Il magistero

 Il magistero  QUO-120
25 maggio 2023

Venerdì 19

Crimine
contro l’uomo
e contro
il futuro

Mentre il vertice del g 7 si riunisce a Hiroshima per discutere questioni urgenti dinanzi alle quali si trova attualmente la comunità mondiale, desidero assicurare la mia vicinanza e la mia preghiera.

La scelta del luogo è particolarmente significativa alla luce della continua minaccia del ricorso ad armi nucleari.

Ricordo la profonda impressione che mi ha lasciato la commovente visita al Memoriale della Pace durante il mio viaggio in Giappone nel 2019.

Stando lì in piedi in silenziosa preghiera e pensando alle vittime innocenti dell’attacco nucleare avvenuto decenni prima, ho voluto ribadire la ferma convinzione della Santa Sede che «l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune» (Discorso al Memoriale della Pace, 24 novembre 2019).

È a quel futuro che uomini e donne responsabili guardano ora con preoccupazione, specialmente sulla scia della esperienza di una pandemia globale e del persistere di conflitti armati in diverse regioni, tra cui la devastante guerra che si sta combattendo sul suolo ucraino.

Gli eventi degli ultimi anni hanno reso evidente che solo insieme, in fratellanza e solidarietà, la nostra famiglia umana può cercare di curare le ferite e costruire un mondo giusto e pacifico.

Nel mondo multipolare del ventunesimo secolo la ricerca della pace è strettamente collegata al bisogno di sicurezza e alla riflessione sui mezzi più efficaci per garantirla.

La sicurezza globale deve essere integrale, capace di abbracciare questioni come l’accesso a cibo e acqua, il rispetto dell’ambiente, l’assistenza sanitaria, le fonti energetiche e l’equa distribuzione dei beni.

Un concetto integrale di sicurezza può servire a rinsaldare la cooperazione internazionale tra attori governativi e non governativi, sulla base della profonda interconnessione tra tali questioni, la quale rende necessario adottare un approccio di cooperazione multilaterale responsabile.

Hiroshima, come “simbolo della memoria”, proclama l’inadeguatezza delle armi nucleari per rispondere alle grandi minacce odierne alla pace e per garantire la sicurezza nazionale e internazionale.

Basta considerare l’impatto umanitario e ambientale catastrofico che risulterebbe dall’uso di armi nucleari, come anche lo spreco a la cattiva destinazione di risorse umane ed economiche che la loro produzione comporta.

Né dobbiamo sottovalutare gli effetti del persistente clima di paura e sospetto generato dal mero possesso delle stesse, che compromette la crescita di un clima di fiducia reciproca e di dialogo.

Le armi nucleari e le altre armi di distruzione di massa rappresentano un moltiplicatore di rischio che dà solo un’illusione di pace.

Il vertice del g 7 a Hiroshima dia prova di una visione lungimirante nel gettare le fondamenta per una pace duratura e per una sicurezza stabile e sostenibile a lungo termine.

(Lettera al vescovo di Hiroshima per il g 7)

Domenica 21

La conquista del cielo

Oggi in molti Paesi si celebra l’Ascensione del Signore. È una festa che può far sorgere due domande.

La prima: perché festeggiare la partenza di Gesù dalla terra? Sembrerebbe che il suo congedo sia un momento triste, non precisamente qualcosa di cui gioire! Perché festeggiare una partenza?

Seconda: cosa fa Gesù adesso in cielo? Con l’Ascensione è accaduta una cosa nuova e bellissima: Gesù ha portato la nostra umanità, la nostra carne in cielo, cioè l’ha portata in Dio.

Quell’umanità, che aveva preso in terra, non è rimasta qui. Gesù risorto non era uno spirito, no, aveva il suo corpo umano, la carne, le ossa, tutto, lì, in Dio, sarà per sempre.

Dal giorno dell’Ascensione Dio stesso è “cambiato”: da allora non è più solo spirito, ma per quanto ci ama reca in sé la nostra stessa carne, la nostra umanità!

Il posto che ci spetta è dunque indicato, il nostro destino è lì.

Così scriveva un antico Padre nella fede: «Splendida notizia! Colui che si è fatto per noi uomo […], per renderci suoi fratelli, si presenta come uomo davanti al Padre, per portare con sé tutti coloro che gli sono congiunti» (S. Gregorio di Nissa, Discorso sulla risurrezione di Cristo, 1).

Oggi festeggiamo “la conquista del cielo”: Gesù che torna al Padre, ma con la nostra umanità. E così il cielo è già un po’ nostro. Gesù ha aperto la porta.

Lì sta per noi davanti al Padre, gli mostra continuamente la nostra umanità, mostra le piaghe.

Gesù, davanti al Padre, prega facendogli vedere le piaghe. “Questo è quello che ho sofferto per gli uomini: fai qualcosa!”.

Gli fa vedere il prezzo della redenzione, e il Padre si commuove.

Gesù non ci ha lasciati soli. Prima di ascendere ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

È sempre con noi, ci guarda, è «sempre vivo per intercedere» a nostro favore. Per far vedere le piaghe al Padre.

Gesù è nel “luogo” migliore, davanti al Padre suo e nostro, per intercedere a nostro vantaggio.

L’intercessione è fondamentale. Anche per noi questa fede aiuta a non perdere la speranza, a non scoraggiarsi.

Applauso
ai giornalisti

Si celebra oggi la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema Parlare con il cuore. È il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente. Saluto i giornalisti e, gli operatori della comunicazione qui presenti, li ringrazio per il loro lavoro e auspico che sia sempre al servizio della verità e del bene comune. Un applauso a tutti i giornalisti!

(Regina Caeli in piazza San Pietro)

Lunedì 22

Una bottega
dello Spirito
per la cura
delle vocazioni

Sono contento di accogliervi a un anno dalla canonizzazione di San Giustino Maria Russolillo, apostolo delle vocazioni e fondatore della vostra Famiglia. La vostra chiamata è offrire un «servizio a tutte le vocazioni».

Questo carisma sgorga dal desiderio del giovane Giustino. Ancora seminarista, sentì l’impulso a prendersi cura delle vocazioni, in particolare di quelle al sacerdozio ordinato e alla vita consacrata.

C’è tanto bisogno anche oggi di questo. Prendetevi cura delle vocazioni: seminare, prepararle, farle crescere, accompagnarle.

Come? Guardando a San Giustino, vorrei indicarvi tre sentieri: la preghiera, l’annuncio, la missione.

Preghiera

Ognuno risponda dentro di sé a questa domanda: io prego per le vocazioni? O soltanto dico un Padre Nostro o un’Ave Maria un po’ di corsa? Offro una preghiera intensa per le vocazioni?

La preghiera è la radice di ogni nostra attività e di ogni apostolato.

Il primato non è delle nostre opere, delle strutture e delle organizzazioni, ma della preghiera.

Perché quando entriamo nello spirito della contemplazione e dell’adorazione, il Signore ci trasforma e noi possiamo essere un riflesso dell’amore del Padre per coloro che incontriamo, essere persone nuove, luminose, accoglienti, gioiose.

In particolare i giovani, vengono attratti dal nostro modo di essere e dalla scelta di vita che abbiamo fatto.

Possono scorgere la luce di Dio riflessa sui nostri volti, la sua tenerezza e il suo amore nei nostri gesti, la sua gioia nel cuore di chi si è donato e donata interamente a Lui.

Le vocazioni, soprattutto quelle di speciale consacrazione, nascono spesso così, a contatto con qualche sacerdote o qualche religiosa che mostrano una bella umanità, una pace del cuore, una gioia invincibile, un tratto amorevole e accogliente.

Ed è la preghiera che fa diventare così. Non trascuriamola!

Annuncio

San Giustino parlava del «dovere della predicazione quotidiana e della ricerca e cultura perpetua delle vocazioni», raccomandando specialmente l’insegnamento del catechismo.

Si tratta di un’indicazione che conserva importanza e rende attuale il vostro carisma nel contesto culturale odierno.

Infatti, mentre il senso della presenza di Dio va scomparendo e la fede si affievolisce, può succedere che le persone, in particolare i giovani, non riescano a capire il senso e la direzione della loro vita, e magari si accontentino di vivere alla giornata, oppure la progettino senza interrogarsi su quale sia la loro strada, quale sogno il Signore abbia per loro.

Allora si vede la necessità di tornare all’evangelizzazione: annunciare la Parola, comunicare in modo semplice e appassionato i contenuti della fede, e accompagnare le persone nel discernimento.

C’è bisogno nella Chiesa che le energie del nostro apostolato siano soprattutto indirizzate all’incontro e all’ascolto, per accompagnare nel discernimento.

Raggiungere tutti con la gioia del Vangelo, aiutare le persone nel discernimento spirituale, spendersi nell’evangelizzazione!

Spirito
missionario

Il vocazionista, dice San Giustino, è un apostolo, un missionario, un testimone del Vangelo, e «tutta la Congregazione dev’essere eminentemente missionaria».

Si tratta, nella Chiesa ma anche nella società, di comunicare la gioia del Vangelo, per dialogare coi giovani, per manifestare vicinanza alle famiglie, per fecondare le attività umane, specie quelle in campo educativo.

Una missione per la quale è necessario e prezioso il servizio di tanti laici che condividono il carisma di San Giustino.

Aggiungo un’altra cosa: Giustino raccomandava che ogni comunità vocazionista diventasse «un chiostro per i religiosi; casa del clero; cenacolo delle vocazioni; ufficio del popolo; dispensario di luce e consolazione; cuore della comunità parrocchiale e diocesana».

Anche in questo modo si porta avanti la missione: diventando capaci di accoglienza, di ascolto, di vicinanza.

Vi auguro di essere sempre uno spazio aperto per l’accoglienza delle persone e la cura delle vocazioni; un luogo di preghiera e discernimento per chi cerca; un luogo di consolazione per chi è ferito; una “bottega dello Spirito” dove chi entra può fare l’esperienza di essere modellato dall’artigiano divino che è lo Spirito Santo.

Non scoraggiatevi nelle fatiche e nelle difficoltà!

(Al pellegrinaggio della Famiglia Vocazionista )

Mercoledì 24

Il coraggio
di rialzarsi
quando si cade

In questa serie di catechesi ci mettiamo alla scuola di alcuni Santi e Sante che, come testimoni esemplari, insegnano lo zelo apostolico. Quello che dobbiamo avere per annunciare il Vangelo.

Un grande esempio di Santo della passione per l’evangelizzazione andiamo a trovarlo in una terra molto lontana, nella Chiesa coreana. Guardiamo al martire e primo sacerdote coreano Sant’Andrea Kim Tae-gon. Ma l’evangelizzazione della Corea è stata fatta dai laici.

Sono stati i laici battezzati che hanno trasmesso la fede, non c’erano preti, perché non ne avevano: vennero più tardi. Noi saremmo capaci di una cosa del genere? Pensiamoci.

Uno dei primi sacerdoti [è stato] Sant’Andrea. La sua vita rimane una testimonianza eloquente.

Circa 200 anni fa, la terra coreana fu teatro di una persecuzione severissima: i cristiani erano annientati.

Credere in Gesù, nella Corea di quell’epoca, voleva dire essere pronti a dare testimonianza fino alla morte.

L’esempio di Andrea Kim lo possiamo ricavare da due aspetti della sua vita.

Il primo è il modo che doveva usare per incontrarsi con i fedeli. Stante il contesto fortemente intimidatorio, era costretto ad accostare i cristiani in una forma non manifesta e sempre in presenza di altre persone.

Allora, per individuare l’identità cristiana del suo interlocutore, Sant’Andrea metteva in atto espedienti.

Anzitutto, c’era un segno di riconoscimento concordato in precedenza: tu ti incontrerai con questo cristiano e lui avrà questo segnale nell’abito o nella mano.

Dopodiché, lui poneva di nascosto la domanda, ma sottovoce: “Tu sei discepolo di Gesù?”.

Poiché altre persone assistevano alla conversazione, doveva parlare a voce bassa, pronunciando solo poche parole essenziali.

Quindi, per Andrea Kim, l’espressione che riassumeva tutta l’identità del cristiano era “discepolo di Cristo”.

In effetti, essere discepolo del Signore significa seguire la sua strada. E il cristiano è per sua natura uno che predica e dà testimonianza di Gesù.

Ogni comunità cristiana riceve dallo Spirito Santo questa identità, e così la Chiesa intera, dal giorno di Pentecoste.

E da questo Spirito che noi riceviamo nasce la passione per l’evangelizzazione, questo zelo apostolico grande: è un dono.

E anche se il contesto circostante non è favorevole, come quello coreano di Andrea Kim, la passione non cambia, anzi, acquista a maggior valore.

Sant’Andrea Kim e gli altri fedeli coreani hanno dimostrato che la testimonianza del Vangelo data in tempo di persecuzione può portare molti frutti per la fede.

Secondo esempio. Quando era ancora seminarista, Sant’Andrea doveva trovare un modo per accogliere segretamente i missionari provenienti dall’estero.

Questo non era facile, poiché il regime vietava rigorosamente a tutti gli stranieri di entrare nel territorio.

Per questo era stato tanto difficile trovare un sacerdote che venisse a missionare: la missione l’hanno fatta i laici.

Una volta Sant’Andrea camminò sotto la neve, senza mangiare, talmente a lungo che cadde a terra sfinito, rischiando di perdere i sensi e di rimanere lì congelato.

A quel punto, all’improvviso sentì una voce: “Alzati, cammina!”.

Udendola, si ridestò, scorgendo come un’ombra di qualcuno che lo guidava.

Questa esperienza fa comprendere un aspetto molto importante dello zelo apostolico. Vale a dire il coraggio di rialzarsi quando si cade.

I santi cadono? Sì! Ma dai primi tempi: pensate a San Pietro: ha fatto un grande peccato, ma ha avuto forza nella misericordia di Dio e si è rialzato.

E in Sant’Andrea noi vediamo questa forza: lui era caduto fisicamente ma ha avuto la forza di andare, per portare il messaggio avanti.

Per quanto la situazione possa essere difficile, anzi a volte sembri non lasciare spazio al messaggio evangelico, non dobbiamo demordere e rinunciare a portare avanti ciò che è essenziale nella vita cristiana, cioè l’evangelizzazione.

Questa è la strada. Ognuno di noi può pensare: “Ma io, come posso evangelizzare?”. Guarda questi grandi e pensa nel tuo piccolo: evangelizzare la famiglia, gli amici, parlare di Gesù, ma con il cuore pieno di gioia, di forza. E questa la dà lo Spirito Santo.

Prepariamoci a ricevere lo Spirito Santo nella prossima Pentecoste e chiediamogli la grazia del coraggio apostolico, la grazia di evangelizzare, di portare avanti sempre il messaggio di Gesù.

Vicinanza
a pastori
e fedeli che
soffrono
in Cina

Oggi ricorre la giornata mondiale di preghiera per la Chiesa cattolica in Cina. Essa coincide con la festa della Beata Vergine Maria Aiuto dei cristiani, venerata e invocata nel Santuario di Nostra Signora di Sheshan, a Shanghai.

Desidero assicurare il ricordo ed esprimere la vicinanza ai nostri fratelli e sorelle in Cina, condividendo le loro gioie e le loro speranze.

Un pensiero speciale è rivolto a tutti coloro che soffrono, pastori e fedeli, affinché nella comunione e nella solidarietà della Chiesa Universale possano sperimentare consolazione e incoraggiamento.

Invito tutti ad elevare la preghiera a Dio, perché la Buona Novella di Cristo crocifisso e risorto possa essere annunciata nella sua pienezza, bellezza e libertà, portando frutti per il bene della Chiesa cattolica e di tutta la società cinese.

(Udienza generale in piazza San Pietro)