Dal 28 al 30 aprile il viaggio apostolico del Pontefice in Ungheria

Come un anticipo
di Pentecoste

 Come un anticipo  di Pentecoste  QUO-103
04 maggio 2023

Il viaggio apostolico di Papa Francesco è stato un grande dono non solo per la Chiesa cattolica, ma anche per tutta la nazione ungherese. Durante i tre giorni della visita, scandita da diversi eventi, il Santo Padre ha incontrato molte persone che hanno accolto con entusiasmo le sue parole di incoraggiamento. Tra i vari incontri, quello col maggior numero di presenze è stata la messa in piazza Kossuth, dove il Pontefice ha indirizzato un saluto anche ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane e di altre religioni. Il suo messaggio era rivolto non solo ai presenti e agli ungheresi, ma anche a tutta l’Europa e, non è esagerato dirlo, al mondo intero.

La presenza del Papa in Ungheria è stata per noi un anticipo di Pentecoste, poiché coloro che hanno partecipato ai vari incontri, soprattutto alla messa all’aperto di domenica, hanno sentito su di loro il soffio dello Spirito. In modo particolare il viaggio apostolico del Santo Padre ha attirato l’attenzione di tutta l’Europa sull’Ungheria, e ciò è stato fonte di grande conforto per tutti noi che negli ultimi tempi ci siamo sentiti molto soli nella difesa dei valori cristiani. Le sue parole sono state per noi d’incoraggiamento affinché, grazie a questi valori, possiamo assumere un ruolo di “ponte”, anche da un punto di vista geopolitico.

Per la Chiesa cattolica in Ungheria è stato anche e soprattutto il modo di affermare visibilmente e con la preghiera la propria millenaria fedeltà a Roma e alla Santa Sede. Il Papa è il successore di Pietro, la roccia su cui Cristo stesso ha edificato la sua Chiesa, e il suo viaggio apostolico sulle sponde del Danubio è stata un segno di vicinanza e affetto per confermarci nella fede in Gesù e nella comunione con la Chiesa universale.

Il primo incontro del Santo Padre in Ungheria è avvenuto con i vertici delle istituzioni statali, ai quali ha ricordato che la politica può essere buona ed efficace solo se dà a tutti la possibilità di vivere una vita dignitosa, nell’interesse del popolo e degli abitanti del Paese. A tal proposito, si è rammaricato del fatto che «pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra». A suo avviso, oggi la politica fomenta gli animi piuttosto che risolvere i problemi, e quindi si sta ripiombando in una sorta di infantilismo bellico. Ha inoltre sottolineato che nessuno può isolarsi in un mondo chiuso, perché tutti dobbiamo vivere nello stesso mondo, in cui dobbiamo preoccuparci del benessere reciproco. Egli ritiene decisivo il ruolo dell’Ungheria perché, vivendo nella parte orientale della cristianità occidentale, non dobbiamo costruire muri divisori, ma ponti, porte che si aprono l’una verso l’altra. Ha detto inoltre un fermo “no” a quegli sforzi che cercano di eliminare l’autonomia culturale dei singoli Paesi rivendicando una sorta di sovranazionalismo astratto. Ha anche stigmatizzato le “colonizzazioni ideologiche” (ad esempio, il movimento gender), che non solo relativizza le relazioni umane, ma attacca fortemente l’integrità della persona.

Durante l’incontro con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi, il Santo Padre ha sottolineato che due pericoli insidiano la Chiesa del nostro tempo, compresi i preti e i consacrati. Il primo è la tentazione, di fronte al dilagare della secolarizzazione, di chiudersi in se stessi in atteggiamento di autodifesa, isolandosi dal mondo a cui invece è rivolta la nostra missione. L’altro grande pericolo risiede nel cercare di assomigliare al mondo, perdendo la fede nel Vangelo. Egli ha incoraggiato i presenti ad essere ferventi annunciatori del Vangelo imparando dal coraggio dei loro antenati che hanno sofferto a lungo e «che testimoniano la fede granitica degli ungheresi».

Il secondo giorno, il Papa ha visitato in privato un istituto per bambini ciechi e ipovedenti e per giovani con disabilità multiple, gestito dalla Conferenza episcopale. Ha poi incontrato i poveri e i rifugiati nella chiesa dedicata a Santa Elisabetta d’Ungheria. L’incontro è stato organizzato dalle organizzazioni caritative cattoliche, che portano avanti molti progetti in Ungheria e all’estero, fino in Africa, per aiutare le persone in difficoltà. Il Santo Padre ha presentato un elenco di santi ungheresi che hanno dato esempio di attenzione ai poveri, perché «abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono».

Nella stessa piazza si è poi recato nell’adiacente chiesa greco-cattolica nella quale è stato accolto dal canto dell’inno kathistos e dove ha benedetto i fedeli della parrocchia.

Nel pomeriggio di sabato ha parlato davanti a 11.000 giovani, incoraggiandoli a vivere una vita impegnata. Attraverso la parabola della moltiplicazione dei pani, ha mostrato loro che, con l’aiuto di Dio, si possono ottenere grandi cose portando ciascuno il poco di cui si dispone: due pesci e cinque pani. Ognuno ha dei doni individuali che può utilizzare a beneficio degli altri. Infatti «la moltiplicazione operata da Gesù comincia dalla condivisione di quel giovane con Lui e per gli altri. Il poco di quel ragazzo nelle mani di Gesù diventa molto».

La messa di domenica si è svolta sotto un sole splendente, nonostante le avverse previsioni meteorologiche. Tutte le diocesi e le comunità religiose erano ben rappresentate alla celebrazione, alla quale hanno partecipato oltre 100.000 fedeli. Il Santo Padre ha lodato la collaborazione ecumenica in Ungheria, i cui frutti si notano anche dalla presenza dei rappresentanti di altre chiese cristiane e comunità religiose alla celebrazione eucaristica conclusiva del viaggio apostolico. Nell’omelia ha chiesto: «Lasciamo entrare nel cuore il Signore della vita, la sua Parola che consola e guarisce, per poi uscire fuori ed essere noi stessi porte aperte nella società».

Durante il suo viaggio in Ungheria, il Pontefice ha sempre posto grande enfasi sulla costruzione della pace. Ha espresso il profondo desiderio che i politici dimostrino la loro volontà di pace attraverso azioni concrete e creative. Alla fine della messa, il Santo Padre ha rivolto un accorato appello alla Regina della Pace per «un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri».

L’ultima tappa del viaggio apostolico è stata l’Università Cattolica “Péter Pázmány”, dove ha incontrato gli esponenti del mondo universitario, i vertici dell’Accademia ungherese delle Scienze e gli studenti dell’università. Dopo le testimonianze, il Papa, in un modo che ha toccato la mente e il cuore, ha richiamato l’attenzione degli scienziati e degli studiosi sulla necessità di tenere presente, nella ricerca sul Creato, l’ordine di Dio Creatore ed il bene degli esseri umani affinché la vita possa «rimanere vivente» per tutti gli uomini.

Durante il suo soggiorno in Ungheria, il Pontefice ha dato innumerevoli segni del suo amore e della sua gioia quando, interrompendo inaspettatamente i suoi discorsi preparati, vi aggiungeva nuovi pensieri stabilendo quasi un dialogo con l’uditorio. Spesso accadeva che abbracciasse e benedicesse sia i bambini che i malati. Viaggiando tra un appuntamento e l’altro, vedendo persone che lo salutavano sul ciglio della strada, ricambiava il saluto attraverso il finestrino abbassato della sua auto. Durante uno di questi spostamenti, notando dei giovani che formavano un’enorme croce sul ciglio della strada e che lo salutavano con una preghiera, è sceso dall’auto ed ha salutato ciascuno di loro regalando un rosario. Questi gesti ci hanno mostrato la gioia del Papa nello stare in mezzo a noi, espressioni della sua vicinanza e del suo amore paterno.

Per l’intero popolo magiaro, questo viaggio apostolico è stata una gioia ed una celebrazione allo stesso tempo, i cui frutti si vedranno sicuramente solo in seguito. Il Santo Padre ha concluso, in ungherese, ogni suo discorso con il primo verso del nostro inno nazionale: «Isten, áldd meg a magyart! - Dio, benedici gli ungheresi!». Per tutta risposta abbiamo cantato con maggior esultanza la nostra preghiera per il successore di San Pietro, che è stata intonata da più di 100.000 persone alla fine della messa: «Tartsd meg, Isten, Szentatyánkat, Krisztusnak helytartóját! - Custodisci, o Dio, il nostro Santo Padre, il Vicario di Cristo».

di András Veres
Vescovo di Győr e presidente della Conferenza episcopale ungherese