Hic sunt leones
Nel continente cresce la dipendenza dal fumo complici tassazione bassa e politiche deboli

All’Africa serve cibo
non tabacco

 All’Africa serve cibo non tabacco   QUO-161
14 luglio 2023

L’Africa è il continente delle grandi contraddizioni. Una tra le tante è quella legata al business del tabacco. Emblematico è il caso dello Zimbabwe (ex Rhodesia). In questo Paese dell’Africa australe le dimensioni delle coltivazioni di tabacco sono aumentate nel corso degli ultimi dodici mesi, nonostante l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti causato dalla guerra russo-ucraina. La coltivazione di questo prodotto rappresenta il 10 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) dello Zimbabwe.

Ma veniamo al paradosso. Nel mondo, quasi 830 milioni di persone soffrono la fame. Di questi, 278 milioni (circa il 20 per cento) sono in Africa. Inoltre, in termini generali, il 57,9 per cento della popolazione africana soffre di insicurezza alimentare da moderata a grave. Ciò nonostante, negli ultimi quindici anni, la coltivazione del tabacco africano è aumentata di quasi il 20 per cento, sottraendo terreno alle coltivazioni alimentari. Ciò mette a repentaglio il raggiungimento del secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile (Sdg) da parte della macroregione; un importante traguardo che mira a porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare e migliorare la nutrizione, promuovendo un’agricoltura sostenibile. L’incremento produttivo del tabacco che penalizza la produzione alimentare avviene peraltro in concomitanza con l’intensificazione dei principali fattori che oggi acuiscono a livello continentale inedia e pandemie, vale a dire: i conflitti, i cambiamenti climatici e gli shock economici a cui sono sottoposti i Paesi africani.

Per molti agricoltori africani la coltivazione di tabacco sembrava portasse benefici economici, anche grazie agli incentivi iniziali messi a disposizione dalle grandi aziende straniere. Ma i guadagni sono stati temporanei e illusori. Peraltro, nel medio e lungo termine, queste piante — appartenenti alla famiglia delle solanacee — producono danni insanabili all’ecosistema, impoverendo il suolo e danneggiando l’ambiente. Tutto questo sottraendo terreno alla coltivazione di colture alimentari che potrebbero sfamare la popolazione. Secondo uno studio pubblicato da «Tobacco Control», una rivista specializzata, nel 2021, quasi il 60 per cento di un campione di circa 400 agricoltori di tabacco ha dichiarato di essere indebitato.

A livello mondiale i maggiori coltivatori di tabacco sono la Cina, l’India e il Brasile. Ma queste coltivazioni, come abbiamo visto, sono fiorenti anche in Africa. Oltre allo Zimbabwe, nella macroregione afro i principali hub produttivi si trovano in Algeria, Kenya, Nigeria e Sud Africa. Vi sono comunque anche altri Paesi produttori di tabacco come la Tanzania, lo Zambia e il Mozambico e in una certa misura l’Uganda e l’Angola. Per non parlare della Costa d’Avorio sul versante occidentale del continente. Nel 2018, poco prima della pandemia da covid-19, il Sud Africa è risultato essere il principale produttore di sigarette in Africa.

Lungi da ogni retorica, siamo di fronte a quella che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito una vera e propria «epidemia del tabacco», una delle più grandi sfide per la salute pubblica che il mondo abbia mai affrontato. Basti pensare che determina la morte di più di otto milioni di persone a livello planetario ogni anno.

Il tabacco — è bene rammentarlo — è stato, tra gli anni Sessanta e gli anni 2000, un generatore di incredibili introiti per le aziende della filiera. Grazie poi all’onda salutista sviluppatasi negli ultimi venti anni, il consumo di tabacco nei Paesi industrializzati è man mano calato. Ciò grazie anche agli interventi di natura legislativa che hanno impedito alle aziende produttrici del settore di potersi reclamizzare. Diminuzione, comunque, non significa estinzione; inoltre le grandi compagnie hanno saputo cavalcare l’onda del cambiamento uscendone, in alcuni casi, più forti di prima. Infatti, se da una parte è vero che il numero di persone che consumano i prodotti del tabacco (sigarette, sigari, tabacco da masticare e tabacco da pipa) sta diminuendo nel Nord del mondo grazie all’impegno profuso dai governi locali, la dipendenza sta invece aumentando nella macroregione africana. Ad esempio, secondo i dati dell’Oms, su oltre un miliardo di fumatori a livello mondiale, quasi l’80 per cento vive in Paesi a basso e medio reddito. Quelli africani rientrano in questa quota di mercato che alletta le aziende del settore. I principali produttori transnazionali di tabacco in Africa sono la British American Tobacco (Bat), l’Imperial Brands, la Philip Morris International (Pmi) e la Japan Tobacco International (Jti). La Bat in questi anni si è particolarmente distinta detenendo la quota di mercato maggioritaria in due terzi dei Paesi africani e ottenendo addirittura una sorta di quasi-monopolio in alcuni di questi, tra cui il 51,7 per cento in Uganda, il 78,8 per cento in Kenya, il 71,4 per cento in Sud Africa e il 79 per cento in Nigeria. Oltre a queste multinazionali, in Africa vi sono anche aziende private locali in diversi Paesi, tra cui Botswana, Sud Africa, Zimbabwe, Kenya, Angola, Mozambico, Malawi, Zambia, Seychelles, Uganda, Etiopia e Capo Verde.

Considerando che la popolazione africana ammonta a 1,4 miliardi di abitanti e che il 50 per cento ha meno di 20 anni (per capire quanto sia elevata questa percentuale basti pensare che in Cina, un Paese che da solo ha una popolazione superiore al miliardo di abitanti, la percentuale di abitanti sotto i 20 anni è solo il 28 per cento), il fumo alletta sempre più le giovani generazioni africane. Il 18 per cento dei giovani africani (21 per cento ragazzi, 13 per cento ragazze) fa uso attualmente di qualsiasi tipo di prodotti tabaccosi. Il 6,5 per cento dei giovani (9,2 per cento ragazzi, 3,2 per cento ragazze) fuma sigarette, mentre circa il 12 per cento dei giovani (12,8 per cento ragazzi, 10,1 per cento ragazze) fa uso di prodotti del tabacco diversi dalle sigarette.

Purtroppo sono pochi i Paesi africani che soddisfano gli standard dell’Oms. Il continente ha infatti una tassazione del tabacco bassa, politiche antifumo deboli e meno restrizioni sulla pubblicità del tabacco rispetto ad altre regioni del mondo. Tuttavia, il rapporto dell’Oms sull’epidemia globale di tabacco nel 2021 ha evidenziato progressi nell’attuazione da parte, tra gli altri, di Etiopia, Nigeria, Costa d’Avorio, Niger, Madagascar, in particolare sull’adozione di leggi antifumo, avvertenze sui pacchetti di sigarette e sull’introduzione di divieti della pubblicità, promozione e sponsorizzazione del tabacco, anche nei punti vendita. Una cosa è certa: il fatto che nel corso degli ultimi anni la coltivazione del tabacco si sia spostata in Africa è dipeso soprattutto dal contesto normativo che è risultato essere favorevole all’industria del tabacco, nonché della crescente domanda locale di tabacco.

L’Oms sta lavorando con gli Stati membri dell’Unione africana (Ua) e altri partner per assistere gli agricoltori nel passaggio dalla coltivazione del tabacco ad altre colture alternative. Negli ultimi due anni, un’iniziativa rigenerativa realizzata in Kenya ha consentito a oltre 2.000 coltivatori di tabacco di passare a coltivazioni per scopi alimentari. Ciò ha rappresentato un contributo significativo a favore della sicurezza alimentare e nutrizionale, ha incrementato il reddito degli agricoltori, contribuendo al risanamento ambientale. L’estensione di questa iniziativa all’Uganda e allo Zambia è certamente di buon auspicio e dovrebbe essere adottata da tutti i Paesi produttori di tabacco in Africa.

di Giulio Albanese