Il cardinale Parolin ricorda il vescovo morto 30 anni fa

Voce di pace

 Voce di pace  QUO-103
04 maggio 2023

«Voce di pace», a volte «presenza scomoda anche nella stessa Chiesa», «profeta», come ne servirebbero oggi in questo mondo ferito dai conflitti. Sono pennellate intrise di gratitudine e affetto quelle con cui il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, tratteggia il ritratto di don Tonino Bello, l’indimenticato pastore di Molfetta scomparso trent’anni fa del quale è in corso la causa di beatificazione. Il porporato ha presentato ieri pomeriggio, 3 maggio, all’Università Lumsa di Roma il volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana Testimone e maestro di virtù. Il cammino cristiano di Don Tonino Bello (pagine 168, euro 16). Anch’esso un ritratto, dettagliato ed efficace, della figura di un autentico testimone di profezia evangelica, esempio di comunione tra fede cristiana e intelligenza sociale. A firmarlo è monsignor Domenico Cornacchia, attuale vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, il «don Mimmo» al quale don Tonino Bello si rivolgeva per condividere impressioni ed emozioni. O per confidargli, come quella volta nel suo studio, che tutti i suoi scritti erano redatti «a quattro mani», indicando poi il tabernacolo.

Il cardinale Parolin si è agganciato a questa scia di memorie, aneddoti, racconti sulla grande attenzione di don Tonino verso poveri, famiglie, vittime della guerra, condivisi da monsignor Cornacchia. E in particolare si è soffermato sulla ferma azione pacifista del vescovo che, ha detto, «ha veramente tanto lavorato per la pace, soprattutto per la Guerra del Golfo, prima, e poi la Guerra dei Balcani e ha posto segni concreti di pace esponendosi in prima persona e chiedendo un impegno non soltanto verbale a favore della pace».

Dal banco dei relatori, durante la presentazione moderata dal direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli, Parolin ha richiamato in particolare la lettera che don Tonino Bello scrisse ai parlamentari nel settembre 1990 per invitarli a dire no alla Guerra del Golfo «che gli valse l’accusa di istigazione alla diserzione», come pure la sua opposizione alla Guerra nell’ex Jugoslavia: «Non poteva accettare quella situazione e si schierò a favore della pace e del dialogo».

Il vescovo Bello «era convinto che le armi non erano la soluzione alle divergenze» e, seppur consumato nel corpo dal cancro, «partecipò alla famosa marcia dei costruttori di pace, con lo scopo di creare una interposizione non violenta per ostacolare il conflitto in corso e imporre una sorta di tregua». Proprio «per la sua partecipazione alla marcia e la sua posizione totalmente pacifista fu oggetto di critiche e attacchi sui mass media, ma anche all’interno della Chiesa».

«Quanta fatica» fece don Tonino a far capire che «la soluzione dei conflitti non avverrà mai con la guerra ma con il dialogo», ha affermato Parolin. Lui stesso scrisse: «Abbiamo fatto fatica anche qui con i rappresentanti religiosi, perché è difficile questa idea della soluzione pacifica dei conflitti. Ma noi siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà».

Parole che infondono speranza di fronte a uno scenario desolante come quello della drammatica guerra in Ucraina. La figura di don Tonino Bello è dunque di straordinaria attualità: «Era una persona che sapeva esagerare nel bene», ha detto Tornielli. «Oggi c’è necessità di persone buone che sanno esagerare, che sanno essere creative e non si accontentano delle situazioni. L’insegnamento che possiamo trarre dalla figura don Tonino e dal libro è: cerchiamo di valorizzarli più in vita quei testimoni che ci mostrano la via del Vangelo».

di Salvatore Cernuzio