La relazione del cardinale Parolin

Vivere il servizio come dimensione della fede

 Vivere il servizio come dimensione della fede  QUO-129
05 giugno 2023

«Di fronte alle grandi questioni e minacce che investono la vita reale dei popoli e dei Paesi» non è sufficiente fare generici appelli alla pace o alla crescita economica o al rispetto dell’ambiente, ma occorre anche «concentrarci su quelle situazioni che la Centesimus annus aveva indicato come strategiche e che oggi il magistero di Papa Francesco ha ulteriormente sviluppato e aggiornato». Lo ha dichiarato con ferma convinzione il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nel corso della lectio tenuta stamane, 5 giugno, nella Sala Clementina, di fronte ai membri della Fondazione Centesimus annus pro Pontifice, nell’ambito della conferenza internazionale «La memoria per costruire il futuro: pensare ed agire in termini di comunità ( ft , 116)».

Dapprima, ha indicato il porporato, è necessario elaborare in modo più approfondito la base e il contenuto della nozione di “bene comune”, servendosi degli spunti offerti dal magistero. Partendo innanzitutto dal rapporto tra gli esseri umani «che, come segnalava san Giovanni Paolo ii nella Centesimus annus, non permette di pensare alla persona “più come produttore o consumatore di beni”, ma piuttosto come “soggetto che produce e consuma per vivere” (n. 39)». Al di fuori delle relazioni, si perdono infatti l’essenza e la dignità di persone. Significativi, a tal proposito, i due concetti nel magistero di Papa Francesco ribaditi da Parolin. In primo luogo l’amicizia sociale, che «richiede non solo il riavvicinamento tra gruppi che hanno preso posizioni diverse in un periodo storico travagliato, ma anche un rinnovato incontro con i settori più poveri e vulnerabili della società» (Fratelli tutti, 233). In secondo luogo, la cultura dell’incontro: cioè, ha spiegato il segretario di Stato, «la capacità dei diversi gruppi di unirsi e cooperare affinché le persone, in relazione, possano “aumentare la dimensione sociale della loro vita agendo come cittadini impegnati e responsabili, non come una folla influenzata dai poteri costituiti” (Evangelii gaudium, 220)».

Amicizia sociale e cultura dell’incontro sono insomma, ha puntualizzato, «i tratti distintivi di una società aperta e orientata al futuro». La prima «consente di sviluppare progetti e programmare attività che siano inclusive e non limitate alla propria comunità o al proprio Paese di origine»; la seconda «non è solo un modo per costruire comunità o per compiere sporadici atti di carità che danno l’impressione di eliminare l’esclusione, il disprezzo o la discriminazione» ma uno stile di vita che si sforza «di creare un poliedro sfaccettato le cui diverse facce formano un’unità variegata, in cui “il tutto è maggiore della parte”» (Fratelli tutti, 215).

L’immagine del poliedro, tanto cara a Papa Francesco, aiuta inoltre a capire «perché, nella composizione delle nostre società, chi è alla periferia non riesce a vedere rispettata la propria dignità e le proprie aspirazioni, o, se ciò accade, è solo dopo molto tempo e fatica, senza raggiungere i risultati sperati. Questa è la fonte della divisione, del conflitto, della sfiducia e infine dell’indifferenza» ha precisato il cardinale.

Soffermandosi sui concetti di amicizia e di incontro, il porporato ha poi esortato a non confonderli mai «con la tendenza a ridurre a un unico standard azioni individuali, attività politiche o interventi economici»; e a non servirsene «per proporre corsi d’azione, o imporre una visione ideologica della verità o distinguere tra giusto e sbagliato». Per i cristiani, «secondo la missionarietà della loro vocazione e la verità che hanno conosciuto» — ha aggiunto Parolin richiamando la Centesimus annus — «ciò comporta sempre il rispetto della libertà e della dignità della persona», che richiedono di prestare attenzione ad ogni frammento di verità che incontrano nell’esperienza di vita e nella cultura degli altri, affermando nel dialogo con loro tutto ciò che la propria fede e il retto uso della ragione hanno permesso di comprendere.

Di fronte alla realtà odierna, però, ha proseguito Parolin, «Fratelli tutti pone una domanda e dà una risposta che sono degne di nota. “Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia o unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione» (n. 14). Un approccio, questo, ha segnalato il porporato, «che mostra l’importanza di rendere credibili le azioni intraprese ad ogni livello, in contesti dove contrapposizione e conflitto sono elementi costanti, rispetto ai quali valori come libertà e giustizia sono percepiti come inadeguati». Ciò perché sono cambiati «il significato e gli effetti attribuiti» a tali valori, visto che si è assistito «ad un indebolimento della condivisione effettiva che permette la loro applicazione nei processi sociali e nelle attività politiche ed economiche». In questa prospettiva, per chi è chiamato a prendere decisioni politiche ed economiche e a programmare obiettivi e risultati proiettati, il vuoto di valori condivisi «richiede un attento discernimento per salvaguardare gli interessi generali». Non farlo, secondo il cardinale, «porta ad approcci che non si ispirano alla sussidiarietà, cioè alla preoccupazione per chi è lontano, come generalmente accade in quelle decisioni definite “globali”. In tali decisioni, solo un effettivo discernimento può badare ai principi etici che dovrebbero accompagnare considerazioni tecniche, leggi economiche o decisioni politiche».

Dinanzi a ciò, ha affermato il segretario di Stato, «le azioni intraprese e i progetti condivisi dalla Fondazione possono essere inclusivi e produrre gli effetti desiderati solo se nascono da una “buona politica”». È doveroso quindi proseguire nell’impegno «consapevoli che la vera amicizia sociale e la cultura dell’incontro non sono aspirazioni, ma certezze capaci di orientare le azioni di tutti e di ciascuno verso il bene comune. La preoccupazione per gli altri — ha rilanciato — richiede di determinare dove far convergere le risorse in modo organico e continuo, al fine di sostenere la piena realizzazione di tutti gli esseri umani, la loro crescita e le loro aspirazioni, basate sulla loro dignità e identità».

L’obiettivo di queste giornate, pertanto, ha sottolineato il porporato, «è quello di favorire momenti di riflessione e formazione» in reciproca collaborazione. Questa può sembrare una sfida «in un mondo dominato dall’incertezza, che cerca rifugio ritirandosi nella sfera del privato e quindi disinteressandosi degli altri»; ma, ha avvertito, «oggi, più che mai, dobbiamo sforzarci di leggere e rispondere ai segni dei tempi», perché chiamati, in altre parole, «ad essere una presenza al servizio degli altri, accogliendo sia le esigenze del presente che le nostre speranze per il futuro». A ciò giova, ha precisato il segretario di Stato, quello scambio di idee che permea il lavoro della Fondazione, «arricchito dalle vostre differenze, non solo di provenienza geografica, ma anche di ambiti di competenza e di impegno in ambito finanziario, imprenditoriale e istituzionale». Tale peculiarità può essere «fonte sicura di speranza»; purché, ha ammonito, «rimanga saldamente ancorata alla visione di fede, che ci permette di servire il bene comune con maggiore impegno, competenza, trasparenza e professionalità». In sostanza, «una forma di servizio ispirata al Vangelo che sappia adottare un approccio attento ai paesaggi mutevoli delle nostre società, ma senza timore di essere una voce dissidente». Vivere il servizio «come dimensione della nostra fede», ha esortato Parolin, permette di «superare i tanti conflitti e preoccupazioni che emergono nella vita della società, e offrire una risposta alle questioni che richiedono soluzioni». Solo in tal modo «i cristiani mostrano che le difficoltà sono anche un mezzo per scoprire nuove vie per promuovere il bene della comunità, intravedendo possibilità anche nei più piccoli segni positivi».