Il settimo centenario della canonizzazione di Tommaso d’Aquino
Il cardinale Semeraro inviato speciale del Papa alla celebrazione all’abbazia di Fossanova

Alunno del Maestro interiore

 Alunno del Maestro interiore  QUO-165
19 luglio 2023

Tommaso d’Aquino non «è solo un santo», la Chiesa «lo onora pure quale dottore». Questo, però, non esclude, «anzi implica che egli si è sempre fatto alunno del Maestro interiore». Lo ha sottolineato il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi, inviato speciale di Papa Francesco alla celebrazione del vii centenario della canonizzazione del domenicano, che si è svolta all’abbazia di Fossanova, martedì pomeriggio, 18 luglio.

Il prefetto ha fatto riferimento alla lettera con la quale il Pontefice lo ha nominato suo inviato speciale per l’occasione. In essa si legge che Tommaso, «da Dio ripieno dello Spirito d’intelligenza, mentre con la ragione indagava umilmente i divini misteri, li contemplava con una fede ardente».

Nel processo napoletano per la canonizzazione, che si svolse dal 21 luglio al 18 settembre 1319, i testimoni furono unanimi, ha ricordato il porporato, nell’affermare che Tommaso «fu un uomo di grande contemplazione e orazione». Veramente, ha aggiunto, non «c’è santo di cui questo non sia stato detto; per Tommaso, però, questo dobbiamo riferirlo direttamente al suo lavoro intellettuale». In effetti, Guglielmo di Tocco, che oggi potrebbe essere chiamato il «postulatore» della sua causa di canonizzazione, testimoniò che ogni volta che voleva studiare, «iniziare una disputa, insegnare, scrivere o dettare, si ritirava innanzitutto nel segreto dell’orazione e pregava piangendo per ottenere la comprensione dei divini misteri». A questo proposito, il prefetto ha ricordato un episodio che descrive bene questa consuetudine e che si svolse a Napoli, «all’epoca in cui Tommaso scriveva per la Summa di Teologia le questioni sulla passione e risurrezione del Signore». Come di solito, al mattino molto presto, il santo stava pregando nella cappella di san Nicola. Ad osservarlo c’era Domenico di Caserta, il sacrestano, che lo vide in levitazione, mentre una voce che veniva dal crocifisso gli diceva: «Hai parlato bene di me, Tommaso, quale ricompensa vuoi?». E la risposta fu: «Voglio te solo, Signore». Queste sono, ha evidenziato Semeraro, «le parole di un innamorato».

Nello stile di vita di san Tommaso, ha osservato il cardinale, c’è «un segno concreto dell’unione stretta vigente in lui fra studio e contemplazione». Meglio: «studii contemplatione, come dirà Guglielmo di Tocco; letteralmente: la contemplazione dello studio!». Questo segno è «la sua rinomata e usuale abstractio mentis, il suo apparente essere distratto, silenzioso»; quasi, con la «testa fra le nuvole», al punto da costringere i superiori «a mettergli accanto uno che lo riportasse nella realtà». Venne scelto Reginaldo di Piperno (oggi Priverno), che fu per Tommaso «come una nutrice». In effetti, studio e contemplazione non sono due operazioni distaccate, ma «un solo atto dove convergono intelligenza e amore».

Il silenzio dell’Aquinate era «espressione del suo essere assorbito in Dio». In quel Dio che «pian piano andava come prosciugando la sua mente e riempiendo il suo cuore». Da qui, nelle ultime settimane di vita, la sua confidenza a Reginaldo: «Tutto ciò che ho scritto ormai non mi sembra che paglia»! C’è chi parla, ha spiegato il prefetto, «di uno sfinimento fisico e anche psicologico», ma la risposta di Antonin-Dalmace Sertillanges, uno dei massimi tomisti moderni, è quella da lui preferita: «Quando si è facilmente compiuto il difficile, allora si guarda all’impossibile sicché, per noi uomini, il silenzio è la più alta condensazione della scienza!».

Il porporato ha poi sottolineato che per la solenne ricorrenza dei 700 anni dalla canonizzazione di Tommaso, il Papa ha inviato ai monsignori Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno; Gerardo Antonazzo, vescovo di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, e Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri, una lettera con la quale raccomanda alle Chiese di cui sono pastori e da egli stesso denominate Chiese «aquinati» di custodire la memoria viva del Doctor communis il quale, peraltro, è «un bene prezioso per la Chiesa di oggi e del domani». Questo sui tre fronti «della dimensione comunitaria della Chiesa, dell’apertura alla verità e dell’attenzione alle sfide della storia».

Dei tre punti, il prefetto ha concentrato l’attenzione sul primo. Al riguardo, ha riproposto quanto ha scritto il Papa, cioè si è chiamati a «crescere insieme come membra vive e attive del Corpo ecclesiale, strettamente unite e collegate le une alle altre». La parola di Gesù, per altro verso, ricorda che «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). L’affermazione «sorprende alquanto, perché secondo la nostra logica Gesù avrebbe dovuto dire: voi siete tutti discepoli». Invece no, ha osservato il porporato, Gesù dice: «voi siete tutti fratelli». Questo induce a domandarsi: «la parola “Maestro”, usata da Gesù a cosa, meglio: a chi deve farci pensare?». San Tommaso avverte che per capire «non dobbiamo pensare a un bravo professore, o a uno studioso preparato e intelligente, bensì al Maestro interiore, ossia allo Spirito Santo». Egli, infatti, «diversamente dal maestro umano, che opera dall’esterno», è Maestro che «illumina interiormente», preparando «i cuori a ricevere la dottrina della verità». È questa la ragione per la quale «l’ascolto dell’unico Maestro ci rende fratelli tra di noi». San Tommaso diede una spiegazione esemplare quando, probabilmente nella Quaresima del 1273, predicò a Napoli la preghiera del Pater. Egli spiegò subito che «il divino Maestro non insegnò a dire soltanto: Padre bensì Padre nostro, precisando che questa preghiera il cristiano la recita non a nome proprio, ma in persona Ecclesiae, a nome della Chiesa». Chi rende possibile tutto questo «è lo Spirito del Risorto». È lo Spirito «la fonte che fa rifluire nel corpo la grazia di Cristo Capo ed è sempre lo Spirito il principio di connessione di tutte le membra tra loro». In questo Tommaso, ha detto il prefetto, «è senz’altro erede di sant’Agostino; egli, però, esplicita quella dottrina ricordando che lo Spirito opera solo a condizione che noi gli corrispondiamo mediante una fede operosa, ossia la carità fraterna». Per agire, Dio «si attende sempre una libera risposta da noi!». È quello che il Papa ha sottolineato quando nella sua lettera ha scritto che la dimensione comunitaria della Chiesa «si nutre e si manifesta nella vita sacramentale e nella liturgia, nella spiritualità, nella diakonia culturale e intellettuale, nella testimonianza credibile, nella carità e nell’attenzione ai più poveri e vulnerabili».

di Nicola Gori