Il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia

Un passo indietro
per farne molti avanti

 Un passo indietro per farne molti avanti   QUO-117
22 maggio 2023

L’architettura poetica, concreta e inclusiva di Álvaro Siza


Dov’è l’architettura? Può nascere questa domanda, visitando in questi giorni La Biennale di Venezia. Il padiglione della Santa Sede, se possibile, radicalizza il presentimento che la grande protagonista sia assente. Si può rimanere in superficie o andare al fondo di questo interrogativo. A suggerire la seconda via è il nome di Álvaro Siza, cui il cardinale José Tolentino de Mendonça ha legato la proposta vaticana, scegliendo come curatore Roberto Cremascoli, da decenni a fianco del maestro portoghese. Siza, uno dei più grandi architetti del mondo. Intellettuale e poeta. Rigoroso e dolce. Concettuale e popolare. Un uomo a tutto tondo. Varcando la soglia, posta lungo il perimetro esterno del monastero benedettino all’isola di San Giorgio, puoi ascoltare la sua voce e osservare la sua figura nelle immagini riprese fra bozzetti e disegni nello studio di Porto. E già ti stai chiedendo come avrà interpretato Il laboratorio del futuro, tema di questa 18esima Mostra internazionale di Architettura, così prossimo agli orizzonti Laudato si’ e Fratelli tutti.

Non sono le chiese nelle città dei laboratori di futuro? Álvaro Siza ne ha costruite, marcando il tessuto urbano e il paesaggio mediterraneo: bianco e legno, luce e pietra, leggerezza e gravità, pieni e vuoti. E la rapidità dei suoi disegni che sulla ceramica rileggono l’iconografia cristiana, interpretando la sete di immagini e di immaginazione di un’epoca nuova. Laboratori di futuro sono anche tante opere sociali con cui a un’umanità ferita è aperto l’ospedale da campo in cui riprendersi e diventare popolo. E Siza fin dagli anni Sessanta si cimenta con le periferie, ne fa parti della città, vi introduce la misura d’uomo. Agli antipodi delle archistar, è e rimane un costruttore di vita civile, di luoghi di incontro, di nuove agorà. Dal suo Paese sino a Venezia — dove alla Giudecca stanno per essere consegnati gli alloggi di edilizia pubblica, popolare, da lui firmati — l’architetto portoghese, novantenne, da sempre modella spazi che restituiscono dignità, privilegiando i processi partecipativi a spinte globali che omologano e disintegrano.

Dov’è tutto questo a Venezia? Che ne è delle Biennali che hanno segnato, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, l’evoluzione delle città europee in una fedeltà alla misura umanistica che altrove è smarrita, negata da interessi pervasivi e colossali? Esperimenti di design, installazioni capricciose, dati e interrogativi su cambiamento climatico e instabilità globale, ma sempre meno architettura. La Santa Sede perché c’è? E a dire che cosa? Nonostante Álvaro Siza, il primo impatto sembrerebbe una rinuncia. Amicizia sociale è il titolo che invita e accoglie il visitatore, ma in quale scenario, con quale gesto architettonico fare fraternità in un mondo e fra cuori a pezzi? È bastato circolassero i primi disegni e già ci si domandava: può essere tutto qui?

Entrando nel padiglione, invece, lentamente si capisce. Ed è una meravigliosa sorpresa: un passo indietro può essere la condizione di molti passi avanti. Indietreggia l’architettura. Una lunga galleria bianca, sulla parete sinistra il foto-racconto di un processo creativo e partecipativo, in fondo una figura umana, marmorea, che con lo sguardo indica l’oltre e sospinge ad addentrarsi e a incontrare. Incontrarsi nel giardino, continua il titolo del padiglione. Effettivamente, l’insieme è altro da un luogo costruito: un grande orto, meravigliose aiuole, due viali a croce e sentieri che disegnano una mandorla, o forse un pesce, poi il pollaio, le pergole e piccoli capanni realizzati con legno di recupero. Ci si accorge presto che nulla è casuale, che c’è un pensiero, un progetto, un lavoro. E l’esperienza evocata rinvia a quanto i cristiani custodiscono di più prezioso: il mattino di Pasqua, quell’incontro nel giardino. L’amore del Cantico, il racconto di Genesi. L’inizio. Che si tratti di un nuovo inizio? Non è a questo che papa Francesco chiama l’umanità?

Così, Siza architetto si fa da parte, portando in scena solo figure umane. Nessuna esibizione, nulla che rincorra la statuaria classica, semplici solidi in marmo e in legno, linee rette, tagli netti che pongono l’umanità davanti a sé stessa, nei suoi incontri, nei gesti che legano l’uno all’altro, in reciproca empatia. I visitatori si muovono, confondendosi fra i modelli, e iniziando a incontrarsi sotto le cinquecentesche volte disegnate dal Palladio. Silenziosamente, l’architettura eretta nella gloria del passato riprende il suo spazio, configurando oggi, grazie a un intervento delicatissimo, la scena umana: combinazione di distanze, di avvicinamenti, di intrecci. Il passo indietro di Siza è abbandono dell’arroganza di volere aggiungere a quello palladiano il proprio segno, riconoscimento di una bellezza antecedente il suo io. Venezia: paesaggio che è natura e cultura, dono e lavoro, ecologia integrale ante litteram, meraviglia di acqua e di pietra minacciata, come altri luoghi della Terra, da una crescita cieca al bene comune. Dalle sale quindi si esce, come chiamati dalla luce. Incontrarsi nel giardino è sostare e ripensare. Vedere i volti, voltarsi, udire il proprio nome. La Chiesa apre alle umane solitudini e inquietudini un giardino: non una selva oscura, non una torre di Babele, non installazioni incomprensibili, ma il frutto di un’armonia ritrovata tra cielo e terra, tra creatura e creatura. Nel giardino Maria Maddalena vide l’inizio di un mondo nuovo, ma scoprì contemporaneamente di non poterlo trattenere. La speranza è infatti un compito e sospinge a cercare gli altri e a trascrivere la gioia in opere. Così sono nate città inclusive, un territorio disseminato di centri in cui tutti, ma proprio tutti, potessero conoscere la dignità del proprio contributo e sentirsi parte insostituibile di un “noi”.

Con gesti di ricucitura umana e urbana si può dunque sospendere la corsa dissennata di un’architettura asservita al potere finanziario che desertifica il mondo, allarga la forbice delle diseguaglianze, separa gli umani fra loro e ciascuno da sé stesso. Sospendere la corsa, fare un passo indietro. Come si costruisce oggi e che cosa? Quale umanità verrà da megalopoli che ospitano e divorano miliardi di vite? Che città sono quelle che esibiscono i propri skyline? Quale futuro per la casa e per lo spazio pubblico? A quali condizioni lavora un architetto e rispondendo a chi?

Incontrarsi nel giardino: la Chiesa è sé stessa, se apre a tutti questa possibilità. A Venezia prova a farlo ancora, cooperando con chi ha competenze e passione per lavorare insieme, persino davanti a budget limitati e a tempi da record. Laboratorio di futuro è dove il potere non silenzia gli interrogativi, dove le criticità sono messe sul tavolo, dove i sogni si riaccendono. Purtroppo l’alternativa esiste e della bellezza fa puro estetismo, gioco, svago. Architettura, dove sei?

di Sergio Massironi