Tutto cambia rapidamente. Fino a qualche mese fa la pratica della “maternità surrogata” o “utero in affitto” (o “gestazione per altri” come usa il vocabolario del politically correct) era in Italia legittimata, sottovoce e con pudore, solo dalle frange più radical (e più ricche) della società. Anche buona parte del movimento femminista non esitava a definirla un “mercato degradante” del corpo e della psiche delle donne (povere). Nel giro di poche settimane le cose sembrano però cambiate.
Mentre i problemi, gravi, che affliggono il Paese invece non sono cambiati. Il perseguimento degli obbiettivi del Pnrr procede a fatica, altrettanto dicasi della ripresa economica post covid, gli immigrati spinti dalla fame e dalle guerre si moltiplicano, l’inflazione e le bollette hanno reso ancora più precaria la vita di tante famiglie. I poveri sono ancora più poveri. E, allargando l’orizzonte, ci si ritrova ogni sera a seguire la metà del telegiornale dedicata alla follia della guerra che sconvolge l’Europa. E, se tutto ciò non bastasse, si è aggiunta anche la tragedia dell’Emilia-Romagna sconquassata da un’alluvione figlia del cambiamento climatico e dell’insufficiente cura del territorio.
Eppure... eppure il tema del giorno sui media sembra inevitabilmente essere quello della maternità surrogata, che pure riguarda al massimo qualche centinaio di benestanti in tutto il Paese. Assolutizzazione dei diritti reclamati dai pochi.
Ora, che questo possa essere argomento che appassiona una politica che ha ormai perso il contatto con la realtà popolare, passi pure. Ma che arruoli anche quella che una volta veniva considerata l’intellighenzia culturale più prestigiosa del Paese è insieme sorprendente e deprimente. Scrive giovedì scorso, su un quotidiano nazionale, l’affermato giurista, ed ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky : «Il divieto dell’utero in affitto appare giustificato in quanto estrema barriera contro la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile… Però, c’è un però che è da ipocriti ignorare. Il prezzo della surroga è assai alto. Si dice che vari dai 20 ai 50.000 dollari. Sono somme enormi nei paesi poverissimi dove vive parte delle donne che si prestano. Per loro e per i loro figli può essere l’ occasione, se non del benessere, almeno della sopravvivenza. Chi si oppone a questa pratica in tutto “l’orbe terraqueo” in nome dei propri “sani” [“sani” è veramente tra virgolette nel testo originario, ndr] principi etici, considera questo aspetto della questione?»
Confessiamo di aver letto tre volte di seguito l’appassionato interrogativo dell’illustre giurista, tanto eravamo convinti, increduli, di aver compreso male o di aver scovato un refuso incolpevole. Poi dopo esserci ripresi dallo sconvolgimento che l’affermazione del professor Zagrebelsky ci aveva procurato, abbiamo provato — con la temerarietà della nostra somma incompetenza dottrinale — a seguire e sviluppare il perspicace dubbio del giurista, e a nostra volta ci siamo posti un paio di domande analoghe che sottoponiamo alle sensibili e solidaristiche coscienze di tutti.
Ma se un’inusitata stretta repressiva a Roma o Milano portasse all’arresto di quel paio di migliaia di spacciatori di droga che le popolano, qualcuno si domanda come potrebbero i suddetti continuare a mantenere le proprie famiglie? O, se in nome di un anacronistico rigurgito moralistico venisse in mente di ripulire i marciapiedi da quelle povere disgraziate che li affollano nelle ore notturne, qualcuno si è chiesto poi di cosa le poverette potrebbero mai campare?
Ha ragione Zagrebelsky: bando all’ipocrisia! Anzi cominciamo a pensare all’utero in affitto (sorry, alla “surrogata”) come un utile ammortizzatore sociale. È anche un buon modo per aiutarle a casa loro: noi ci prendiamo i figli e loro non emigrano. La soluzione si trova sempre, no?
di Roberto Cetera