La transizione ecologica
È da oggi in libreria Il gusto di cambiare. La transizione ecologica come via per la felicità (Slow Food editore e Libreria editrice vaticana, Bra [Cuneo] e Città del Vaticano, pagine 168, euro 18), scritto dal gesuita Gaël Giraud e da Carlo Petrini insieme con Stefano Arduini. La prefazione al volume — che verrà presentato il 19 maggio al Salone del libro di Torino — è di Papa Francesco. Ne pubblichiamo il testo.
Il bene che appare come bello porta con sé la ragione per cui deve essere compiuto. È questo il primo pensiero che mi è sorto dopo aver letto questo bel dialogo tra Carlo Petrini, che conosco e stimo da anni, gastronomo e attivista noto in tutto il mondo, e Gaël Giraud, un gesuita economista di cui ho apprezzato negli ultimi tempi vari contributi apparsi su La Civiltà Cattolica, dove scrive qualificati articoli riguardanti l’economia, la finanza e i cambiamenti climatici.
Perché questo collegamento? Perché la lettura di questo testo ha generato in me un vero e proprio “gusto” del bello e del buono, cioè un sapore di speranza, di autenticità, di futuro. Ciò che i due autori portano avanti in questo scambio è una sorta di “narrazione critica” rispetto alla situazione globale: da un lato elaborano un’analisi motivata e stringente al modello economico-alimentare in cui siamo immersi il quale, per rifarsi alla celebre definizione di uno scrittore, «conosce il prezzo di tutto e il valore di niente»; dall’altra propongono diversi esempi costruttivi, esperienze assodate, vicende singolari di cura del bene comune e dei beni comuni che aprono il lettore a uno sguardo di bene e di fiducia sul nostro tempo. Critica di ciò che non va, racconto di situazioni positive: uno con l’altro, non l’uno senza l’altro.
Mi piace rimarcare un dato significativo: il fatto che in queste pagine Petrini e Giraud, uno un attivista settantenne, l’altro un professore di economia cinquantenne, ovvero due adulti, riscontrino nelle nuove generazioni assodati motivi di fiducia e di speranza. Solitamente noi adulti ci lamentiamo dei giovani, anzi ripetiamo che i tempi “passati” erano sicuramente migliori di questo presente tribolato, e che chi viene dopo di noi sta dilapidando le nostre conquiste. E invece dobbiamo ammettere con sincerità che sono i giovani a incarnare in prima persona il cambiamento di cui abbiamo tutti oggettivamente bisogno. Sono loro che ci stanno chiedendo, in varie parti del mondo, di cambiare. Cambiare il nostro stile di vita, così predatorio verso l’ambiente. Cambiare il nostro rapporto con le risorse della Terra, che non sono infinite. Cambiare il nostro atteggiamento verso di loro, le nuove generazioni, cui stiamo rubando l’avvenire. E non solo ce lo stanno chiedendo, lo stanno facendo: andando in piazza, manifestando il proprio dissenso rispetto a un sistema economico iniquo per i poveri e nemico dell’ambiente, cercando nuove strade. E lo stanno realizzando partendo dal quotidiano: fanno scelte responsabili in tema di cibo, di trasporti, di consumi.
I giovani ci stanno educando su questo! Scelgono di consumare di meno e di vivere di più le relazioni interpersonali; sono attenti ad acquistare oggetti prodotti seguendo regole strette di rispetto ambientale e sociale; sono fantasiosi nell’utilizzare mezzi di spostamento collettivi o meno inquinanti. Per me, vedere che questi comportamenti si stanno diffondendo fino a diventare prassi comune è motivo di consolazione e di fiducia. Petrini e Giraud fanno spesso riferimento ai movimenti giovanili che, in diverse parti del mondo, portano avanti le istanze della giustizia climatica e della giustizia sociale: i due aspetti vanno tenuti insieme, sempre.
I due autori indicano strade operative per uno sviluppo economico durevole e criticano alla base il concetto di benessere che va per la maggiore oggigiorno. Quello secondo il quale il Pil è un idolo cui sacrificare ogni aspetto del vivere comune: rispetto dell’ambiente, rispetto dei diritti, rispetto della dignità umana. Mi ha molto colpito che Gaël Giraud abbia ricostruito il modo in cui storicamente il Pil si è affermato come unico parametro per giudicare la salute dell’economia di una nazione. Egli afferma che questo è avvenuto durante la stagione del nazismo e che il punto di riferimento era rappresentato dall’industria delle armi: il Pil ha un’origine “bellica”, potremmo dire. Tanto che per questo motivo il lavoro delle donne casalinghe non è mai stato conteggiato: perché il loro impegno non serve alla guerra. Un’altra prova di quanto sia urgente sbarazzarsi di questa prospettiva economicistica, che sembra disprezzare il lato umano dell’economia, sacrificandolo sull’altare del profitto come metro assoluto.
La natura di questo libro è inoltre doppiamente interessante. Primo, perché avviene nella forma di un dialogo. Questo è un dato che ritengo importante sottolineare. È il confronto che ci arricchisce, non l’essere fermi sulle nostre posizioni. È la conversazione che diventa occasione di crescita, non il fondamentalismo che sbarra la strada alla novità. È il dibattito il momento in cui maturiamo, non l’ermetica certezza di essere noi quelli sempre “nel giusto”. Anche e soprattutto quando parliamo della ricerca della verità. Il beato Pierre Claverie, vescovo di Orano, martire, affermava: «La verità non la si possiede, e io ho bisogno della verità degli altri». Mi permetto di aggiungere: il cristiano sa che non conquista la verità, ma semmai è lui a essere “conquistato” dalla Verità, che è Cristo stesso. Per questo motivo credo fortemente che la pratica del dialogo, del confronto e dell’incontro sia oggi quanto di più urgente da insegnare alle nuove generazioni, fin dai bambini, per non favorire la costruzione di personalità chiuse a doppia mandata nell’angustia delle proprie convinzioni.
In secondo luogo, i due interlocutori — saggiamente stimolati dal curatore — rappresentano punti di vista e origini culturali diverse: Carlin Petrini, che si definisce agnostico e con il quale ho avuto già la gioia di dialogare per un altro testo; Gaël Giraud, un gesuita. Ma questo dato oggettivo non impedisce loro di portare avanti una conversazione intensa e costruttiva che diventa il manifesto di un futuro plausibile per la nostra società e il nostro stesso pianeta, così minacciato dalle conseguenze nefaste di un approccio distruttivo, colonialista e dominatore sul creato.
Un credente e un agnostico parlano e si incontrano, pur partendo da posizioni differenti, su diversi aspetti che la nostra società deve far propri perché il domani del mondo sia ancora possibile: mi sembra qualcosa di bello! E lo è ancor di più perché, nello snodarsi del confronto tra i due interlocutori, affiora nettamente la convinzione dell’importanza decisiva dell’unica parola di Gesù, riportata dagli Atti degli apostoli, non presente nei Vangeli: «V’è più gioia nel dare che nel ricevere». Sì, perché quando i due interlocutori riscontrano nel consumo spinto all’eccesso e nello spreco elevato a sistema il male della contemporaneità, e individuano nell’altruismo e nella fraternità le vere condizioni perché il vivere insieme sia duraturo e pacifico, essi comprovano che la prospettiva di Gesù è feconda e luogo di vita per tutti gli uomini e le donne. Per chi ha un orizzonte di fede e per quanti non lo hanno. La fraternità umana e l’amicizia sociale, dimensioni antropologiche alle quali ho dedicato l’ultima enciclica Fratelli tutti, devono diventare sempre di più la base concreta e operativa delle nostre relazioni, a livello personale, comunitario e politico.
L’orizzonte di preoccupazione sul quale Petrini e Giraud focalizzano la loro attenzione è la situazione ambientale davvero critica in cui ci troviamo, figlia di quell’«economia che uccide» e che ha causato il grido sofferente della Terra e il grido angosciante e angoscioso dei poveri del mondo. Di fronte alle notizie che quotidianamente ci arrivano — siccità, disastri ambientali, migrazioni forzate a causa del clima — non possiamo restare indifferenti: saremmo complici della distruzione della bellezza che Dio ha voluto donarci nel creato che ci circonda. Tanto più che in questo modo va a perire quel dono «molto buono» che il Creatore forgiò con acqua e polvere, l’uomo e la donna. Ammettiamolo: lo sviluppo economico sconsiderato cui ci siamo piegati sta causando squilibri climatici che stanno gravando sulle spalle dei più poveri, in particolare nell’Africa subsahariana. Come possiamo chiudere le porte a quanti fuggono, e fuggiranno, da situazioni ambientali insostenibili, conseguenze dirette del nostro consumismo smodato?
Credo che questo libro sia un dono prezioso, perché ci indica una strada e la concreta possibilità di percorrerla, a livello individuale, comunitario e istituzionale: la transizione ecologica può rappresentare un ambito in cui tutti, da fratelli e sorelle, ci prendiamo cura della casa comune, scommettendo sul fatto che consumando meno cose e vivendo più relazioni personali varcheremo la porta della nostra felicità.