La comboniana Maria De Coppi, missionaria uccisa in Mozambico
Mozambico, settembre 2022. Don Loris Vignandel, sacerdote friulano, era sicuro che sarebbe stato ucciso. Nel corso dell’irruzione armata, nella notte tra il 6 e 7 , pregava il rosario e lanciava sui social un messaggio con cui chiedeva perdono per “le mancanze”. Nel frattempo, i terroristi incendiavano la chiesa e la canonica di Chipene. Lui e il suo compagno di missione, don Lorenzo Barro, si salvarono. La comboniana suor Maria De Coppi, missionaria nel Paese africano per sessant’anni, no! Fu uccisa con un colpo di pistola.
Nel momento in cui Papa Francesco ha istituito una Commissione per elaborare un catalogo di tutti coloro che hanno versato il loro sangue per confessare Cristo nell’ultimo quarto di secolo, raggiungiamo don Loris, che un anno fa si trovava proprio dove rimase vittima la religiosa di origini venete. Ella prestava servizio a Nampula e in diversi decenni ha attraversato la fase della colonizzazione, della guerra, del terrorismo. La sua vita è stata un tutt’uno con le gioie e i dolori della popolazione mozambicana.
C’è il martirio cruento, quello che ha vissuto su questa terra suor Maria, ma c’è anche un altro tipo di martirio, quello della testimonianza quotidiana: dell’ascolto delle persone, del mettersi a disposizione delle fatiche delle famiglie. È l’altra faccia della medaglia di cui pure si è impregnata la vita di suor De Coppi che, sebbene non riuscisse più a leggere negli ultimi tempi perché non ci vedeva quasi più, non si risparmiava nel farsi prossima. Ascoltava per ore e ore, senza aspettarsi nulla. Perché l’importante è darsi. È l’eredità più bella della religiosa comboniana, per don Loris, convinto che «solo nel dono si riceve la propria vita».
«L’offerta della propria vita è qualcosa di essenziale nel dna degli uomini e delle donne di tutti i tempi», osserva il sacerdote. «Ciascuno di noi si realizza nella misura in cui decide di consegnare la propria esistenza. Mi piace questa sottolineatura del Papa — confida don Vignandel — attento alla trasmissione non solo della fede ma anche della saggezza di tanti anziani che possono aiutare le nuove generazioni nella crescita dei propri valori e della propria coscienza».
Don Loris racconta di quando era in Mozambico dove, «più si andava verso il litorale, più si incontravano persone di fede musulmana. Devi interagire con persone che hanno una fede diversa, ma nel dna — osserva il sacerdote — ci sono gli stessi sogni, le stesse preoccupazioni, le stesse speranze che hanno a che fare con la vita dei tuoi familiari, dei tuoi vicini, delle persone a cui vuoi bene. Da questo punto di vista, pensando a suor Maria, ripenso alla disponibilità a servire l’uomo e la donna che ti siedono accanto».
È la dimensione del martirio che si fonda sul credere in una fratellanza che va oltre ogni appartenenza. «È il discorso del seme che muore», spiega. Solo con questa postura spirituale si riesce ad affrontare la paura al di là del luogo fisico dove ci si può trovare. Del resto, conclude, «anche in queste nostre terre c’è chi sperimenta il martirio perché decide di vivere cristianamente la propria fede e di insegnare che ciò è possibile per i propri figli; martire è anche chi cerca di arrivare alla fine del mese con dignità, martire è chi perde il lavoro e riesce ad affrontare con il sorriso la vita».
di Antonella Palermo