Una notizia «di grande importanza», accolta con «profonda gioia». Un «segno importante» per la Chiesa in Mongolia, una «comunità giovane e piccola» che ora riceve un grande «incoraggiamento», sia per quanto riguarda i fedeli — circa 1500 — che le decine di missionari. Con queste parole il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, esprime ai media vaticani la grande soddisfazione per l’annuncio del viaggio apostolico del Papa in Mongolia, dal 31 agosto al 4 settembre prossimi. Sarà la 43a visita internazionale per Francesco, dopo quella in programma in Portogallo a inizio agosto.
Eminenza, come ha accolto la notizia del viaggio apostolico di Papa Francesco in Mongolia?
È di grande importanza! Prima di tutto, accogliamo questa conferma ufficiale con profonda gioia e gratitudine. Ho già ricevuto diversi messaggi entusiasti di tante persone, qui in Mongolia ma anche da diversi Paesi del mondo. Tanti dicono: «Che bella notizia!». Ed è davvero una buona notizia. Questo viaggio è infatti un segno molto importante per la Chiesa in Mongolia, un segno di attenzione e di vicinanza dal Santo Padre per la nostra piccola e giovane comunità. Di questa vicinanza eravamo già consapevoli, perché il Papa ha sempre manifestato una considerazione particolare per le periferie nel mondo, come luoghi speciali di testimonianza. Ma la presenza dal successore di Pietro al nostro fianco è un vero incoraggiamento per tutti i fedeli e i missionari.
Quale comunità accoglierà il Papa?
La prefettura apostolica di Ulaanbaatar, che copre tutto il territorio del Paese, conta circa 1.500 fedeli cattolici locali, a cui si aggiungono i pochi stranieri qui presenti per lavoro o per incarichi diplomatici. La comunità missionaria è composta da 75 missionari e missionarie, in rappresentanza di 10 congregazioni religiose e 27 nazionalità. Una comunità dunque decisamente internazionale e molto variegata. I sacerdoti in totale sono 29, di cui 2 locali; 36 le religiose, oltre a 6 religiosi non sacerdoti e 3 missionari laici. I luoghi di culto ufficialmente registrati sono nove. Buona parte del lavoro missionario si concretizza in progetti di promozione umana, affiancati anche dalla ricerca culturale e dal dialogo interreligioso. Il compianto don Stefano Kim Seong-hyeon, improvvisamente scomparso la settimana scorsa a soli 55 anni, auspicando un’eventuale visita del Papa, mi confidava che sarebbe stato probabilmente l’unico caso di una Chiesa particolare in cui tutti i singoli membri avrebbero potuto incontrare di persona il Santo Padre! Assieme immaginavamo che sarebbe forse stato possibile includere tutti i fedeli in un unico scatto fotografico con Papa Francesco. La Chiesa in Mongolia è una Chiesa povera e piccola, siamo pochi, non abbiamo molte risorse. Ma nelle piccole comunità c’è una attenzione reciproca forte, significativa e i legami che si formano tra le persone sono segnati da un edificante senso di verità e autenticità. Ciò significa che la fraternità, ad esempio, è molto spontanea, perché le persone vogliono il meglio l’una per l’altra! C’è qualcosa della Chiesa primitiva. Il che non significa che non ci sia un senso della storia. Formalmente, la Chiesa in Mongolia è nata in anni recenti, ma in un mondo in rapido cambiamento e in un Paese con una lunga storia alle spalle, dove in certi momenti si possono trovare tracce della presenza cristiana. Le persone che vengono a trovarci da fuori sono spesso segnate da quella che definirei una “freschezza spirituale”. Come missionario che serve questa Chiesa da circa vent’anni, posso testimoniare questa freschezza.
I cristiani in Mongolia sono una minoranza. Com’è il rapporto con le altre fedi?
La convivenza interreligiosa è un’eredità che viene da lontano e che affonda le radici nella politica tollerante dei Khan mongoli (xii secolo, ndr). Il cristianesimo era conosciuto e praticato già intorno al Mille e ci piace ricollegarci idealmente a questa tradizione antica. L’anno scorso abbiamo celebrato i primi trent’anni di effettiva presenza della Chiesa cattolica nel Paese in epoca contemporanea. Il dialogo interreligioso fa parte dell’evangelizzazione, non tanto come strategia, ma come mezzo di testimonianza per la Chiesa. Il rapporto interreligioso è come un’amicizia, una storia sempre basata sulla fiducia reciproca e che si costruisce nel tempo. Si tratta di vivere esperienze insieme, di camminare insieme. La nozione di minoranza nasce dall’osservazione esterna, ma qui la gente non pensa in questi termini, pensa piuttosto a come vivere in fedeltà al Vangelo ogni giorno.
Quali frutti spera che la presenza del Santo Padre produrrà per la Mongolia e l’Asia?
È importante che la Mongolia sia maggiormente conosciuta nel mondo, proprio per la sua ricchezza culturale e religiosa, oltre che per la sua storia. La visita del Santo Padre certamente contribuirà a portare alla ribalta la bellezza di questa terra e la nobiltà della sua gente, custode di tradizioni molto profonde che da sempre caratterizzano questa regione dell’Asia. Per la piccola comunità cattolica, ovviamente, sarà un dono di grazia speciale, pensando al silenzioso e fecondo lavoro di tanti missionari e missionarie che hanno dato la loro vita per il Vangelo e continuano a farlo, lontano dai riflettori, per il solo bene delle persone qui presenti. La mia speranza è che questo viaggio segni dunque un ulteriore passo nella costruzione di rapporti di fiducia e di amicizia, dentro i quali si vive e si testimonia davvero il Vangelo.
di Deborah Castellano Lubov