Hic sunt leones
Nel continente è presente la più grande area di libero scambio al mondo

La nuova geografia economica africana

A general view of solar panels on top of the Hemp Hotel in Cape Town on April 25, 2023. - Twelve ...
05 maggio 2023

Forse non tutti sanno che la più grande area di libero scambio al mondo che riunisce i 54 Paesi e otto comunità economiche regionali è in Africa. Fortemente voluta dai capi di Stato e di governo del continente, l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) ha lo scopo di realizzare un unico mercato continentale con una popolazione di circa 1,4 miliardi di persone e un Pil combinato di circa 3,4 trilioni di dollari Usa. L’AfCFTA rappresenta uno dei capisaldi dell’Agenda 2063: The Africa We Want, la strategia di sviluppo a lungo termine dell’Unione africana (Ua) per trasformare il continente in una potenza economica globale. L’intento è quello di consentire alle economie africane di raggiungere un rapido sviluppo industriale, diversificare i loro panieri di esportazione e compiere progressi verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Sdg).

L’AfCFTA, è bene rammentarlo, disegna la nuova geografia economica a livello continentale e rappresenta una pietra miliare all’interno del processo d’integrazione africana attraverso il libero scambio delle merci. Elemento cruciale del mandato conferito all’AfCFTA è l’eliminazione delle barriere commerciali e la promozione del commercio intra-africano. In particolare, è finalizzata alla promozione del commercio della produzione a valore aggiunto in tutti i settori dei servizi dell’economia africana, consentendo investimenti e creazione di posti di lavoro, migliorando così la competitività dell’Africa a medio e lungo termine.

L’AfCFTA è entrata in vigore il 30 maggio 2019, dopo che 24 Stati membri hanno depositato i loro strumenti di ratifica a seguito di una serie di continui impegni continentali pregressi a partire dal 2012. È stata lanciata alla xii sessione straordinaria dell’Assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Ua a Niamey (Niger), nel luglio 2019. Successivamente, il 5 dicembre del 2020, l’Assemblea della Ua annunciò, durante la sua xiii sessione straordinaria, tenutasi virtualmente a Johannesburg (Sud Africa), che lo scambio di merci nell’ambito dell’AfCFTA sarebbe iniziato dal 1° gennaio 2021. Fu comunque subito chiaro che per rendere operativa l’AfCFTA fosse necessario definire un negoziato sulla messa a punto delle direttive condivise riguardanti una molteplicità di questioni che, purtroppo, a distanza di oltre due anni, sono, almeno in parte, ancora in fase di negoziazione.

Se da una parte è vero che sono stati ratificati gli strumenti giuridici (i protocolli sugli scambi di beni e servizi e sulle risoluzioni delle controversie), entrati ufficialmente in vigore il 30 maggio del 2021, i negoziati tra le economie AfCFTA, recentemente ripresi, riguardano l’eliminazione dei dazi sulle merci e questioni normative attinenti la concorrenza, il commercio di servizi, la proprietà intellettuale e il commercio digitale. A febbraio 2023, 46 dei 54 firmatari (85 per cento) hanno depositato i propri strumenti di ratifica dell’AfCFTA. L’obiettivo è anche quello di creare un vasto mercato di beni e servizi che abbracci l’intera macroregione e in un futuro non ancora prossimo, l’unione doganale e quella monetaria. La sfida è ambiziosa se si considera che stiamo parlando di un continente grande tre volte l’Europa, ma composto da economie fortemente penalizzate sia dalla pandemia che dagli effetti collaterali della crisi russo-ucraina.

È importante considerare che 25 Paesi africani su 54 non raggiungono i dieci miliardi di dollari di Pil. Inoltre, lasciano ancora oggi molto a desiderare gli scambi commerciali intra-africani che rappresentano circa il 17,5 per cento del totale del commercio estero a livello continentale. Viene pertanto spontaneo domandarsi in che modo l’AfCFTA potrà sostenere il commercio e la crescita economica nel continente africano. Su questo tema si è tenuta recentemente un seminario di studi promosso dall’Istituto universitario europeo (Iue) e dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad). Lo scopo di questa iniziativa è stato quello di fornire lo spazio necessario per la riflessione e l’identificazione di possibili approcci per facilitare l’attuazione dell’AfCFTA, compresa la ricerca e l’identificazione delle migliori pratiche che possano essere utilizzate per affrontare le questioni negoziali in sospeso.

Una delle considerazioni che è emersa nel corso della condivisione è che l’eliminazione dei dazi, sebbene rappresenti un presupposto per l’integrazione a vantaggio di produzioni e commerci futuri, da sola (tra i membri dell'AfCFTA) non è sufficiente per aumentare le esportazioni globali del blocco o il commercio intra-africano. Inoltre, le riduzioni tariffarie comportano solo un aumento marginale del reddito e della produzione, poiché i guadagni delle esportazioni sono compensati dalla perdita di entrate tariffarie. Al contrario, una riduzione del 10 per cento delle barriere non tariffarie (Ntb) sul commercio all’interno dell’AfCFTA aumenta le esportazioni globali del blocco del 17 per cento e le esportazioni intra-AfCFTA del 23 per cento. Questo impatto positivo è ulteriormente amplificato migliorando le procedure doganali, la trasparenza e la prevedibilità normativa.

Le Ntb sono regolamentazioni protezionistiche non fiscali del commercio estero il cui scopo è quello di limitare la circolazione delle merci, ed in particolare, quello di limitare le importazioni. Si tratta di misure di protezione diverse dalle tariffe che hanno anch’esse lo scopo di ridurre le importazioni. Possono consistere in restrizioni quantitative o in regole, applicate in modo tale da rendere impossibile, difficile o particolarmente costoso il loro recepimento o rispetto da parte dei produttori stranieri (ad esempio, contingentamenti di vario genere come: restrizioni quantitative stabilite da un Paese all’importazione di un determinato bene in un determinato periodo di tempo, embarghi, licenze, barriere tecniche di standard, come le regole fitosanitarie, dazi antidumping o regole sull’origine dei prodotti). Nel complesso, lo studio rileva che i guadagni commerciali dell’AfCFTA sono tutt’altro che scontati e dipendono in modo cruciale dalla volontà e dalla capacità dei Paesi membri di ridurre in modo sostanziale e irreversibile le barriere non tariffarie.

Naturalmente, per massimizzare il potenziale di crescita dell’Africa, la cooperazione regionale deve essere integrata con politiche fiscali a favore della crescita che comunque i Paesi membri possono perseguire in modo indipendente. Gli investimenti pubblici dati in appalto ai privati sono uno di questi meccanismi attraverso i quali uno Stato membro può incoraggiare la crescita delle imprese del settore privato stabilizzando la domanda per la loro produzione. Purtroppo il ruolo di questi investimenti in Africa è particolarmente critico poiché molti Paesi africani come Botswana, Kenya, Angola, Sud Africa ed Egitto spendono oltre il 20 per cento del loro Pil in appalti. Da rilevare che questo livello di spesa è superiore alla media del 13 per cento dei Paesi a basso reddito a livello mondiale, in quanto i costi complessivi sono maggiorati rispetto ad altri mercati. Ovviamente, vi sono anche altri aspetti su cui vigilare per la realizzazione dell’intero progetto e dunque la sua effettiva implementazione. Alcune stime parlano di un decennio affinché questo processo venga gradualmente completato e l’ AfCFTA inizi a produrre i suoi effetti. Ma è evidente che i tempi si accorceranno nella misura in cui i grandi player internazionali comprenderanno che il processo di libero scambio e la conseguente integrazione continentale non potranno prescindere dalla soluzione dei problemi pregressi dell’Africa. Tra questi i flussi finanziari illeciti, vale a dire la fuga di capitali, le pratiche fiscali e commerciali illecite, le attività criminali come i mercati illegali, la corruzione e il furto. Tutto questo sottrae oltre 90 miliardi di dollari l’anno, il 3,7 per cento del Pil del continente, che potrebbe essere utilizzato per sostenere l’AfCFTA e migliorare i servizi di assistenza alle popolazioni autoctone. Un atto di giustizia che non può essere disatteso e che impone un coinvolgimento dei grandi attori internazionali i quali, se intendono davvero essere solidali con l’Africa, dovranno dirimere la questione del debito africano e fare propria la sfida degli investimenti. Questa è una sfida che deve necessariamente vedere l’Europa in prima linea, non foss’altro perché l’intera struttura del cosiddetto Free trade africano e quella dell’Unione africana sono state concepite in rapporto all’esperienza dell’Unione europea e del suo libero mercato che hanno come fondamento una politica monetaria unitaria. Il cammino è lungo, ma è evidente che occorre operare un decentramento narrativo: l’Africa non è un problema, piuttosto rappresenta una grande opportunità per tutti, se giustamente sostenuta.

di Giulio Albanese