Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-010
06 maggio 2023

Sono soprattutto ricordi i pensieri che gli autori dei “canti dalle periferie” hanno donato per questo numero dedicato alla madre. Ricordi pieni di amore, di rimpianti, di riconoscenza.

Sono il tuo ritratto,
coccolona
come un gatto

Una mamma non sa mentire,

cerca sempre di capire.

Una mamma ti sa amare

e lo fa con grande ardore.

Il suo abbraccio è come un fiore,

profumato nel suo calore.

Una mamma tutto dà,

per lei niente resterà.

Cara mamma, sei lontana,

abbracciarti qui non posso.

Sono sempre il tuo ritratto,

coccolona come un gatto!

Una donna
coraggiosa

La mia mamma è stata una donna coraggiosa durante tutta la sua esistenza. Quando nostro padre, ancora non anziano, morì, si prese cura di tre figli, nonostante le sue fragilità.

Il suo coraggio era come una forza leggera. Faceva parte del suo dna .

Le mie sorelle lo hanno ereditato da lei e da nostro padre e agisce nei percorsi coraggiosi delle loro vite. Per me è stato diverso: per arrivare al coraggio ho dovuto affrontare un percorso tortuoso.

Da bambino avevo un’amica particolare: la creatività, un dono ricevuto dai miei genitori. Mi venne portata via da un maestro di scuola elementare. E la mia vita divenne priva di senso.

Quando mia madre volò in cielo, qualcosa accadde: qualche iniziale frammento di coraggio, ma nessuna dinamica creativa.

L’amica, che i miei genitori mi avevano donato, si presentò di nuovo quando ero in un letto d’ospedale, dopo il mio primo pacemaker. Capii che non mi aveva mai lasciato solo, così come non mi avevano abbandonato i miei genitori, volati in cielo. E il coraggio si manifestò nel lavorare su me stesso per recuperare ciò che mi era stato portato via quasi sei decadi prima.

Il coraggio è il fondamento del vivere, proprio quando ti sembra di aver perso tutto. Mia madre mi infonde ancora oggi coraggio. Per questo continua ad essere una donna coraggiosa.

E se la società
imparasse
dalle madri?

Già il mese scorso, su queste stesse colonne, abbiamo avuto modo di parlare della madre, ma si trattava di Maria, Madre di Dio e nostra Mamma celeste. Volendo ora, a distanza di un mese, scendere un po’ più con i piedi in terra, proviamo a fare qualche considerazione sulla mamma ordinaria, madre di semplici, miserandi (e, per lo più, poco eligendi) mortali.

Ad esempio, un tratto fondamentale è che, come puntualmente ci rammentava Pino Daniele, «ogni scarrafone è bello a mamma soja» (ogni scarafaggio appare bello agli occhi della mamma). Ciò comporta — tanto per dirne una — che la mamma non giudica. Questo rende la sua figura particolarmente cara, più che alle altre donne, agli uomini, abituati — ahinoi — al fatto che ogni altra donna, a prescindere dal suo ruolo — moglie, fidanzata, convivente, amante, amica — ci giudichi, eccome! (Anzi, a volte, anche troppo, tanto che se le capita di chiudere un occhio, siamo ben lesti ad approfittarne).

Al netto di qualche eccezione, che conferma la regola, le madri hanno una marcia in più nell’accogliere, nel prendersi cura di chi è più fragile, a cominciare dal loro bambino. Ora, se è vero — come è vero — che la società è costituita da individui, non si potrebbe prendere a modello questo approccio delle madri? Non mancano, in seno alla società, categorie che ne beneficerebbero: poveri, malati, anziani, persone sole, immigrati.

È tanto difficile per la società far proprio questo principio — individuale, ma di massa nella misura in cui è condiviso da tutte le madri — ed applicarlo su scala generale? Forse l’unico equivoco in cui non si dovrebbe incorrere è pensare che basti, sic et simpliciter, sostituire “donne politiche” agli “uomini politici”, che solitamente detengono il potere, per avere la panacea, il toccasana di tutti i mali sociali.

Un cuore volato via

Io ho capito solo dopo cosa significa la parola mamma. Solo dopo averla persa, ho capito che sono un uomo miracolato, sono un uomo che vive senza avere un cuore. Quello se ne è andato con la persona a me più cara: mia madre!

L’unica che può capire il proprio figlio

La madre, unica cosa bella.

Lei ti insegna a camminare.

Con le sue mani ti dà la forza della vita,

ti insegna la dolcezza.

La madre ti riscalda il cuore nelle notti fredde.

La Madre Celeste ha rivelato, tramite suo figlio, il mistero della vita.

La madre è l’unica che può capire il proprio figlio.

Il secondo dono

Quando, appena partorito, vieni alla luce, ecco il secondo grande dono — il primo è la vita — che ricevi; lo tocchi con mano: è colei che ti ha partorito. “Mamma” è la prima parola che impari a pronunciare. Quando sei nel buio della fatica, del lavoro, della salute, la mano che cerchi è sempre quella della mamma. Ed è sempre lei che ti sta vicino nei momenti oscuri della vita.

Se chiudi gli occhi e ci pensi, vengono chiare le linee del corpo, del viso, degli occhi. I suoi tratti delicati e gentili non si perdono mai. Non a caso, la festa della mamma (anche se è una celebrazione soprattutto commerciale) si celebra a metà maggio, un mese pieno di fioriture e profumi. La mamma, infatti, mantiene sempre la sua fioritura nei suoi lineamenti, in ogni parola, nel suo saper essere accogliente, anche quando la vita porta ad altre direzioni. Anche nel luogo ove la libertà è privata, il pensiero e l’affetto restano prioritariamente rivolti alla mamma.

La devozione a Maria, che a maggio si fa più fervorosa, trova poi il centro nella preghiera dell’“Ave Maria”. E, in carcere, la corona del rosario è ricercata e indossata come oggetto che ti accompagna e ti sostiene.

Ma, in questo 2023, quante volte, nei luoghi deputati a scrivere le regole del vivere civile, si è parlato della madre, del peso quotidiano che le viene richiesto per combinare cura e lavoro? La risposta è semplice: tanto, troppe volte si è parlato, poche, troppo poche, si è operato. Sarà, questo, l’ultimo anno in cui ci saranno in carcere madri con i figli? Si potranno avere nelle carceri luoghi adeguati dove far incontrare le famiglie? E si potranno destinare operatori a curare, con costanza, il nobile e grande dovere di operare perché la famiglia resti sempre unita, anche se — per legge — uno dei suoi componenti è rinchiuso?

Che bello sarebbe se il Ministero della famiglia pensasse anche a quelle realtà che rischiano di disgregarsi perché un suo componente — quasi sempre il marito — è in carcere. Certo, questo è un dovere di un altro Ministero che ha più a cuore la vigilanza, ma che dovrebbe considerare anche l’aspetto sociale, perché fuori dal carcere — a fine pena — la famiglia disgregata rappresenta un fattore di problematicità.

Ecco, cara mamma, questo è quello che è uscito dalla mia penna. Tu dal Cielo mi hai messo sulla strada del bene. Purtroppo io, ad un incrocio, ho intrapreso una strada errata. Sono certo che dal cielo tu mi sei sempre vicina nella quotidianità che vivo in carcere.

La mia preghiera a Maria mi sostiene nel guardare ogni giorno al futuro: ora, dietro le sbarre, ma poi anche quando la luminosità del cielo, che è la sua casa, mi vedrà fuori dal luogo di detenzione.

Un rap dedicato a te

In ogni lacrima che scende, io vedo te.

In ogni volto che risplende, io sento te.

Non c’è ragione, nessuna sensazione.

Dentro piove, mentre fuori splende il sole.

Sono anni che non ci sei più, ma per me non sei volata via.

In ogni abbraccio perso, in ogni mia sconfitta, sei sempre qui con me.

I tuoi abbracci, i tuoi sorrisi, i tuoi consigli, i tuoi ricordi sono qui con me, fanno parte di me.

Mi manchi sempre più.

In ogni voce che si accende, io sento te, in ogni gesto quotidiano, io vedo te.

Meglio andare via, questa vita è una bugia, come una lunga galleria.

Sono anni che non ci sei più, ma per me non sei volata via.

In ogni abbraccio perso, in ogni mia sconfitta, sei sempre qui con me.

I tuoi ricordi, i tuoi sorrisi, le tue parole, semplici consigli, sono carezze per me, fanno parte di me.

Sai che c’è? Prendo tutto e sparisco con te, riparto dall’inizio e, anche se non sarà facile, mi rimboccherò le maniche.

Faccio un sogno lungo tutta la notte, il ricordo che ho di te lo voglio trasferire su queste note.

Mi manchi e anche un casino.

Un giorno piango, un giorno rido e penso a questo infame destino.

La vita senza di te è una vita che non esiste.

Per questo chiudo questi occhi e mi ritrovo in queste rime, censite come il primo singolo.

Sono stanco di vivere così e senza di te la mia vita non mi regala momenti gioiosi.

Te ne sei andata così, senza una spiegazione: è per questo che soffrivo quando stavi sotto operazione.

Eh sì, mamma, l’unica fra tante che capiva il figlio ad ogni istante.

La mia adolescenza senza di te l’ho passata nel cesso.

Guardandomi allo specchio, ero sempre depresso.

Papà sopportavo e per questo mi rimproveravo, disperavo, cercavo, dimostravo che ce l’avrei fatta senza di te, ma ogni giorno che passava capivo che dovevo farmi forza da me...

Lo so, la vita ti dà questi dispiaceri.

Vivono sempre

Madre e mamma: che valore hanno questi due nomi? “Troppo”.

Madre e mamma sono persone che non hanno tempo, vivono per sempre, dentro di noi e accanto a noi.

Ci proteggono ovunque siamo.

La madre di tutti:
l’amore

Caro amico, rispondo alla lettera nella quale mi chiedevi: cos’è la madre?

Definire cosa sia una madre, in poche parole, è molto difficile. È un po’ come provare a spiegare cos’è l’amore che genera.

All’inizio ci sono la donna e l’uomo. Quando nasce un figlio diventano madre e padre, cambiando il loro modo di sentire la vita e facendosi carico di responsabilità che prima non avevano.

Ma è sempre così? Ho letto un passo della Bibbia nel quale si racconta che Dio trovò una bambina gettata via dai genitori, perché sentita come un oggetto ripugnante. Egli l’ha accolta, l’ha ripulita, l’ha vestita e le ha dato la possibilità di crescere, di diventare stupenda (se vuoi approfondire leggi Ezechiele 16 4-14).

Questo mi ha fatto pensare che, per prima cosa, è necessario stabilire cos’è l’amore che genera.

Definire l’amore è più difficile che dare una definizione di genitori: loro si possono toccare, vedere, l’amore no! Lo sentiamo, abbiamo un gran bisogno sia di riceverlo sia di donarlo, ma non lo possiamo né vedere né toccare! La paura e gli egoismi creano superbia, cercando di distaccarci da questo sentimento.

E qui torno al tema della madre, con il suo affetto, con la sua purezza, anche se a volte ha paura di commettere degli sbagli.

Quando la donna diventa madre, incentra la sua attenzione sul figlio. Questo è normale: l’ha tenuto per vari mesi dentro di sé, l’ha sentito crescere; è parte di sé. È bello vedere la nascita di un frugoletto! È il nostro futuro! La continuazione della vita!

Io, essendo un uomo, non riesco a capire tanti aspetti di questo rapporto. Però sono nato in una famiglia del sud Italia dove “i figli so’ piezz ’e core” e vedo che un neonato porta gioia, una gioia immensa. Apre il cuore! Riesce a tirar fuori l’amore che abbiamo dentro!

Purtroppo non tutti si sentono pronti allo stesso modo. È qui che dovrebbe esprimersi la solidarietà collettiva, non lasciando mai soli una madre, un figlio e un padre. Donandogli l’amore di cui siamo capaci nel rispetto della fratellanza e dell’onestà.

In fin dei conti, siamo tutti fratelli, generati dalla stessa sostanza: l’amore immenso che esiste.

Diciamolo:
«Ti voglio bene!»

Ogni volta che pensiamo alla figura della mamma, subito ci viene in mente la mamma di tutti noi, ovvero Maria, la Madre Celeste, la Madonna, la madre di Gesù, la moglie di Giuseppe: questa donna ha portato in grembo il figlio di Dio. Si è totalmente abbandonata al volere di Dio e ha visto il figlio morire sulla croce, provando quel dolore immenso che ogni madre prova nel perdere il proprio figlio.

Il mese di maggio, come sappiamo, è dedicato al Cuore Immacolato di Maria, quindi alle mamme tutte, nessuna esclusa. A volte i figli, me compreso, non riescono nel corso della vita a ricambiare l’amore unico ed eterno che una madre dà loro. Lo capiamo, purtroppo, e ce ne accorgiamo quando la mamma non c’è più. Ci manca e allora ci rendiamo conto di quanto ha dato per noi, di quanto ha sofferto per noi, di quanto amore incondizionato ci ha donato. Anch’io l’ho capito solo quando ho perso mia madre nel lontano 1997.

Un aforisma napoletano dice: «Chi tene a mamma è ricco e nun o sape» (Chi ha la mamma ancora vicino a sé è ricco e neanche lo sa). È la verità perché, quando la mamma non c’è più, noi figli diventiamo poveri nello spirito, nell’anima, nella vita. Allora, non dimentichiamo di voler bene alle nostre mamme, come Maria, la beata Vergine, ci ha insegnato. Diciamolo quel “Mamma, ti voglio bene!”, non teniamolo dentro di noi, perché poi arriva il momento che vorremmo dirlo, ma non potremo più farlo.

Ci vediamo giovedì

Oggi è un anno che mi hai lasciato su questa terra. Con il cuore in gola ti penso sempre, ogni giorno che resta.

Ti ringrazio per avermi messo al mondo, proteggi mia figlia e la mia compagna. Ci vediamo giovedì, a Trigoria: ti porterò con il cuore un fiore.

Ciao mamma!

Ho bisogno di te
per amare e volare

Vorrei disegnare un cuore con dentro la scritta “Mamma”, ossia la cosa più bella che c’è.

Lei per me c’era sempre. Sapeva ascoltarmi. I suoi occhi erano pieni di gioia. Quanto era grande il suo amore di madre!

Mi ha insegnato a pregare, come faceva Maria. Quando ero triste, lei era lì ad abbracciarmi. Aveva sempre il sorriso, anche nei momenti difficili.

Mi ha accolta come una figlia pur non essendo la mia vera madre. Cos’altro avrei potuto desiderare? Non ha mai smesso di amarmi.

Il mio cuore batterà sempre per te, mamma. Tu sarai sempre quel fiore che sboccia ogni giorno. Ho ammirato la bellezza che è attorno a me e ho visto nella notte le stelle che illuminano il cielo: la più bella sei tu. Ho bisogno di te per amare, per volare e per arrivare dove ora sei tu.

Come potrei mai dimenticare una mamma come te, che il Signore mi ha voluto donare?

Ti vedo, con il foulard sulla testa
e il rosario nelle mani

Sto qui seduto a pensare cosa scrivere: mi hanno chiesto di scrivere un ricordo di te.

Me ne vengono in mente tantissimi: non si fa in tempo a finirne uno che, subito, ne comincia un altro.

Mentre penso, torna nella mia memoria un episodio che, forse, ha contribuito a cambiare i comportamenti nella mia vita.

Come tutti i ragazzi della mia età che vivevano in borgata, anch’io ho avuto un periodo in cui mi comportavo da bullo e coatto. Una volta, con un amico, feci uno scippo. Per noi non andò bene. Non finii in galera perché, essendo la prima volta, ottenni il perdono giudiziario. Ma per te, mamma, quel fatto fu traumatico.

Mi ricordo che hai pianto per due o tre giorni. Dentro di me sentivo rabbia e vergogna per il dolore che ti avevo causato. Allora, giurai a me stesso che non sarei stato mai più la causa delle tue lacrime.

Cominciai a lavorare e a guadagnarmi da vivere onestamente.

Il tempo passava e io continuavo a lavorare. E tu eri sempre più felice, serena e orgogliosa di me. Eri rimasta sola, ma stavi crescendo i tuoi figli con onestà e dignità.

Oggi, mi piace pensare che sei andata via con quella stessa gioia, con quello stesso orgoglio: la tua vita non è stata uno spreco. Ora tocca a noi far ricordare il tuo passaggio su questa terra, con la dignità dei nostri comportamenti, insegnati da te.

Mi piace immaginarti da qualche parte di questo cosmo, seduta sulla tua solita sedia, con il foulard sulla testa e il rosario nelle mani, mentre ci guardi e dici a chi è vicino a te: «Quelli sono i miei figli!».

Il motore del mondo

La madre è la protettrice della terra, della vita, praticamente di tutto ciò che ci circonda. Tutto è creato da una madre. Anche la natura ci protegge come una grande mamma.

La madre è il motore del mondo. Colei che assicura la continuità della vita sul pianeta.

“Mamma” è la prima parola che impariamo a pronunciare.

Ogni essere vivente ha verso la madre un amore sconfinato e riconoscente, perché gli ha donato la cosa più bella che possa capitare al mondo: la vita.

Una donna bionda
e con gli occhi azzurri

Mio nonno Francesco, chirurgo al fronte durante la prima guerra mondiale, mi raccontava che i nostri militari, feriti gravemente, prima di morire sussurravano una sola parola: “Mamma”.

Me lo raccontava spesso, perché non dimenticassi mai l’amore che dobbiamo nei confronti delle nostre madri, che hanno sacrificato la loro vita per noi: niente è più forte ed indelebile dell’amore di una madre verso i propri figli.

* * *

Avevo quasi cinque anni nel gennaio 1945, quando ormai la guerra stava finalmente, anche se tragicamente, finendo in Italia. Mio padre, per quanto ne sapevamo, era stato deportato in Austria nell’agosto del 1943, dopo essere stato arrestato dalle brigate nazifasciste nonostante fosse ancora ricoverato nell’ospedale militare del Celio a Roma.

A quel tempo, io, la mia mamma e mia sorella abitavamo con i nonni materni in una casa vicino a piazza Mazzini. Ricordo, come se fosse oggi, una mattina di gennaio in cui si presentò alla porta un ufficiale delle ss con due soldati: cercavano mio padre che, ci dissero, era evaso dal campo di prigionia in cui si trovava. Faceva tanto freddo, ma quella “visita” indesiderata, in un certo senso, ci rassicurò, perché finalmente riuscimmo ad avere notizie di mio padre.

I militari tedeschi entrarono in casa, educatamente, e, dopo un controllo abbastanza sommario, se ne andarono. Prima di uscire di casa, però, l’ufficiale si rivolse alla mia povera e spaventatissima madre dicendo: «Signora, la sua famiglia è come la mia: pura razza ariana». In effetti, mia madre, io e mia sorella eravamo tutti e tre biondi con gli occhi azzurri. Ringraziando il Signore, forse fu questo a salvarci la vita. Quelli erano tempi in cui non si andava tanto per il sottile, soprattutto nei confronti di una famiglia di un militare italiano in fuga.

Quattro mesi dopo e un viaggio infinito a piedi, mio padre riuscì a tornare a Roma e si unì alle brigate partigiane.

Finita la guerra, nel 1945, io e mia sorella fummo iscritti in una scuola elementare “parificata” gestita (benissimo) da una congregazione di suore tedesche, che seppero farci capire che, nonostante i catastrofici eventi bellici, non è la razza a renderci migliori o peggiori degli altri, che siamo fatti per vivere in pace, per aiutarci l’un l’altro, per comprenderci. Questo la mia adorata madre ce lo aveva sempre insegnato. E parlando del popolo tedesco ci diceva: «Non odiateli mai, in fondo sono nostri fratelli che uno sciagurato dittatore ha trascinato nella catastrofe della guerra!».

Questo era mia madre: Lucia, una donna buona, bionda e con gli occhi azzurri!

Anna Maria Lo Presti

Arios

Fabrizio Salvati

Geppetto

Agostino

s.c.

Daniele Mr$

Giuliana

Mimmo

Angelo Zurolo

Andrea

Lia

Domenico

Antonio

Alessandro