La buona Notizia
Il Vangelo della domenica di Pentecoste (Gv 20, 19-23)

Lo Spirito Santo promesso

 Lo Spirito Santo promesso  QUO-118
23 maggio 2023

Il passo della prossima domenica di Pentecoste (Giovanni, 20,19-23) ci sospinge decisamente nel paradosso: ai margini tra la luce, il buio, il dubbio, la fede. Ci troviamo in un momento narrativo che rappresenta l’acme delle apparizioni del Risorto: il narratore ha appena rivelato i retroscena dello sconvolgente incontro tra Maria di Magdala e il maestro risorto, Yeshua (Giovanni, 20,11-18). Proprio a questo punto siamo collocati nella narrazione, alla sera dello stesso giorno: il primo dopo il sabato.

«La sera di quello stesso giorno» i discepoli sono nascosti «per timore dei giudei» (Giovanni, 20,19). Ci troviamo ancora dentro una Pasqua non pienamente creduta, più buia che luminosa: dopo il dramma della croce, l’incertezza e il timore si mantengono, nel cuore dei discepoli, alte. Il vuoto lasciato dal rabbi Yeshua permane vivo e dolorante, la paura dei giudei attraversa (per prima!) le porte chiuse del luogo dove i discepoli si sono rifugiati: lo smarrimento è probabilmente insostenibile. A un tratto, però, accade qualcosa di sorprendente: Yeshua appare in mezzo a loro, a porte chiuse, e li saluta augurando la pace. «Pace a voi!» (Giovanni, 20,19). Pace: come può esserci pace? L’amico amato è stato ucciso, il maestro è stato (proprio da loro!) abbandonato. Quanto logorante dev’essere il senso di colpa nell’animo dei discepoli? Pace, augura Yeshua: ma come può esserci pace per dei cuori in tumulto, per donne e uomini soli che giacciono tra il terrore e il lutto? Quale pace è possibile per quelli che hanno visto la pace e la speranza inghiottite nello Sheol assieme al rabbi che amavano? E i “deliri” di una donna circa un sepolcro vuoto, dovrebbero forse consolare (Giovanni, 20,18)? Siamo alla sera dello stesso giorno, il primo dopo il sabato, e Yeshua entra a porte chiuse e saluta i suoi discepoli con auguri paradossali. A questo punto il maestro compie un gesto d’intensa dolcezza: mostra loro le mani e il fianco. Come a dare un sigillo nella carne, come a fare un’intensa implorazione d’amore: “Credetemi, sono io”. Dopo aver visto le sue mani e il suo costato i discepoli passano dall’ombra alla luce: gioiscono. È il Signore! (Giovanni, 20,20). Pare proprio che Dio abbia costantemente necessità di operare a livello della carne per esser colto dall’uomo: anche la più folle promessa acquista un senso reale se è accompagnata dal sigillo della corporeità. Una corporeità ferita quella di Yeshua: sono proprio le piaghe, i segni che permettono ai suoi di riconoscerlo.

«Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo” (Giovanni, 20,22).

Il maestro ritrovato conferisce un mandato alle discepole e ai discepoli ed elargisce un dono: lo Spirito Santo promesso. Questo Spirito l’autore di Giovanni lo aveva precedentemente denominato “Paràkletos — Paraclito” (Giovanni, 14,26), ossia il difensore, il consolatore. Yeshua ritorna dagli inferi ferito, ma vivo: cerca i discepoli suoi rinchiusi nella propria frantumazione, nel proprio timore, nel lutto; fa a questi discepoli promesse folli di pace, testimonia la sua presenza con le sue ferite e dona il Consolatore. Il Paraclito, compagno dell’uomo frantumato sulle vie della storia, balsamo ineffabile sulle ferite dei cuori. «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». (Giovanni, 20,23). Questo dice il maestro alle discepole e ai discepoli suoi: anche a quelli che erano fuggiti, a quelli che nulla compresero di Lui e che nell’ora della croce si erano occultati, lontani dal suo dramma. Anche a questi discepoli Yeshua conferisce il mandato di perdonare i peccati: a coloro cui, senza nessun merito, egli ha perdonato. Sembra di sentir riecheggiare il versetto matteano in cui il maestro, nella vita pre—pasquale, diceva ai suoi: «Imparate da me» (Matteo, 11,29). La grazia del Paraclito ci previene: questo è il più alto annunzio pasquale. 

di Deborah Sutera