Il viaggio del Pontefice in Ungheria
Il benvenuto del presidente della Repubblica

«Vincere la pace» in Europa anche con le rose
di Elisabetta

 «Vincere la pace» in Europa anche con le rose di Elisabetta  QUO-099
28 aprile 2023

«Benvenuto in Ungheria, uomo della pace! In ungherese si dice “Isten hozta”, che vuol dire, letteralmente, “Dio l’ha portata da noi”!». Sono le parole del presidente della Repubblica magiara, Katalin Novák, che ha dato il benvenuto al Papa all’inizio dell’incontro. Con un appello per la pace in Europa e l’impegno alla solidarietà nella memoria della principessa Elisabetta, ricordata dal popolo ungherese con il simbolo della rosa.

Per il presidente, la visita del Pontefice, proprio ora, in Ungheria, «non è casuale» e neppure semplicemente la risposta a un invito della Chiesa e dello Stato. È, invece, «“kairos”, momento e luogo opportuno per l’incontro, per suonare le campane, per proclamare una pace giusta» che veda insieme i cristiani «e, senza alcuna distinzione, tutte le persone di buona volontà».

Novák ha ricordato le parole del cardinale József Mindszenty: «L’ascesa di una nazione inizia sempre il giorno odierno. Nelle persone fiacche ce n’è della brace sotto la cenere, ed esse non aspettano altro che il fuoco». E la visita del Papa in Ungheria può proprio «rappresentare una spinta per questa ascesa», per un «cammino verso il rinnovamento spirituale e intellettuale e verso la pace». Su questa strada devono camminare gli ungheresi e gli europei, per arrivare, appunto, a una «Europa più pacifica, più democratica, più forte». Citando la legge ungherese, il presidente ha riaffermato che «dopo decenni di disintegrazione morale del ventesimo secolo, abbiamo urgente bisogno di un rinnovamento spirituale e intellettuale».

«San Giovanni Paolo ii è venuto a trovarci nel momento in cui ne avevamo maggiormente bisogno», quello del «nuovo inizio dopo la caduta del comunismo», ha detto. E «lo stesso vale anche per la visita di oggi»: Papa Francesco «arriva nel momento in cui l’Ungheria e l’Europa ne hanno maggiormente bisogno».

Il presidente ha ricordato che, «negli ultimi trent’anni, abbiamo rinnovato l’ecumenismo di cattolici, ortodossi e protestanti concepito nel martirio nell’ecumenismo della conservazione dei valori cristiani». E Papa Francesco «ora rafforza la nostra convinzione che la vita impostata sui valori cristiani ha un fondamento, un significato e un futuro anche nel xxi secolo», ha insistito. Riaffermando l’impegno per «la protezione della vita umana, della famiglia, forza della fede cristiana. Per questo abbiamo dichiarato nella nostra Legge fondamentale che “l’Ungheria protegge l’istituzione del matrimonio come comunità di vita tra un uomo e una donna, basata sul consenso volontario, e la famiglia come base della sopravvivenza della nazione”, e che “ogni persona umana ha diritto alla vita e alla dignità umana, e alla vita del feto spetta la tutela fin dal concepimento”».

«Siamo alleati» ha detto il presidente al Pontefice. «Insieme — ha aggiunto — difendiamo la vita umana, la donna e l’uomo come singole persone e come persone che si congiungono; i nostri fratelli cristiani perseguitati ma anche la libertà delle persone che pensano e vivono in modo diverso». E «la nostra alleanza» abbraccia oggi la «grave, tragica attualità nella guerra sanguinosa che infuria» proprio vicino all’Ungheria. «È con dolore e speranza» che il presidente si è rivolto al Papa: «Noi ungheresi possiamo quasi toccare con mano la devastante realtà della guerra. Stiamo facendo di tutto, al limite delle nostre possibilità, per aiutare il milione e mezzo di persone che fuggono dall’Ucraina verso di noi. Vediamo il dolore delle famiglie lacerate, sentiamo le grida delle madri che piangono i loro figli. Tra queste, anche le madri ungheresi della Transcarpazia. Vediamo l’ingiustizia. Vogliamo proteggere i nostri valori e il nostro futuro comune. Ma noi madri vogliamo in primo luogo vincere la pace, non la guerra. Non vogliamo mandare i nostri figli, i nostri mariti al fronte».

«Ci troviamo ancora distanti dalla strada che conduce alla pace e dalla reale volontà di arrivare al silenzio delle armi», ha riconosciuto il presidente. Rivolta al Papa ha detto: «Gli ungheresi vedono in lei l’uomo della pace! Sperano che lei possa parlare con Kyiv e Mosca, con Washington, Bruxelles, Budapest e con tutti coloro senza i quali non può esserci pace. Qui, a Budapest, le chiediamo di voler benevolmente intercedere personalmente per una pace giusta il prima possibile».

«Come primo presidente donna del nostro Paese — ha quindi proseguito — la ringrazio per l’incoraggiamento e per il rafforzamento che offre alle donne per la creazione della famiglia, nell’educazione dei figli e nel ricoprire ruoli di leadership a capo delle comunità». Purtroppo, ha rilanciato, «la strada della guerra è costellata di sangue, morte e povertà crescente. Oggi dobbiamo essere particolarmente attenti alle persone bisognose».

In particolare, ha affermato, «a noi ungheresi la storia ha dato santi che hanno offerto esempi meravigliosi. Ottocento anni fa abbiamo avuto una principessa, Elisabetta, che portava di nascosto nel grembiule il cibo raccolto di nascosto per i poveri. Nel momento in cui si volle smascherare la sua carità “illecita”, Dio trasformò l’elemosina in rose. Da allora “la rosa di santa Elisabetta” è diventata un nutrimento spirituale per milioni di persone: simbolo di aiuto per i bisognosi, i vulnerabili, i rifugiati. Simbolo di misericordia. La rosa è anche il simbolo, in Ungheria, di un programma congiunto del Governo e della Chiesa che offre a più di 100.000 bambini poveri, ogni anno, una vacanza gratuita nelle colonie “Elisabetta”». E così, ha aggiunto, «anche la vita di santa Elisabetta conferma che le donne hanno una responsabilità particolare nel mettere in evidenza che non può esistere buon governo senza misericordia, senza solidarietà».

«Tra i nostri doni — ha detto in conclusione il presidente al Papa — troverà le piante di “rosa di santa Elisabetta”. E quando queste rose fioriranno nei giardini del Vaticano le chiediamo di voler benevolmente pensare a tutti coloro — poveri, persone alla ricerca di un sostegno e anche a noi ungheresi — ai quali lei offre nutrimento spirituale, porta gioia e speranza con la sua visita e con il suo servizio». Oggi, ha concluso, «Dio l’ha portata da noi».