Quando Francesco
Le scarpe. A Barbiana devi fare i conti con le scarpe, quando te le ritrovi subito bianche di polvere e insufficienti a proteggerti nel districarti tra sassi e saliscendi. Anche se di Barbiana sei il priore. Persino se sei il Papa. E sì, ci vogliono scarpe robuste per muoversi a Barbiana, piccola, povera terra di sassi affacciata sulla valle del Mugello, generosa solo di castagne, funghi e more nelle siepi di rovi. A renderla preziosa sono una memoria e una tomba, quelle del prete Lorenzo Milani che vi ha tracciato — con i suoi scarponi — sentieri incancellabili di concreto servizio evangelico, capaci di condurre ancora oggi alle tante “barbiane” del mondo, sporcate da ingiustizie e miserie.
Di Papa Francesco — che a Barbiana è stato in pellegrinaggio il 20 giugno 2017 arrivando da Bozzolo dove aveva reso visita a un altro parroco, don Primo Mazzolari — fin dalla sua elezione colpirono proprio le scarpe, adatte alle strade scalcinate delle periferie del mondo e della storia più che ai pavimenti levigati dei palazzi. Scarpe per camminare in punta dei piedi anche, quasi sei anni fa, per salire lassù a Barbiana a pregare davanti alla tomba non di un agitatore sociale ma di un prete cattolico che aveva fatto «indigestione di Cristo».
E proprio quella tomba ne è prova concreta: la prima cosa che fece don Lorenzo arrivato a Barbiana fu comprare il terreno in cui sarebbe stato sepolto, per far capire a se stesso e ai suoi centoventi parrocchiani che sarebbe rimasto sempre lì con loro, fino alla morte. E oltre. Così il primo gesto del Papa pellegrino a Barbiana è stato proprio la preghiera davanti a quella tomba povera, dove don Lorenzo riposa vestito con i paramenti sacerdotali bianchi. Ma senza più ai piedi quegli scarponi, conservati nella piccola canonica.
Dopo aver deposto un cesto di rose bianche sulla tomba, Francesco è entrato nella cappellina del cimitero per imprimere, di suo pugno, la sua preghiera sul sobrio quaderno dei visitatori: «Ringrazio il Signore per averci dato sacerdoti come don Milani».
Un centinaio di metri o poco più separa il piccolo cimitero dalla chiesetta di Sant’Andrea. Sui sentieri di Barbiana suona persino banale insistere sull’attualità religiosa e civile di don Milani. Dal suo tempo, ingiustizie e povertà non sono diminuite. E oggi fa parte dell’insegnamento di Francesco rilanciare l’evidenza che la Barbiana povera di allora — così come apparve a don Lorenzo il 6 dicembre 1954 «senza luce, acqua, pane e strade» — si riflette nelle tante “barbiane” del nostro tempo, quelle che il Papa ben conosce e attraversa con scarpe da prete tra la gente.
Nonostante la letteratura sterminata su don Milani sembra incredibile che ci sia qualcosa di nuovo da dire e che questo qualcosa possa essere decisivo per il futuro. Invece è così. Ma per capirlo, forse, bisogna proprio salire fin lassù proprio come ha fatto il Pontefice, decidendo di sporcarsi la veste bianca tra quella polvere. In una visita che Francesco ha voluto «in forma riservata e non ufficiale»: non c’erano autorità ad accoglierlo.
Il Papa ha voluto far da riparatore di memorie dando atto — anche con le sue forti parole nel giardino della canonica — che il parroco Milani ha trasformato la sperduta Barbiana in un luogo in cui gli ultimi hanno trovato, e continuano a trovare, la parola. Acquisendo dignità. Lassù ogni volta, e più ancora con il Papa, risulta evidente che don Milani resterà contemporaneo di ogni generazione anche per quello che è il fondamento del suo apostolato: la scuola, la «questione educativa», e cioè la formazione delle coscienze e l’attenzione ai più deboli.
È un segno che vale più di mille parole il Papa che visita le stanze della canonica-scuola di don Lorenzo, accompagnato dai protagonisti di quell’esperienza.
Francesco ha potuto leggere il piccolo cartello divenuto quasi il logo di Barbiana: I care, mi importa, mi riguarda, mi coinvolge. Scritto in inglese, quasi a prefigurare una mondialità di partecipazione solidale alla tutela dell’uomo, contrapposta a quel «me ne frego» fascista che aveva segnato una pagina oscura. Sono i temi di don Milani. Sono i temi di Papa Bergoglio che, nella visita alla canonica, ha visto anche la piccola officina a piano terra, pensata per dare un mestiere ai ragazzi.
Francesco ha salutato tutti, uno per uno, ascoltandone le storie in quella “aula magna” all’aperto che è il pergolato, accanto alla piccola piscina che don Lorenzo volle per i ragazzi. E al Pontefice si sono presentati anzitutto proprio gli ex allievi — con Adele Corradi, proprio la destinataria della famosa Lettera alla professoressa — anche quelli di Calenzano: se Barbiana è “il capolavoro” di don Milani, Calenzano ne è stata l’“officina”.
È in questo contesto essenziale che Francesco è divenuto “barbianese onorario”. Lo era già, ma salendo fin lassù ha voluto riaffermarlo di persona. Lasciando anche un calice per la chiesa di Barbiana. È stato un “miracolo” vedere il Papa a Barbiana? In realtà Cristo passa anche di lì, come non si ferma a Eboli.
di Giampaolo Mattei