Il viaggio del Pontefice in Ungheria
L’incontro con i giovani alla László Papp Budapest Sportaréna

«Prendete in mano la vita
per aiutare il mondo a vivere in pace»

 «Prendete in mano la vita per aiutare il mondo  a vivere in pace»  QUO-101
02 maggio 2023

Nel pomeriggio di sabato 29 aprile Papa Francesco ha incontrato i giovani ungheresi nella László Papp Budapest Sportaréna. Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato dal Pontefice dopo il saluto rivoltogli dal vescovo incaricato della pastorale giovanile in seno alla Conferenza episcopale dell’Ungheria e dopo le testimonianze di quattro ragazzi.

Dicsértessék a Jézus Krisztus! [Sia lodato Gesù Cristo!]

Cari fratelli e sorelle, vorrei dirvi köszönöm! [grazie!] Grazie per la danza, grazie per il canto, per le vostre testimonianze coraggiose, e grazie a ciascuno per essere qui: sono felice di stare con voi! Grazie.

Mons. Ferenc ci ha detto che la gioventù è tempo di grandi domande e di grandi risposte. È vero, ed è importante che ci sia qualcuno che provochi e ascolti le vostre domande, e che non vi dia risposte facili, e risposte preconfezionate, ma vi aiuti a sfidare senza paura l’avventura della vita in cerca di risposte grandi. Le risposte preconfezionate non servono, non fanno felici. Così, infatti, faceva Gesù. Bertalan, hai detto che Gesù non è un personaggio di un libro di fiabe o il supereroe di un fumetto, ed è vero: Cristo è Dio in carne e ossa, è il Dio vivo che si fa vicino a noi; è l’Amico, il migliore degli amici, è il Fratello, il migliore dei fratelli, ed è molto bravo nel porre domande. Nel Vangelo, infatti, Lui, che è il Maestro, prima di dare risposte, fa domande. Penso a quando si trova davanti quella donna adultera contro cui tutti puntavano il dito. Gesù interviene, quelli che la accusavano se ne vanno e Lui rimane solo con lei. Allora con delicatezza le chiede: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» (Gv 8, 10). Lei risponde: «Nessuno, Signore!» (v. 11). E così, mentre lo dice, capisce che Dio non vuole condannare, ma perdonare. Mettete questo nella testa: Dio non vuole condannare, ma perdonare. Dio perdona sempre. Come si dice in ungherese “Dio perdona sempre”? [il traduttore lo dice in ungherese e il Papa lo fa ripetere ai giovani] Non dimenticatevi! Lui è pronto a rialzarci ad ogni nostra caduta! Con Lui perciò non dobbiamo mai avere paura di camminare e andare avanti nella vita. Pensiamo anche a Maria Maddalena, che al mattino di Pasqua fu la prima a vedere Gesù risorto — e aveva una storia quella donna!, ma è stata la prima a vederlo. Lei era in lacrime accanto alla tomba vuota e Gesù le domanda: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20, 15). E così, toccata sul vivo, Maria di Magdala apre il cuore, gli racconta le sue angosce, rivela i suoi desideri e il suo amore: “Dov’è il Signore?”.

E guardiamo al primo incontro di Gesù con quelli che diventeranno i suoi discepoli. Due di loro, indirizzati da Giovanni Battista, gli vanno dietro. Il Signore si volta e fa un’unica domanda: «Che cosa cercate?» (Gv 1, 38). Anch’io faccio una domanda, e ognuno risponda nel cuore, in silenzio. La mia domanda è: “Che cosa cercate? Che cosa cercate nella vita? Che cosa cerchi nel tuo cuore?”. In silenzio, ognuno risponde dentro di sé. Che cosa cerco io? Gesù  non fa tanta predica, no, ma fa strada, fa la strada insieme a loro ognuno di noi; Gesù cammina vicino a ognuno di noi. Non vuole che i suoi discepoli siano scolari che ripetono una lezione, ma che siano giovani liberi e camminino, compagni di strada di un Dio che ascolta, che ascolta i loro bisogni ed è attento ai loro sogni. Poi, dopo parecchio tempo, due giovani discepoli scivolano malamente — i discepoli di Gesù sono scivolati tanto! — e fanno a Gesù una richiesta sbagliata, cioè di poter stare alla sua destra e alla sua sinistra quando Lui diventerà Re — volevano arrampicarsi, questi! Ma è interessante vedere che Gesù non li rimprovera per aver osato, non dice loro: “Come vi permettete, smettete di sognare queste cose!”. No, Gesù non abbatte i loro sogni, ma li corregge sul modo di realizzarli; accetta il loro desiderio di arrivare in alto — è buono questo — ma insiste su una cosa, da ricordare bene: non si diventa grandi scavalcando gli altri, ma abbassandosi verso gli altri; non a discapito degli altri, ma servendo gli altri (cfr. Mc 10, 35-45). [chiede al traduttore di ripetere l’ultima frase in ungherese] Avete capito? Vedete, amici, Gesù è felice che raggiungiamo grandi traguardi, non ci vuole pigri e poltroni, non ci vuole zitti e timidi, ci vuole vivi, attivi, protagonisti, protagonisti della storia. E non svaluta mai le nostre aspettative ma, al contrario, alza l’asticella dei nostri desideri. Gesù sarebbe d’accordo con un vostro proverbio, che spero di pronunciare bene: Aki mer az nyer [Chi osa vince].

Voi potete domandarmi: come si fa ad essere vincitori nella vita? Ci sono due passaggi fondamentali, come nello sport: primo, puntare in alto; secondo, allenarsi. Puntare in alto. Dimmi, hai un talento? Di sicuro ce l’hai, tutti l’abbiamo! Non metterlo da parte pensando che per essere felice basti il minimo indispensabile: un titolo di studio, un lavoro per guadagnare, divertirsi un po’... No, metti in gioco quello che hai! Hai una buona qualità? Investi su quella, senza paura, vai avanti! Senti nel cuore che hai una capacità che può far bene a tanti? Senti che è bello amare il Signore, creare una famiglia numerosa, aiutare chi è bisognoso? Vai avanti, non pensare che siano desideri irrealizzabili, ma investi sui grandi traguardi della vita! Questo è il primo, puntare in alto. E il secondo: allenarsi. Come? In dialogo con Gesù, che è il miglior allenatore possibile. Lui ti ascolta, Lui ti motiva, Lui crede in te, sai?, Gesù crede in te!, sa tirar fuori il meglio di te. E sempre invita a fare squadra: mai da soli ma con gli altri: questo è molto importante. Se tu vuoi maturare e crescere nella vita, vai avanti facendo squadra, nella comunità, vivendo esperienze comuni. Penso, ad esempio, alle Giornate Mondiali della Gioventù, e colgo l’occasione per invitarvi alla prossima, che sarà in Portogallo, a Lisbona, all’inizio di agosto. Oggi invece c’è la grande tentazione di accontentarsi di un cellulare e di qualche amico — poca cosa, per favore! Ma, anche se questo è ciò che fanno tanti, anche se fosse quello che ti va di fare, non fa bene. Tu non puoi chiuderti in un gruppettino di amici e dialogare soltanto con il cellulare: questa è una cosa — permettetemi la parola — un po’ stupida.

C’è poi un elemento importante per allenarsi e tu, Krisztina, ce lo hai ricordato dicendo che tra mille corse, tanta frenesia e velocità, c’è una cosa essenziale che manca oggi ai giovani, e pure agli adulti. Hai detto: «Non ci concediamo tempo per il silenzio nel rumore, perché abbiamo paura della solitudine e poi ogni giorno finiamo per essere stanchi». Lo hai detto tu, Krisztina: grazie. Vorrei dirvi: in questo non abbiate paura di andare controcorrente, di trovare un tempo di silenzio ogni giorno per fermarvi e pregare. Oggi tutto vi dice che bisogna essere veloci, efficienti, praticamente perfetti, come delle macchine! Ma, cari, noi non siamo macchine! E poi ci accorgiamo che spesso finiamo la benzina e non sappiamo cosa fare. Fa tanto bene sapersi fermare per fare il pieno, per ricaricare le batterie. Ma attenzione: non per immergersi nelle proprie malinconie o rimuginare sulle proprie tristezze, non per pensare a chi mi ha fatto questo o quello, facendo teorie su come si comportano gli altri; no, questo non fa bene! Questo è un veleno, questo non si fa.

Il silenzio è il terreno su cui coltivare relazioni benefiche, perché permette di affidare a Gesù ciò che viviamo, di portargli volti e nomi, di gettare in Lui gli affanni, di passare in rassegna gli amici e dire una preghiera per loro. Il silenzio ci dà la possibilità di leggere una pagina di Vangelo che parla alla nostra vita, di adorare Dio ritrovando così la pace nel cuore. Il silenzio permette di prendere in mano un libro che non sei costretto a leggere, ma che ti aiuta a leggere l’animo umano, di osservare la natura per non stare solo a contatto con cose fatte dagli uomini e scoprire la bellezza che ci circonda. Ma il silenzio non è per incollarsi ai cellulari e ai social; no, per favore: la vita è reale, non virtuale, non avviene su uno schermo, la vita avviene nel mondo! Per favore, non virtualizzare la vita! Lo ripeto: non virtualizzare la vita, che è concreta. Capito?

Il silenzio, dunque, è la porta della preghiera e la preghiera è la porta dell’amore. Dóra, vorrei ringraziarti perché hai parlato della fede come di una storia d’amore — è bello questo, è la tua esperienza —, dove ogni giorno affronti le difficoltà dell’adolescenza, ma sai che c’è Qualcuno con te, Qualcuno per te, e che quel Qualcuno, Gesù, non ha paura di superare con te ogni ostacolo che incontri. La preghiera aiuta a fare questo, perché è dialogo con Gesù, così come la Messa è incontro con Lui, e la Confessione è l’abbraccio che si riceve da Lui. Mi viene in mente il vostro grandissimo musicista Ferenc Liszt. Durante la pulitura del suo pianoforte furono trovati dei grani del rosario che forse, rompendosi, erano caduti dentro lo strumento. È un indizio che ci fa pensare come, prima di un componimento o di un’esecuzione, magari anche dopo un momento di divertimento al pianoforte, fosse abituale per lui pregare: parlava al Signore, parlava alla Madonna di ciò che amava e metteva la sua arte e i suoi talenti nella preghiera. Pregare non è noioso! Siamo noi a renderlo noioso. Pregare è un incontro, un incontro con il Signore: è bello questo. E quando pregate, non abbiate paura di portare a Gesù tutto quello che passa nel vostro mondo interiore: gli affetti, i timori, i problemi, le aspettative, i ricordi, le speranze, tutto, anche i peccati. Lui capisce tutto. La preghiera è dialogo di vita, la preghiera è vita. Bertalan, oggi non hai avuto vergogna di raccontare a tutti l’ansia che a volte ti paralizza e le fatiche nell’avvicinarti alla fede. Che bello quando si ha il coraggio del vero, che non è mostrare di non aver mai paura, ma aprirsi e condividere le proprie fragilità con il Signore e con gli altri, senza nascondere, senza camuffare, senza indossare maschere. Grazie per la tua testimonianza, Bertalan, grazie! Il Signore, come racconta a ogni pagina il Vangelo, non fa grandi cose con persone straordinarie, ma con persone vere, limitate come noi. Invece, chi si basa sulle proprie capacità e vive di apparenze per sembrare a posto, tiene lontano Dio dal cuore perché si occupa di sé stesso soltanto. Gesù con le sue domande, con il suo amore, con il suo Spirito, ci scava dentro per fare di noi persone vere. E oggi c’è tanto bisogno di persone vere! Vi dico una cosa: sai qual è il pericolo oggi? Di essere una persona finta. Per favore, mai persona finta, sempre persona vera, con la propria verità! “Eh, Padre, io mi vergogno perché la mia realtà non è buona, sa, Padre, io ho delle mie cose dentro...”. Guarda avanti, al Signore, abbi coraggio! Il Signore ci vuole così come siamo, come siamo adesso, ci vuole bene così. Coraggio e avanti! Non spaventatevi delle vostre miserie.

E a questo proposito, ci ha colpito quanto hai detto tu, Tódor, a partire dal tuo nome, che porti in onore del beato Teodoro, un grande confessore della fede che richiama a non vivere di mezze misure. Hai voluto “far suonare la sveglia”, dicendo che lo zelo per la missione è anestetizzato dal nostro vivere nella sicurezza e nell’agio, mentre a non molti chilometri da qui la guerra e la sofferenza sono all’ordine del giorno. Ecco allora l’invito: prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace. Lasciamoci scomodare da questo, chiediamoci, ciascuno di noi: io che cosa faccio per gli altri, che cosa faccio per la società, che cosa faccio per la Chiesa, che cosa faccio per i miei nemici? Vivo pensando al mio bene o mi metto in gioco per qualcuno, senza calcolare i miei interessi? Per favore, interroghiamoci sulla nostra gratuità, sulla nostra capacità di amare, amare secondo Gesù, cioè di amare e servire.

Cari amici, c’è un’ultima cosa che vorrei condividere con voi, una pagina di Vangelo che riassume quanto ci siamo detti. Un anno e mezzo fa ero qui per il Congresso Eucaristico; nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 6, c’è una bella pagina eucaristica che ha al centro un giovane. Racconta di un ragazzo che era nella folla ad ascoltare Gesù. Probabilmente sapeva che l’incontro sarebbe andato per le lunghe ed era stato previdente: aveva portato con sé il pranzo — voi avete portato un panino? Ma Gesù sente compassione per la folla — erano più di 5.000 — e la vuole sfamare; allora, nel suo stile, fa domande ai discepoli per sbloccare le loro energie. Chiede a uno di loro come fare e arriva una risposta “da ragioniere”: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» (Gv 6, 7). Come a dire: matematicamente impossibile. Un altro, nel frattempo, vede quel ragazzo e fa una constatazione, ma ancora una volta pessimistica: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (v. 9). Invece a Gesù quei cinque pani e due pesci bastano, bastano e avanzano per compiere il famoso miracolo della moltiplicazione dei pani. Ognuno di noi, le piccole cose che abbiamo, anche i nostri peccati, a Gesù bastano. E noi cosa dobbiamo fare? Lasciarle nelle mani di Gesù: ecco, questo basta.

Però il Vangelo non racconta un particolare, che lascia alla nostra immaginazione: come avranno fatto i discepoli a convincere quel giovane a dare tutto ciò che aveva? Forse gli avranno chiesto di mettere a disposizione il suo pranzo e lui si sarà guardato attorno, vedendo migliaia di persone. E forse, come loro, avrà risposto dicendo: “Non basta, perché chiedete a me e non ve ne occupate voi, che siete i discepoli di Gesù? Chi sono io?”. Allora, magari, gli avranno detto che era Gesù stesso a chiederne. E Lui fa una cosa straordinaria: si fida. Quel ragazzo, che aveva il pranzo per sé, si fida, dà tutto, non tiene nulla per sé. Era venuto per ricevere da Gesù e si trova a dare a Gesù. Ma così avviene il miracolo. Nasce dalla condivisione: la moltiplicazione operata da Gesù comincia dalla condivisione di quel giovane con Lui e per gli altri. Il poco di quel ragazzo nelle mani di Gesù diventa molto. Ecco dove porta la fede: alla libertà di dare, all’entusiasmo del dono, al vincere le paure, a mettersi in gioco! Amici, ciascuno di voi è prezioso per Gesù, e anche per me! Ricordati che nessuno può prendere il tuo posto nella storia del mondo, nella storia della Chiesa, nessuno può prendere il tuo posto, nessuno può fare quello che solo tu puoi fare. Aiutiamoci allora a credere che siamo amati e preziosi, che siamo fatti per cose grandi. Preghiamo per questo e incoraggiamoci in questo! E ricordatevi anche di fare del bene a me con la vostra preghiera. Köszönöm! [grazie!]


Il saluto del vescovo Palánki

Nuove generazioni più sensibili alla cura del creato


Da un’indagine nazionale condotta in Ungheria in occasione del Sinodo dei giovani, si apprende che la stragrande maggioranza dei giovani cattolici praticanti conosce qualcuno nella Chiesa «a cui potersi rivolgere con fiducia con questioni personali e domande riguardanti la propria vita». Lo ha detto monsignor Ferenc Palánki, vescovo di Debrecen-Nyíregyháza, responsabile per la pastorale giovanile, nel saluto a Papa Francesco. Il sondaggio, ha spiegato il presule, mostra anche che i giovani «sono disponibili a sostenere i poveri e gli svantaggiati, sono disposti a partecipare alle iniziative caritative se incoraggiati a farlo», e che questa generazione è «molto più sensibile alla salvaguardia del creato».

La giovinezza, ha aggiunto il presule, è anche un’epoca di grandi risposte. Non spetta agli adulti «dare loro le risposte, ma aiutarli a trovarle». 

Il vescovo ha salutato il Pontefice a nome degli oltre 10 mila presenti e di tutta la multiforme realtà giovanile magiara: dei circa 45.000 studenti delle scuole superiori cattoliche, dei 17.000 delle università cattoliche, delle cappellanie universitarie, dei movimenti di pastorale giovanile e dei giovani attivi nelle parrocchie, così come di quelli provenienti dai Paesi vicini.