Il magistero

 Il magistero  QUO-098
27 aprile 2023

Venerdì 21

Unità
e trasparenza

Vorrei sottolineare due aspetti della vostra collaborazione alla missione del Papa.

Primo: la promozione dell’unità. Purtroppo, vediamo come l’unità della Chiesa sia ferita dalla divisione. Il diavolo è specialista nel lottare contro l’unità!

Ciò è causato da ideologie e movimenti che, pur avendo talvolta buone intenzioni, finiscono per fomentare partiti e critiche.

Questo è aggravato da una terminologia mondana, soprattutto di tipo politico, quando si parla della Chiesa e della fede.

San Paolo ha messo in guardia la Chiesa nascente da questi strumenti di divisione, che parlano in modo superficiale o rifiutano la natura della Chiesa, come unità nella diversità, come unità senza uniformità. Chi fa questa unità senza uniformità è lo Spirito Santo.

Motivata da fede e dal desiderio di aiutare, la Papal Foundation si eleva sopra queste divisioni faziose e promuove l’unità attraverso il generoso finanziamento di progetti e borse di studio che forniscono assistenza, senza pregiudizi o discriminazioni.

Secondo: la trasparenza. Negli ultimi anni la Santa Sede ha fatto passi notevoli per garantire che i servizi forniti alla Chiesa e alla società dai suoi Dicasteri, Istituzioni e Uffici siano svolti con trasparenza.

Ciò è importante nel servizio di carità, che fa affidamento sulla buona volontà.

Sebbene non siano paragonabili all’immenso danno derivante dall’incapacità di proteggere i più vulnerabili da varie forme di abuso, gli scandali finanziari causati da una mancanza di vigilanza danneggiano la Chiesa e possono mettere in discussione la credibilità della fede.

Apprezzo il costante impegno a mantenere adeguate misure di trasparenza, affinché il finanziamento di borse di studio e progetti vada a chi ne ha bisogno. Niente rimanga per la strada o nelle tasche.

(Alla Papal foundation)

Sabato 22

Ministerialità
laicale
nella Chiesa
sinodale

Le aree di vostra competenza riguardano la vita quotidiana di tante persone: famiglie, giovani, anziani, gruppi associati di fedeli e, più in generale, i laici che vivono nel mondo con le loro gioie e fatiche.

Siete un Dicastero “popolare”! Non perdete mai questo carattere di vicinanza alle donne e agli uomini del nostro tempo.

Vi siete riuniti per riflettere su I laici e la ministerialità nella Chiesa sinodale. Quando si parla del tema, si pensa subito ai ministeri “istituiti” — lettore, accolito, catechista —, che si caratterizzano per un intervento pubblico della Chiesa — uno specifico atto di istituzione — e per una certa visibilità.

Essi sono connessi con il ministero ordinato, perché comportano partecipazione al compito che gli è proprio, anche se non esigono il sacramento dell’Ordine.

Però non esauriscono la ministerialità della Chiesa, che è più ampia e che fin dalle prime comunità riguarda tutti i fedeli.

Qual è l’origine della ministerialità? Potremmo individuare due risposte.

La prima è: il Battesimo. In esso infatti ha la radice il sacerdozio comune di tutti i fedeli. La ministerialità laicale non si fonda sul sacramento dell’Ordine, ma sul Battesimo, per il fatto che tutti i battezzati — laici, celibi, coniugati, sacerdoti, religiosi — sono credenti in Cristo, dunque chiamati a prendere parte alla missione che Egli affida alla Chiesa.

La seconda è: i doni dello Spirito Santo. La ministerialità dei laici nasce dai carismi che lo Spirito distribuisce all’interno del Popolo di Dio: prima compare un carisma suscitato dallo Spirito; poi la Chiesa riconosce questo carisma come un servizio utile per la comunità; infine si introduce e si diffonde uno specifico ministero.

Anche oggi come nelle comunità delle origini, di fronte a particolari necessità, senza ricorrere all’istituzione dei ministeri, i pastori possono affidare ai laici determinate funzioni di supplenza, servizi temporanei, come nel caso la proclamazione della Parola o la distribuzione dell’Eucaristia.

In più, oltre ai ministeri istituiti, ai servizi di supplenza, e ad altri uffici stabilmente affidati, i laici possono svolgere molteplici compiti dentro la Chiesa e negli ambienti in cui sono inseriti.

Penso alle esigenze legate a forme antiche e nuove di povertà, come pure ai migranti, che chiedono urgenti azioni di accoglienza e solidarietà. In questi ambiti di carità possono nascere servizi che si configurano come veri e propri ministeri.

Si tratta di un grande spazio di impegno per chi desidera vivere in concreto, nei confronti degli altri, la vicinanza di Gesù. Il ministero diventa così, oltre che un semplice impegno sociale, una bella esperienza personale e una testimonianza cristiana.

Penso poi alla famiglia, sulla quale so che pure avete riflettuto durante questa Plenaria, esaminando alcune sfide della pastorale, tra cui le situazioni di crisi matrimoniale, le problematiche di separati e divorziati e di chi vive in una nuova unione o ha contratto nuove nozze.

Nella Christifideles laici si afferma che vi sono ministeri che hanno il loro fondamento sacramentale nel Matrimonio.

Nella Familiaris consortio si parla della missione educativa della famiglia come di un ministero di evangelizzazione, che ne fa un luogo di iniziazione cristiana.

E già in Evangelii nuntiandi si ricorda che la missionarietà intrinseca alla vocazione coniugale si esprime anche al di fuori della famiglia stessa, quando questa diventa «evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita».

Questi che ho citato sono alcuni esempi di ministeri laicali, ai quali se ne potrebbero aggiungere altri.

Una cosa però: essi non devono mai diventare autoreferenziali. Mi arrabbio quando vedo ministri laici che si “gonfiano” di fare questo ministero.

Questo non è cristiano; sono ministri pagani, pieni di sé. Attenti a non diventare autoreferenziali. Quando il servizio è unidirezionale, non è “andata e ritorno”, non va... A volte vedi laici che sembrano preti mancati: fare pulizia su questo.

Missione
e servizio

Cosa accomuna i vari tipi di ministerialità? la missione e il servizio. Tutti i ministeri sono espressione dell’unica missione della Chiesa e sono forme di servizio.

Nella radice del termine ministero c’è la parola minus, che vuol dire “minore”.

Gesù lo aveva detto: quello che comanda si faccia come il più piccolo. È un dettaglio di grande importanza. Chi segue Gesù non ha paura di farsi “inferiore” e mettersi al servizio degli altri.

(Alla plenaria del Dicastero per i laici,
la famiglia e la vita)

Domenica 23

Come
i discepoli
di Emmaus

In questa domenica il Vangelo narra l’incontro di Gesù risorto con i discepoli di Emmaus... due che, rassegnati per la morte del Maestro, decidono di lasciare Gerusalemme e tornarsene a casa.

Erano inquieti, perché avevano sentito le donne che venivano dal sepolcro e dicevano che era vuoto. Mentre camminano, Gesù li affianca, ma non lo riconoscono. Domanda come mai sono tristi, e gli dicono: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che è accaduto?». Gesù risponde: «Che cosa?». E loro gli raccontano tutta la storia.

Poi, mentre camminano, li aiuta a rileggere i fatti alla luce delle profezie, della Parola di Dio, di tutto quello che è stato annunciato al popolo di Israele.

Quello che Gesù fa con loro, aiutare a rileggere, anche per noi è importante.

Rileggere la storia della nostra vita, di un certo periodo, delle nostre giornate, con delusioni e speranze.

Anche noi di fronte a ciò che accade possiamo ritrovarci smarriti, soli e incerti, con domande e preoccupazioni, delusioni.

Come i discepoli di Emmaus, siamo chiamati a intrattenerci con Lui perché, quando si fa sera, Egli rimanga con noi.

C’è un bel modo di fare questo e vorrei proporvelo: dedicare un tempo, ogni sera, a un breve esame di coscienza.

Cosa è successo dentro di me? Si tratta di rileggere la giornata con Gesù: aprirgli il cuore, portare a Lui le persone, le scelte, le paure, le cadute e le speranze, tutte le cose che sono successe; per imparare gradualmente a guardarle con occhi diversi, con i suoi, non solo con i nostri.

Possiamo così rivivere l’esperienza di quei due discepoli. Davanti all’amore di Cristo, anche ciò che sembra faticoso e fallimentare può apparire sotto un’altra luce.

Una croce difficile da abbracciare, la scelta del perdono di fronte a un’offesa, la fatica del lavoro, la sincerità, le prove della vita familiare ci potranno apparire sotto la luce del Crocifisso, che sa fare di ogni caduta un passo in avanti. Ma è importante togliere le difese: lasciare tempo e spazio a Gesù, non nascondergli nulla, portargli le miserie, farsi ferire dalla verità.

Possiamo cominciare [a] chiederci: com’è stata la mia giornata? Quali gioie, tristezze, noiosità? Quali le sue perle, magari nascoste, per cui ringraziare? C’è stato amore in quel che ho fatto? Quali le cadute, i dubbi da portare a Gesù perché mi risollevi e incoraggi?

Beatificazione
a Parigi

Ieri sono stati beatificati Enrico Planchat, sacerdote della Congregazione di San Vincenzo de Paoli, Ladislao Radigue e tre compagni sacerdoti della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria.

Pastori animati da zelo apostolico, sono accomunati nella testimonianza della fede fino al martirio, che subirono nel 1871, durante la cosiddetta “Comune” parigina.

(Regina Caeli in piazza San Pietro)

Mercoledì 26

Grazia
e missione

È la sessantesima volta che si celebra la Giornata istituita da san Paolo vi nel 1964, durante il Concilio Vaticano ii .

Si propone di aiutare i membri del Popolo di Dio a rispondere alla chiamata e alla missione che il Signore affida a ognuno nel mondo, con le sue ferite e le sue speranze, le sue sfide e le sue conquiste.

Un’occasione per riscoprire con stupore che la chiamata è grazia, dono gratuito, e impegno a uscire per portare il Vangelo.

Siamo chiamati alla fede testimoniale, che stringe il legame tra la vita della grazia, attraverso i Sacramenti e la comunione ecclesiale, e l’apostolato nel mondo.

Animato dallo Spirito, il cristiano si lascia interpellare dalle periferie esistenziali ed è sensibile ai drammi umani, avendo sempre ben presente che la missione è opera di Dio e non si realizza da soli, ma nella comunione ecclesiale, insieme ai fratelli e alle sorelle, guidati dai Pastori.

«Scelti prima
della creazione
del mondo»

L’apostolo Paolo spalanca un orizzonte meraviglioso: in Cristo, Dio Padre «ci ha scelti per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù».

Dio ci “concepisce” a sua immagine e ci vuole figli, creati dall’Amore, per amore e con amore, e fatti per amare.

Nel corso della vita, questa chiamata, portatrice del segreto della felicità, ci raggiunge, per l’azione dello Spirito Santo, in maniera sempre nuova, illumina l’intelligenza e infonde vigore alla volontà.

A volte irrompe in modo inaspettato. È stato così per me il 21 settembre 1953 quando, mentre andavo alla festa dello studente, ho sentito la spinta a entrare in chiesa e confessarmi. Quel giorno ha cambiato la mia vita e le ha dato un’impronta che dura fino a oggi.

Però la chiamata si fa strada man mano, attraverso un cammino: a contatto con una situazione di povertà, in un momento di preghiera, grazie a una testimonianza del Vangelo, a una lettura che apre la mente, quando ascoltiamo una Parola di Dio, nel consiglio di un fratello che ci accompagna, in un tempo di malattia o lutto.

La fantasia di Dio che chiama è infinita. E la sua iniziativa e il suo dono gratuito attendono la nostra risposta.

Santa Teresa di Gesù Bambino esclamò: «La mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa […]. Nel cuore della Chiesa, mia Madre».

«Io sono
una missione su
questa terra»

La chiamata include l’invio. Non c’è vocazione senza missione. E non c’è felicità e piena realizzazione di sé senza offrire la vita nuova che abbiamo trovato.

È un’esperienza che non si può tacere. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» esclama Paolo. E la Prima Lettera di Giovanni inizia così: «Quello che abbiamo udito, veduto, contemplato e toccato — il Verbo fatto carne — noi lo annunciamo anche a voi».

La missione comune a tutti i cristiani è di testimoniare con gioia, in ogni situazione, con atteggiamenti e parole, ciò che sperimentiamo stando con Gesù e nella sua comunità che è la Chiesa.

Si traduce in misericordia materiale e spirituale, in uno stile di vita accogliente e mite, capace di vicinanza, compassione e tenerezza, controcorrente rispetto alla cultura dello scarto e dell’indifferenza.

Farsi prossimo come il buon samaritano, imitare Cristo che è venuto per servire e non per essere servito.

Quest’azione missionaria non nasce dalle nostre capacità, intenzioni o progetti, né dalla volontà e dal nostro sforzo di praticare le virtù, ma da una profonda esperienza con Gesù.

Solo allora possiamo diventare testimoni di Qualcuno, di una Vita, e questo ci rende “apostoli”.

Icona evangelica di questa esperienza sono i due discepoli di Emmaus, dopo l’incontro con il risorto. In loro possiamo vedere cosa significhi avere “cuori ardenti e piedi in cammino.

È quanto mi auguro anche per la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona.

Chiamati
insieme:
convocati

Marco racconta il momento in cui Gesù chiamò dodici discepoli, ciascuno col proprio nome. Li costituì perché stessero con lui e per inviarli a predicare, guarire le malattie e scacciare i demoni.

Il Signore pone le basi della sua nuova Comunità. I Dodici erano di ambienti sociali e mestieri differenti, non appartenenti alle categorie più importanti.

La Chiesa è Ekklesía, assemblea di persone chiamate, convocate, per formare la comunità dei discepoli missionari di Cristo, impegnati a vivere il suo amore tra loro e a diffonderlo tra tutti.

Nella Chiesa, siamo tutti servitori e servitrici, secondo diverse vocazioni, carismi e ministeri.

La vocazione al dono di sé nell’amore, comune a tutti, si dispiega e si concretizza nella vita dei cristiani laici e laiche, impegnati a costruire la famiglia come piccola chiesa domestica e a rinnovare i vari ambienti della società con il lievito del Vangelo; nella testimonianza delle consacrate e dei consacrati, donati tutti a Dio per i fratelli e le sorelle come profezia del Regno di Dio; nei ministri ordinati (diaconi, presbiteri, vescovi) posti al servizio della Parola, della preghiera e della comunione del popolo santo di Dio.

Solo nella relazione con le altre, ogni specifica vocazione nella Chiesa viene alla luce pienamente con la propria ricchezza.

In questo senso, la Chiesa è una sinfonia vocazionale, con tutte le vocazioni unite e distinte in armonia e insieme “in uscita”.

Dono
e compito

La vocazione è dono e compito, fonte di vita nuova e di vera gioia. Le iniziative di preghiera e di animazione legate a questa Giornata possano rafforzare la sensibilità vocazionale nelle famiglie, nelle comunità parrocchiali e in quelle di vita consacrata, nelle associazioni e nei movimenti.

Lo Spirito risorto ci scuota dall’apatia e ci doni simpatia ed empatia, per essere generativi nell’amore: capaci di portare vita ovunque, specie dove ci sono esclusione e sfruttamento, indigenza e morte.

(Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni)

I monaci
ponti
d’intercessione

Proseguiamo le catechesi sullo zelo apostolico... C’è un’altra grande testimonianza che attraversa la storia della fede: quella delle monache e dei monaci, che rinunciano a sé e al mondo, per imitare Gesù sulla via della povertà, della castità e dell’obbedienza e per intercedere a favore di tutti.

Come può della gente che vive in monastero aiutare l’annuncio? Non farebbe meglio a impiegare energie nella missione uscendo, predicando fuori dal monastero?

In realtà, i monaci sono il cuore pulsante dell’annuncio, la loro preghiera è ossigeno per tutte le membra del Corpo di Cristo, la preghiera loro è la forza invisibile che sostiene la missione. Non a caso la patrona delle missioni è una monaca, santa Teresa di Gesù Bambino.

I contemplativi: gente che prega, lavora, prega in silenzio, per tutta la Chiesa. Questo è l’amore che si esprime nei monasteri.

Vorrei portarvi come esempio san Gregorio di Narek, dottore della Chiesa. Vissuto attorno all’anno Mille, ci ha lasciato un libro di preghiere, nel quale si è riversata la fede del popolo armeno, il primo ad abbracciare il cristianesimo; un popolo che, stretto alla croce di Cristo, ha tanto sofferto lungo la storia.

San Gregorio trascorse quasi tutta la vita nel monastero. Lì imparò a scrutare le profondità dell’animo umano e, fondendo poesia e preghiera, segnò il vertice sia della letteratura sia della spiritualità armena.

L’aspetto che più colpisce è la solidarietà universale di cui è interprete. E fra i monaci e le monache c’è una solidarietà universale: qualsiasi cosa succede nel mondo, trova posto nel loro cuore e pregano.

Il cuore dei monaci e delle monache è come un’antenna, prende cosa succede nel mondo e prega e intercede per questo.

Come Gesù, i monaci prendono su di loro i problemi del mondo, le difficoltà, le malattie, tante cose e pregano per gli altri.

E questi sono i grandi evangelizzatori. I monasteri come mai vivono chiusi ed evangelizzano? Perché con la parola, l’esempio, l’intercessione e il lavoro quotidiano, i monaci sono un ponte di intercessione per tutte le persone e per i peccati.

Loro piangono anche con le lacrime per i loro peccati — tutti siamo peccatori — e anche per i peccati del mondo, e intercedono con le mani e il cuore in alto.

Pensiamo a questa “riserva” che abbiamo nella Chiesa: la vera forza che porta avanti il popolo di Dio e da qui viene l’abitudine che ha la gente quando incontra un consacrato di dire: “Prega per me”, perché sai che c’è preghiera d’intercessione.

Ci farà bene visitare qualche monastero, perché lì si prega e si lavora.

(Udienza generale in piazza San Pietro)

Dare voce agli scartati

Esprimo gratitudine per l’assistenza alle diocesi missionarie, in particolare negli Stati Uniti, e nella cura dei poveri e dei più vulnerabili. Vi ringrazio anche del contributo, ecclesiale e civile, per la ricostruzione a Porto Rico in seguito agli uragani e ai terremoti che hanno devastato l’isola.

Mi congratulo con suor Norma Pimentel, vincitrice del Premio “Spirit of Francis”, per il servizio che presta a tanti uomini, donne e bambini che giungono al confine meridionale degli Stati Uniti — frontera caliente — in cerca di futuro.

Voi, nel dare voce a coloro che spesso sono senza voce, testimoniate la dignità conferita da Dio a ogni persona. Ciò è importante oggi, mentre la Chiesa sta intraprendendo un percorso sulla via della sinodalità.

Ascoltare e includere le esperienze e le prospettive di tutti, specie di coloro che si trovano ai margini, arricchisce la vita e il ministero ecclesiali; perché la Chiesa è come un grande arazzo, fatto di tanti singoli fili che provengono da popoli, lingue e culture differenti, ma sono intessuti in unità dallo Spirito Santo.

Mi rallegro per la vostra sollecitudine nel porre al centro quanti sono spesso vittime della “cultura dello scarto”; in tal modo la loro voce può essere udita.

Vi incoraggio a continuare a esprimere “lo stile di Dio” nell’opera che svolgete, stile mai distante, distaccato o indifferente. Al contrario, è uno vicinanza, compassione e tenerezza.

La Chiesa è grata per ogni espressione di carità fraterna e di sollecitudine verso chi è nel bisogno, perché così la misericordia di Dio diviene visibile e il tessuto della società si consolida e rinnova.

(Ai membri della Catholic extension society)