A Buriticupu, nell’Amazzonia brasiliana, l’erosione dovuta a urbanizzazione incontrollata e deforestazione selvaggia genera profondi crateri che inghiottono edifici, strade e persone

Terra strappata

Aerial view of erosions in Buriticupu, Maranhao state, Brazil, taken on April 21, 2023. - An unusual ...
23 maggio 2023

A pochi metri da un vero e proprio precipizio, Deusimar Batista fa asciugare i propri vestiti al sole. Attorno al giardino della casa dove abita, a Buriticupu, nell’Amazzonia brasiliana, non c’è più nulla: l’edificio accanto è stato inghiottito da un’enorme voragine apertasi nella zona e la strada in cui la donna vive da sempre è irriconoscibile. «Non c’è altro da fare che constatare i danni», confida all’Afp, indicando le macerie ammassate in fondo al cratere, tra detriti e zolle di terra, una volta rigogliosa di vegetazione.

Buriticupu, città di 70.000 abitanti nello Stato di Maranhão nel Brasile nord orientale, secondo alcuni studi potrebbe finire per essere cancellata dalle mappe nel giro di 30-40 anni. Sono ormai due decenni che, di tanto in tanto, soprattutto a seguito di forti piogge, nel terreno vengono a crearsi crateri giganti, dovuti a cedimenti provocati da un’erosione eccezionale: il fenomeno è legato all’urbanizzazione incontrollata e alla deforestazione selvaggia, con un disboscamento che ha ridotto drasticamente la capacità del terreno sabbioso di trattenere l’acqua.

A incidere anche il fatto che la maggior parte delle case non è collegata al sistema fognario: le acque reflue spesso si riversano nei crateri, aggravando il problema. Le voragini hanno raggiunto anche i 70 metri di profondità e almeno sette persone sono morte cadendo incidentalmente al loro interno. Nella zona di Buriticupu se ne contano 26, note come “voçorocas”, che nella locale lingua indigena Tupi-Guarani significa “terra strappata”. Viste dall’alto, sembrano canyon: di fatto stanno gradualmente “mangiando” la città, partendo da semplici crepe nel terreno che col tempo diventano profondi burroni.

A fine aprile il consiglio comunale ha dichiarato lo stato di «pubblica calamità», con l’obiettivo di ottenere fondi statali e nazionali per iniziare nuovi lavori di contenimento. «Quando di notte piove, non dormo, perché la mia casa potrebbe essere spazzata via da un momento all’altro e ho paura di morire», dice Deusimar Batista. Guarda il cielo e spera che non si addensino nuvole. Come lei fa anche Maria dos Santos. La sua casa è fatta di terracotta e assi di legno: «Dobbiamo solo sperare che Dio si prenda cura di noi». (giada aquilino)