Il magistero

 Il magistero  QUO-137
15 giugno 2023

Sabato 10 6

Non stancarsi
di gridare “No
alla guerra”

Anche se non posso accogliervi di persona, vorrei ringraziarvi per essere venuti [e] affermare insieme a voi il desiderio di fraternità e di pace per la vita del mondo.

Uno scrittore ha posto sulle labbra di Francesco di Assisi queste parole: «Il Signore è là dove sono i tuoi fratelli» (E. Leclerc, La sapienza di un povero).

Il Cielo che sta sopra di noi invita a camminare sulla terra insieme, a riscoprirci fratelli e a credere nella fraternità come dinamica fondamentale del nostro peregrinare.

Nell’Enciclica Fratelli tutti ho scritto che «la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza» (n. 103), perché chi vede un fratello vede nell’altro un volto, non un numero: è sempre “qualcuno” che ha dignità e merita rispetto, non “qualcosa” da utilizzare, sfruttare o scartare.

Nel mondo dilaniato dalla violenza e dalla guerra, non bastano ritocchi e aggiustamenti: solo una grande alleanza spirituale e sociale può riportare al centro delle relazioni la sacralità e l’inviolabilità della dignità umana.

La fraternità non ha bisogno di teorie, ma di gesti concreti e di scelte condivise che la rendano cultura di pace.

Tornando a casa, pensiamo a quale gesto concreto di fraternità fare: riconciliarci in famiglia, con gli amici o i vicini, pregare per chi ci ha ferito, riconoscere e aiutare chi è nel bisogno, portare una parola di pace a scuola, in università o nella vita sociale, ungere di prossimità qualcuno che si sente solo.

Sentiamoci chiamati ad applicare il balsamo della tenerezza all’interno delle relazioni che si sono incancrenite, tra le persone come tra i popoli.

Non stanchiamoci di gridare “no alla guerra”, in nome di Dio o nel nome di ogni uomo e di ogni donna che aspira alla pace.

Mi vengono alla mente quei versi di Giuseppe Ungaretti che, nel cuore della guerra, sentì il bisogno di parlare proprio dei fratelli come «Parola tremante / nella notte / Foglia appena nata».

La fraternità
è bene fragile
e prezioso

I fratelli sono l’ancora di verità nel mare in tempesta dei conflitti che seminano menzogna.... Il sentimento di fraternità che ci unisce è più forte dell’odio e della violenza, anzi accomuna tutti nello stesso dolore.

Da qui si riparte, dal senso del “sentire insieme”, scintilla che può riaccendere la luce per fermare la notte dei conflitti.

Credere che l’altro sia fratello, dire all’altro “fratello” non è una parola vuota... Significa emanciparsi dalla povertà di credersi al mondo come figli unici.

Significa superare la logica dei soci, che stanno insieme solo per interesse, sapendo andare oltre i vincoli di sangue o etnici, che riconoscono solo il simile e negano il diverso.

Penso al Samaritano che si ferma con compassione davanti al giudeo. Le loro culture erano nemiche, le loro storie diverse, le regioni ostili, ma per quell’uomo la persona trovata per strada e il suo bisogno vengono prima.

Quando gli uomini e le società scelgono la fraternità anche le politiche cambiano: la persona torna a prevalere sul profitto, la casa che tutti abitiamo sull’ambiente da sfruttare, il lavoro viene pagato con il giusto salario, l’accoglienza diventa ricchezza, la vita speranza, la giustizia apre alla riparazione e la memoria del male procurato viene risanata nell’incontro tra vittime e rei.

Dichiarazione
da Premio
Nobel

Vi ringrazio per aver dato vita alla “Dichiarazione sulla fraternità umana”, elaborata da illustri Premi Nobel. Credo che essa ci offra “una grammatica della fraternità” e sia una guida per testimoniarla ogni giorno.

Quanto vissuto oggi sia il primo passo di un cammino [per] avviare un processo: le piazze collegate da varie città del mondo, testimoniano sia la ricchezza della diversità, sia la possibilità di essere fratelli anche quando non siamo vicini, com’è capitato a me.

L’abbraccio dato e ricevuto oggi, simboleggiato dalla piazza nella quale vi state incontrando, diventi impegno di vita. E profezia di speranza.

(Discorso del Pontefice letto dal cardinale Gambetti in piazza San Pietro, in occasione
del Meeting mondiale sulla Fraternità umana)

Domenica 11

Per l’Europa
c’è bisogno
di una politica
alta e di unità
sui valori etici

Saluto i membri del Gruppo del Partito Popolare nel Parlamento Europeo, istituzione che ho visitato nel novembre 2014. Siete rappresentanti dei cittadini che vi hanno affidato un mandato. Quando ci furono le prime elezioni del Parlamento Europeo, la gente si è interessata, era un passo avanti importante nella costruzione dell’Europa unita.

Ma col passare del tempo l’interesse diminuisce e allora è necessario curare bene il rapporto tra cittadini e parlamentari. E se è difficile tenere vivo il legame all’interno di ciascun Paese, a maggior ragione lo è per il Parlamento Europeo, che è ancora più “lontano”.

Il pluralismo

È chiaro che un gruppo parlamentare debba prevedere un certo pluralismo interno.

Tuttavia, su alcune questioni in cui sono in gioco valori etici primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana occorre essere uniti. Questo [fa] pensare alla formazione permanente dei parlamentari.

È normale che anche voi abbiate bisogno di momenti di studio e riflessione in cui confrontarsi sulle questioni eticamente più rilevanti.

È una sfida che si gioca al livello della coscienza. Il politico cristiano dovrebbe distinguersi per la serietà, respingendo soluzioni opportunistiche e tenendo fermi i criteri della dignità della persona e del bene comune.

Voi avete un patrimonio ricchissimo per portare il vostro contributo alla politica europea, la dottrina sociale della Chiesa. Pensiamo ai principi di solidarietà e sussidiarietà.

Ci sono aspetti etico-politici, legati ad ognuno di questi due principi, che voi condividete con colleghi di diverse appartenenze, i quali accentuano l’uno o l’altro; ma l’intreccio dei due è proprio del pensiero sociale ed economico di ispirazione cristiana.

Un altro aspetto [è] la visione di un’Europa che tenga insieme unità e diversità.

Un’Europa che valorizzi pienamente le diverse culture che la compongono, la sua ricchezza enorme di tradizioni, di lingue, di identità, che sono quelle dei suoi popoli e delle loro storie; e che nel contempo sia capace, con le sue istituzioni e le sue iniziative politiche e culturali, di far sì che questo mosaico ricchissimo componga figure coerenti.

Ci vuole una forte ispirazione, un’“anima”, a me piace dire che ci vogliono dei “sogni”.

Ci vogliono valori e una visione politica alti, [senza] sminuire l’importanza della gestione ordinaria, della buona amministrazione.

Dovreste essere i primi a fare tesoro degli esempi e degli insegnamenti dei padri fondatori. La scommessa originaria è di puntare non solo a un’organizzazione che tuteli gli interessi delle nazioni europee, ma a un’unione dove tutti possano vivere una vita «a misura d’uomo, fraterna e giusta».

La fraternità e l’amicizia sociale penso possano essere fonte di ispirazione per chi vuole oggi ri-animare l’Europa, perché risponda pienamente alle attese dei suoi popoli.

I politici cristiani si dovrebbero riconoscere dalla capacità di tradurre il grande sogno di fraternità in azioni concrete di buona politica ai livelli locale, nazionale, internazionale.

Sfide come quella delle migrazioni o della cura del pianeta, mi pare si possano affrontare solo a partire da questo grande principio: la fraternità umana.

Non dimentichiamo come è nata l’Europa unita; non dimentichiamo la tragedia delle guerre del xx secolo.

Il graduale e paziente lavoro di costruzione di un’Europa unita che cosa aveva dentro come ispirazione? Quale ideale, se non quello di generare uno spazio dove si potesse vivere in libertà, giustizia e pace, rispettandosi tutti nella diversità?

Oggi questo progetto è messo alla prova, ma può essere rilanciato attingendo all’ispirazione originaria, che è attuale e feconda.

Chi sono quelli che vivono di più l’Europa unita? I giovani. Si comincia presto a fare periodi di studio all’estero; poi, per l’università, specialmente le specializzazioni, l’orizzonte è europeo; e così per la ricerca del lavoro.

Non mi riferisco alla triste necessità, che purtroppo c’è, di andare altrove per la mancanza di opportunità in patria; ma al fatto che è normale fare una prima parte di studi nel proprio Paese e specializzarsi in un altro.

Come avveniva nel Medioevo: si studiava un po’ a Padova, un po’ a Parigi, un po’ a Oxford o a Heidelberg. Guardiamo ai giovani e pensiamo a un’Europa e a un mondo che siano all’altezza dei loro sogni.

Il Vangelo sia la vostra stella polare e la Dottrina sociale la vostra bussola.

(Messaggio dal Policlinico Gemelli ai membri
del Gruppo del Partito Popolare Europeo
nel Parlamento Europeo)

Martedì 13

«Non
distogliere
lo sguardo
dal povero»

La Giornata Mondiale dei Poveri giunge per la settima volta a sostenere il cammino delle nostre comunità... un appuntamento che la Chiesa sta radicando nella pastorale nella domenica che precede la festa di Cristo Re dell’Universo.

Soffermarci sul Libro di Tobia [che] si apre con una scena: un padre, Tobi, saluta il figlio, Tobia, che sta per intraprendere un viaggio e gli lascia un “testamento spirituale”.

Lui è stato un deportato a Ninive e ora è cieco, doppiamente povero, ma ha sempre avuto una certezza, espressa dal nome che porta: “il Signore è stato il mio bene”.

Da buon padre desidera lasciare al figlio non tanto qualche bene materiale, ma la testimonianza del cammino da seguire nella vita: «Ogni giorno ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandamenti. Compi opere buone e non metterti per la strada dell’ingiustizia».

Il vecchio non chiede al figlio un semplice atto della memoria o una preghiera... fa riferimento a gesti concreti. «A quelli che praticano la giustizia fa’ elemosina e, nel fare elemosina, il tuo occhio non abbia rimpianti».

Stupiscono le parole di questo saggio. Infatti, Tobi ha perso la vista proprio dopo aver compiuto un atto di misericordia.

Fin da giovane [si] era dedicato a opere di carità: «Ai miei compatrioti, condotti con me in prigionia a Ninive, nel paese degli Assiri, facevo elemosine. [...] Davo pane agli affamati, abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno morto e gettato dietro le mura, lo seppellivo».

Per questo, il re lo aveva privato di tutti i suoi beni. Il Signore però aveva ancora bisogno di lui; ripreso il suo posto di amministratore, non ebbe timore di continuare nel suo stile. «Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo: la tavola era imbandita. Dissi a Tobia: “Va’, e se trovi tra i nostri fratelli deportati qualche povero che sia di cuore fedele, portalo a pranzo”».

L’esempio
di Tobia

Come sarebbe significativo se, nella Giornata dei Poveri, questa preoccupazione di Tobi fosse anche la nostra! Invitare a condividere il pranzo domenicale, dopo aver condiviso la Mensa eucaristica.

L’Eucaristia celebrata diventerebbe criterio di comunione. Se intorno all’altare del Signore siamo consapevoli di essere tutti fratelli, quanto più diventerebbe visibile questa fraternità condividendo il pasto festivo con chi è privo del necessario!

Tobia tornò con la notizia che un povero era stato ucciso e lasciato in mezzo alla piazza. Senza esitare, il vecchio Tobi si alzò da tavola e andò a seppellire l’uomo.

Tornato a casa stanco, si addormentò nel cortile; gli cadde sugli occhi sterco di uccelli e divenne cieco. Ironia della sorte: fai un gesto di carità e ti capita una disgrazia! Vien da pensare così; ma la fede insegna ad andare in profondità. La cecità di Tobi diventerà la sua forza per riconoscere ancora meglio tante forme di povertà da cui era circondato.

E il Signore provvederà a restituire al vecchio la vista e la gioia di rivedere il figlio. Quel giorno, Tobi gli si buttò al collo e pianse, dicendo: «Ti vedo, luce dei miei occhi». Ed esclamò: «Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome! Benedetti i suoi angeli santi».

Dove Tobi attinge il coraggio e la forza che gli permettono di servire Dio in mezzo a un popolo pagano e di amare il prossimo a rischio della vita? Siamo davanti a un esempio straordinario: Egli è sposo fedele e padre premuroso; è stato deportato e soffre ingiustamente, perseguitato dal re e dai vicini di casa. Nonostante sia di animo buono è messo alla prova. Come insegna la Scrittura, Dio non risparmia le prove a quanti operano il bene. Come mai? Non lo fa per umiliarci, ma per rendere salda la nostra fede.

L’attenzione verso i poveri è possibile perché Tobi ha sperimentato la povertà sulla propria pelle. Le parole che rivolge al figlio sono la sua eredità: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero».

Quando siamo davanti a un povero non possiamo voltare lo sguardo, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore. Ognuno è nostro prossimo. Non importa il colore della pelle, la condizione sociale, la provenienza.

Incontrare ogni
tipo di povertà

Se sono povero posso riconoscere chi è il fratello che ha bisogno di me. Siamo chiamati a incontrare ogni tipo di povertà, scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere.

Viviamo un momento storico [in cui] il volume del richiamo al benessere si alza sempre più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà. Si tende a trascurare ciò che non rientra nei modelli di vita destinati soprattutto alle generazioni più giovani, che sono le più fragili.

Si mette tra parentesi ciò che è spiacevole e provoca sofferenza, mentre si esaltano le qualità fisiche come se fossero la meta principale. La realtà virtuale prende il sopravvento sulla vita reale e avviene che si confondano.

I poveri diventano immagini che possono commuovere per qualche istante, ma quando si incontrano in carne e ossa subentrano il fastidio e l’emarginazione. La fretta impedisce di fermarsi, soccorrere e prendersi cura. La parabola del buon samaritano non è un racconto del passato, interpella il presente di ognuno.

Delegare ad altri è facile; offrire del denaro perché altri facciano la carità è un gesto generoso; coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano.

Ci sono uomini e donne che vivono la dedizione ai poveri e agli esclusi e la condivisione; persone di ogni età e condizione sociale che praticano l’accoglienza e si impegnano accanto a coloro che si trovano in situazioni di emarginazione e sofferenza. Non superuomini, ma “vicini di casa” che ogni giorno nel silenzio si fanno poveri con i poveri.

Non si limitano a dare qualcosa: ascoltano, dialogano, cercano di capire per dare consigli adeguati e giusti riferimenti. Sono attenti al bisogno materiale e anche a quello spirituale, alla promozione integrale della persona.

Il Regno di Dio si rende presente e visibile in questo servizio generoso e gratuito; come il seme caduto nel terreno buono della vita di queste persone che porta frutto.

La gratitudine nei confronti di tanti volontari chiede di farsi preghiera perché la loro testimonianza possa essere feconda.

Nel 60° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, è urgente riprendere le parole di san Giovanni xxiii : «Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; e ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà».

Quanto lavoro abbiamo davanti perché queste parole diventino realtà, attraverso un serio impegno politico e legislativo!

Solidarietà
e sussidiarietà

Malgrado i limiti e le inadempienze della politica, possa svilupparsi la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nell’impegno volontario di dedizione ai poveri.

Fare pressione perché le pubbliche istituzioni compiano il loro dovere; ma non giova rimanere in attesa di ricevere “dall’alto”: chi vive in povertà va anche accompagnato in un percorso di cambiamento e responsabilità.

Purtroppo dobbiamo constatare nuove forme di povertà. Penso alle popolazioni che vivono in luoghi di guerra, specie ai bambini. Nessuno potrà mai abituarsi a questa situazione; manteniamo vivo ogni tentativo perché la pace si affermi come dono del Risorto e frutto dell’impegno per la giustizia e il dialogo.

Non posso dimenticare le speculazioni che portano a un drammatico aumento dei costi che rende molte famiglie ancor più indigenti.

I salari si esauriscono rapidamente costringendo a privazioni che attentano alla dignità di ogni persona. Se in una famiglia si deve scegliere tra cibo e medicine per curarsi, allora deve farsi sentire chi richiama al diritto di entrambi i beni.

Aiutare
i giovani
a reagire

Come non rilevare il disordine etico che segna il mondo del lavoro? Il trattamento disumano riservato a tanti lavoratori e lavoratrici; la non commisurata retribuzione; la piaga della precarietà; le troppe vittime di incidenti, spesso a causa della mentalità che preferisce il profitto immediato a scapito della sicurezza.

Quante vite frustrate e persino suicidi di giovani, illusi da una cultura che li porta a sentirsi “inconcludenti” e “falliti”. Aiutiamoli a reagire, perché ciascuno possa acquisire un’identità forte e generosa.

È facile, parlando dei poveri, cadere nella retorica. È una tentazione insidiosa quella di fermarsi alle statistiche e ai numeri.

Persone
che hanno
un volto

I poveri sono persone, hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro.

Tobia insegna la concretezza del nostro agire... È una questione di giustizia. Interessarsi dei poveri non si esaurisce in frettolose elemosine; chiede di ristabilire le giuste relazioni interpersonali che sono state intaccate.

La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del mio superfluo.

Ci vuole discernimento, sotto la guida dello Spirito Santo, per riconoscere le esigenze dei fratelli. Ciò di cui hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto.

La fede insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui è presente Cristo.

Quest’anno ricorre il 150° della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino. Nella sua Storia di un’anima scrive: «La carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi nei minimi atti di virtù che vediamo praticare, ma soprattutto non deve restare chiusa in fondo al cuore: “Nessuno, ha detto Gesù, accende una fiaccola per metterla sotto il moggio ma la si mette sul candeliere, affinché illumini tutti quelli che sono nella casa”. Mi sembra che questa fiaccola rappresenti la carità che deve illuminare, rallegrare non solo coloro che sono a me più cari, ma tutti, senza eccettuare nessuno».

Con la fiaccola
della carità

In questa casa che è il mondo, tutti hanno diritto a essere illuminati dalla carità, nessuno può esserne privato. La tenacia dell’amore di Santa Teresina possa ispirare i nostri cuori in questa Giornata Mondiale, ci aiuti a “non distogliere lo sguardo dal povero” e a mantenerlo fisso sul volto umano e divino del Signore.

(Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri)