Sottrarre il mondo digitale alla fredda logica
«Il focus è l’uomo, non la macchina. La rete nel suo senso più vero e più profondo, non la connessione. Il cuore, non l’algoritmo»: così il prefetto Paolo Ruffini ha presentato stamane, lunedì 29 maggio, nella Sala stampa della Santa Sede — attualmente in via dell’Ospedale — il primo documento del Dicastero per la Comunicazione (Dpc) «Towards Full Presence. A Pastoral Reflection on Engagement with Social Media», l’originale è in lingua inglese, ovvero: Verso una piena presenza. Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media.
Rimarcandone la dimensione teologica, il prefetto ha messo in luce che esso vuol «rispondere sia a chi è preoccupato della deriva presa dall’era digitale, sia a chi pensa che il digitale sia la soluzione magica, tecnologica di tutti i problemi. Siamo entrati nell’era social come esploratori, pensandola come una terra promessa; e rischiamo di uscirne come oggetti, merce da pesare e vendere un tanto al chilo. Cercavamo un ordine fondato sulla condivisione della verità e ci troviamo con uno basato sulla disinformazione». Ma, ha rilanciato, «il mondo digitale, anche quello dei social, non è immobile. Sta a noi tutti trasformarlo, sottrarlo alla fredda logica del mercato, del profitto e del marketing; liberarlo dai dogmi unilaterali delle aziende che lo gestiscono, per riconsegnarlo al criterio del bene comune, della condivisione gratuita. Sta a noi rinegoziare le regole» e «gli algoritmi, riappropriarci delle relazioni».
A “suggerirgli” questa chiave di lettura, un passo della lettera pastorale Effatà per l’anno 1990-1991 in cui il cardinale Carlo Maria Martini scrisse che «comunicare è difficile, richiede un va e vieni dialogico, interlocutori pazienti, benevoli e attivi; per rendere la comunicazione attiva, reciproca, non semplicemente passiva o rassegnata». Perché, ha chiarito Ruffini, solo «se riusciremo ad attivare questo processo ne verrà fuori quello che Martini definì un vero e proprio “esercizio di comunicazione”. Una comunicazione capace di produrre cambiamenti».
All’inizio del suo intervento il prefetto si è chiesto a chi è rivolto il documento, come nasce e chi lo ha scritto. A tutti, è stata la prima replica, «non solo ai credenti» né tantomeno soltanto «ai professionisti» del settore. Esso è «una risposta alle tante domande che sono state rivolte a questo Dicastero; sia nelle visite “ad limina”, da parte da tanti vescovi, sia da altri interlocutori». Infine ha rivelato che «è frutto di un cammino percorso insieme: a giovani comunicatori, agli esperti, ai nostri membri e consultori, prima durante e dopo l’ultima plenaria» tenutasi nell’autunno scorso.
Infine ha annunciato che all’indirizzo https://www.fullypresent.website/ è possibile trovare «alcune prime indicazioni di quello che si può fare per contribuire a una riflessione comune, come la possibilità di segnalare, in una mappa del mondo predisposta, documenti delle Chiese locali, testi accademici, iniziative». Perché si tratta di «condividere le buone pratiche e maturare insieme nel discernimento». L’hashtag per la campagna social è #FullyPresent.
Illustrando poi il logo del sito web, che raffigura due pesciolini stilizzati — la realizzazione è stata affidata al gruppo di 16 giovani comunicatori del programma “Faith Communication in the Digital World”, progetto pilota di formazione che il Dpc porta avanti da tre anni — il prefetto ha detto che «il pesce è un simbolo cristiano, lo sguardo esprime la dinamica dell’incontro» e in esso «i nostri giovani hanno sintetizzato l’esperienza del loro percorso e della loro ricerca. Invitandoci a lavorare nel mondo digitale per una comunicazione fatta per unire e non per dividere, per costruire relazioni e non contrapposizioni».
Gli ha fatto eco monsignor Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero, riprendendo il magistero degli ultimi Pontefici sul tema: da Paolo vi , che stabilì «un’intima relazione fra Evangelizzazione e Cultura» — sebbene, ha osservato, «questo principio non risulta una novità se guardiamo la storia e la vita dei missionari» che «prima ancora di andare in missione, imparavano la lingua, le abitudini e anche le credenze dei popoli per meglio comunicare il Vangelo» — a Giovanni Paolo ii , che diceva «non basta usarli (i media) per diffondere il messaggio... ma occorre integrare il messaggio in questa “nuova cultura”»; da Benedetto xvi che «compara la nostra realtà con quella dell’inizio apostolico» a Francesco che approfondisce: «Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri».
Le voci femminili sono state quelle di due religiose: Nathalie Becquart, dell’Istituito “La Xavière, Missionnaires du Christ Jésus” ( x.m.c.j. ), sottosegretaria della segreteria generale del Sinodo, e Veronica Donatello, delle Suore Francescane Alcantarine ( s.f.a .), responsabile in seno alla Conferenza episcopale Italiana (Cei) del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità. Membro la prima e consultore la seconda del Dicastero per la Comunicazione, entrambe hanno sviluppato nei loro interventi i temi del documento nei rispettivi ambiti di competenza. Suor Becquart ha ricordato come esso sia nato in ambito sinodale «dopo un processo di consultazione e riflessione». In particolare — ha spiegato — «i giovani durante il pre-sinodo» ad essi dedicato (2018) avevano richiesto «di formalizzare in “un documento ecclesiale ufficiale” riflessioni per aiutarli “a discernere un uso coretto di internet” per vederla come “uno spazio fecondo per l’evangelizzazione” (§4). Poi, più di recente, anche nelle assemblee continentali del Sinodo 2021-2024 (https://www.synod.va/en/synodal-process/the-continental-stage/final_document.html) dal Medio Oriente all’Asia, all’America Latina si sono levate «voci che invitano la Chiesa a tenere maggiormente conto della cultura digitale e dell’impatto dei social network sull’annuncio del Vangelo», soprattutto «in quest’era post-pandemica». Secondo la sottosegretaria della segreteria generale il documento «unisce le tre parole chiave del Sinodo invitando tutti i cristiani a essere “tessitori di comunione”, ad avanzare insieme attraverso una presenza che prevede l’ascolto, il dialogo e il senso della comunità per agire come “missionari dell’incontro”. E, ha concluso, «in questa dinamica sinodale» esso «invita a lavorare e discernere insieme nella diversità delle comunità cristiane come camminare insieme “onlife”».
Da parte sua suor Donatello — promotrice della App del Dicastero “Vatican For All” indirizzata all’accesso dei contenuti di informazione sull’attività del Papa e della Santa Sede alle persone con disabilità comunicative — ha parlato dell’ascolto come spazio di incontri e appartenenza. Per le Persone con disabilità (PcD) «i social sono una finestra sul mondo, una possibilità di entrare a farne parte» ha detto offrendo alcuni esempi concreti. Quindi ha sottolineato che «i like non bastano» rimarcando l’importanza dell’educazione e della relazione, nel centenario di Don Lorenzo Milani, con il suo invito a mettersi nei panni delle persone che si incontrano».
Perché come scrisse Papa Francesco nel 2014 — nel suo primo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali — «la rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore».