La buona notizia
C’è un equivoco comune del sentimento religioso di molti (non è per niente nuovo, ma sicuramente oggi è molto diffuso) e consiste nel credere in fondo che la fede corrisponda in tutto e per tutto alla morale, che esse siano sovrapponibili. Quando Gesù ama, tocca, cammina, mostra e dunque invita a seguirlo, a volte siamo tentati di invertire l’ordine della sequenza e insistere sull’invito, magari ripetuto (quello che il filosofo Hobbes definiva comando), per mostrare la verità tramite una lezione, tralasciando come secondari il cammino, la carne e il sangue, e infine sublimando l’amore cristiano in una nuvola di purezza.
In quest’ottica sarebbe facile leggere la frase «se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Giovanni, 14, 15) sbagliando il modo verbale, scambiando indicativo con imperativo e invertendo l’ordine dei fattori: “osservate i miei comandamenti! Se lo avrete fatto, vorrà dire che mi amerete”. Di fatto in questo modo si intende l’opposto di quello che c’è scritto, ma il bisogno di purezza è appagato e ci si sente forti e rigorosi, perché non si stanno facendo sconti. Se fosse così, il cristianesimo sarebbe una delle morali possibili, delle culture possibili, che valgono per un tempo e per un luogo, tuttavia si dimenticherebbe l’incarnazione e «se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1 Corinzi, 15, 14).
A sentirlo bene Gesù in effetti non fa la morale, non dà una forma alla nostra vita costringendoci o ammaestrandoci dall’esterno, ma resta “in” noi, non da qualche parte fuori. Tesse una tela di relazioni, in cui ognuno è contenuto nell’altro: noi, Lui, il Padre, lo Spirito. Ognuno im-presso, in-segnato nell’altro, non formato o de-formato.
Questo intreccio di cuori che si contengono è uno scambio di sguardi, un intreccio di rapporti evidenti, visibili, non fumosi ed esoterici: «voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete» (Giovanni, 14, 19). Un mistero chiaro, concreto, vivo.
Solo da quella tensione viva e personale con Lui deriva quel fare e operare nel quale siamo immersi, spesso tanto abituati e smemorati da sentirci orfani del punto di partenza. Da quell’amore deriva ogni comandamento, forma costruita dal rapporto, non performance imposta e programmata dall’alto, non banale amore per una legge, ma legge dell’amore.
di Riccardo Sabato