedere come unica condizione per la fine delle ostilità la completa restituzione della sovranità e dell’indipendenza del Belgio. Inoltre, la campagna militare di primavera attuata dagli eserciti anglo-francesi era fallita, e dunque la prospettiva di una vittoria in quel particolare momento sembrava allontanarsi, anche perché l’America era sì entrata in guerra, ma gli effetti della sua offensiva militare non sarebbero stati immediati. Anche la situazione in Russia favoriva più miti consigli nell’Intesa, dopo lo scoppio della rivoluzione e l’abdicazione dello zar.

Si arriva così al famoso appello papale indirizzato “Ai Capi dei Popoli belligeranti”, simbolicamente datato 1° agosto 1917, ma in realtà inviato ai destinatari soltanto il 9 agosto, dato che per il giorno prefissato il testo non era ancora stato ultimato. La Nota di pace si compone di tre parti: nella prima, una visione retrospettiva e un richiamo alle precedenti esortazioni di pace del Papa; nella seconda, un invito ai governi ad accordarsi sui princìpi e sui punti in essa specificati (la cosiddetta «minuta Pacelli», essendo stata curata dal futuro Pio xii , che aveva da poche settimane preso servizio come nunzio apostolico a Monaco di Baviera dopo aver a lungo lavorato in Segreteria di Stato); nella terza, un appello conclusivo a porre fine, tramite una trattativa, alla “inutile strage”. Benedetto xv , sulla base del riconoscimento della priorità della forza morale del diritto sulla forza materiale delle armi, sosteneva in concreto: l’accordo sulla diminuzione degli armamenti di tutte le potenze belligeranti, con norme e garanzie da stabilire; l’istituzione dell’arbitrato internazionale con funzione pacificatrice; la libertà di comunicazione e comunanza dei mari. Sul piano militare immediato, la Nota chiedeva: la reciproca condonazione dei danni e delle spese di guerra; la restituzione dei territori occupati, cioè l’evacuazione sia del Belgio che del territorio francese e la restituzione delle colonie tedesche. Per quanto riguarda le questioni territoriali fra Italia e Austria, fra Germania e Francia, bisognava seguire con spirito conciliante nella misura del giusto e del possibile il criterio delle aspirazioni dei popoli. Sulla base di questo stesso criterio, andavano esaminate le altre questioni territoriali, come quelle dell’Armenia, degli Stati balcanici della Polonia.

Si tratta di un documento davvero notevole. Lo spirito conciliativo prevale sulla classica distinzione fra vincitori e vinti. È la prima volta dall’inizio della guerra, poi, che vengono formulate delle proposte concrete per un negoziato. La Nota viene consegnata direttamente ai rappresentanti delle nazioni belligeranti che avevano rapporti diplomatici con la Santa Sede, vale a dire Belgio, Russia, Brasile e Inghilterra. Al rappresentante inglese vengono date dodici copie del messaggio in più, perché siano distribuite a Francia, Stati Uniti e agli altri Paesi in guerra contro gli Imperi centrali. Sempre il 9 agosto, l’appello papale viene spedito al nunzio in Baviera, che lo riceve solo tre giorni dopo e lo fa immediatamente recapitare a Guglielmo ii e al cancelliere Michaelis. È sempre Pacelli, su ordine della Segreteria di Stato, a trasmettere una copia della Nota al nunzio di Vienna, perché la consegni all’imperatore asburgico Carlo i .

Il ritardo nella stesura del testo fa sì che l’appello di Benedetto xv arrivi a Londra quando la riunione dei capi di Stato dell’Intesa si era già conclusa. Per ovviare a questo inconveniente, tramite un telegramma, la Santa Sede aveva già fatto pervenire in anticipo un riassunto delle proposte papali. La Nota, nelle intenzioni del Papa, non era destinata alla pubblicazione. Ma da uno dei Paesi che la ricevono viene trasmessa a un’agenzia di stampa che ne divulga il contenuto suscitando reazioni negative dei governi prima ancora che questi abbiano potuto prendere visione della copia loro destinata. I commenti contrari sono dovuti anche all’imprecisa e poco oggettiva sintesi che era stata divulgata, e quindi il Vaticano decide di rendere pubblico il documento di Benedetto xv , il cui testo originale è redatto in francese.

Dopo aver presentato le sue proposte, concrete e sagge, Papa Della Chiesa conclude: «Sono queste le precipue basi sulle quali crediamo debba posare il futuro assetto dei popoli. Esse sono tali da rendere impossibile il ripetersi di simili conflitti e preparano la soluzione della questione economica, così importante per l’avvenire e per il benessere materiale di tutti gli stati belligeranti. Nel presentarle pertanto a Voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederle accettate e di giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, appare inutile strage».

L’iniziativa di Benedetto xv fallisce. La Germania attende troppo nel far conoscere la sua risposta: i governanti tedeschi erano affascinati dai successi militari del loro esercito. Si dovranno presto ricredere, quando saranno costretti ad accettare le umilianti condizioni loro imposte dai vincitori a Versailles.

La doccia fredda per la diplomazia vaticana, in quell’estate del 1917, arriva dagli Stati Uniti: il presidente Wilson risponde a nome dei governi dell’Intesa che il fine della guerra è liberare i popoli liberi del mondo dalla minaccia e dalla forza attuale di un vasto ordinamento militare, a disposizione di un governo irresponsabile, che ha segretamente ideato il dominio del mondo, cioè quello tedesco. La Nota pontificia, riportando la situazione allo statu quo precedente l’inizio delle ostilità, permetterebbe alla Germania di recuperare la propria forza e di rinnovare la stessa politica. Per Wilson l’origine della guerra deve essere attribuita unicamente ed esclusivamente al militarismo prussiano e all’imperatore Guglielmo ii . Inghilterra, Francia e Italia ritengono che la comunicazione del presidente americano sia sufficiente e non intendono dare nessun’altra risposta al Vaticano. Alla radice di questo atteggiamento c’era il trattato segreto, firmato il 26 marzo 1915 da Italia, Inghilterra, Francia e Russia, che all’articolo 15 prevedeva l’esclusione della Santa Sede da qualsiasi partecipazione alle future trattative di pace.

La voce isolata e profetica del papa aveva proposto una via d’uscita senza vincitori né vinti, che avrebbe salvato vite umane e avrebbe con ogni probabilità cambiato le sorti della storia dei futuri decenni. (andrea tornielli)

di Andrea Tornielli