Il viaggio apostolico del Pontefice in Ungheria dal 28 al 30 aprile

Budapest aspetta
di nuovo il Santo Padre

Ukrainian refugee young girls play in their temporary home the Vitae Hostel Budapest shelter in the ...
27 aprile 2023

Dopo la visita del settembre 2021


Ci sentiamo molto onorati per il fatto che Papa Francesco, in un intervallo di meno di due anni, arrivi per la seconda volta nel nostro Paese, dopo la sua prima visita del settembre 2021 in occasione della Messa di chiusura del Congresso eucaristico internazionale, un evento svolto con la partecipazione di tantissimi ungheresi, ma anche di pellegrini provenienti da 83 Paesi.

Quella Messa è rimasta un’esperienza spirituale indimenticabile: Cristo eucaristico al centro, sotto la guida del Successore di Pietro, con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose e i laici arrivati da tutto il mondo, ospiti ecumenici, tra i quali il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli che rappresentavano anche visibilmente lo stretto legame tra i cristiani.

Questa volta il Pontefice viene in Ungheria per una visita pastorale. Vuole incontrare le autorità pubbliche e i rappresentanti di tutta la comunità cattolica del Paese. Ciò avviene in un momento in cui molti credenti e non credenti vedono con angoscia la guerra nell’Ucraina, Paese confinante. Nell’ultimo anno sono stati accolti più di un milione di rifugiati ucraini in Ungheria, nazione con meno di dieci milioni di abitanti. La maggioranza ha continuato il viaggio verso l’Occidente, ma molti sono rimasti. Tutte le nostre organizzazioni caritative, ma anche le parrocchie e le scuole cattoliche si sono impegnate per aiutare i rifugiati e in special modo le famiglie. Bisognava organizzare anche l’insegnamento scolastico dei bambini. Molti aiuti umanitari sono stati inviati anche in Ucraina: generi alimentari, medicinali, generatori elettrici e furgoncini.

Ma la guerra — e forse non solo essa — sembra avere anche altre conseguenze. L’inflazione è alta, il rialzo dei salari e delle pensioni non possono compensare facilmente questo fenomeno. Persistono pure gli effetti del cambiamento del sistema di trentatré anni fa. La proporzione tra il salario medio tedesco e quello ungherese non si è migliorato sufficientemente. Continua quindi l’emigrazione dei giovani intellettuali e della manodopera qualificata. La disoccupazione è bassa, negli ultimi decenni sono arrivate molte fabbriche dell’industria automobilistica tedesca. Sorge tuttavia la domanda, quali saranno le conseguenze delle nuove condizioni economiche per tale industria europea.

Quanto all’educazione, negli anni novanta sono state restituite alcune scuole cattoliche. Dopo il 2010 invece si è aperta la possibilità di assumere la gestione anche di altre scuole statali se i genitori lo desideravano. In base ad una legge del 1990, e soprattutto all’Accordo tra l’Ungheria e la Santa Sede del 1997, le scuole gestite dalle diverse chiese ricevono lo stesso finanziamento statale che le scuole proprie dello Stato. Tale soluzione risultava anche necessaria, perché — a differenza di altri Paesi della regione — né le chiese, né i privati, ma nemmeno i piccoli contadini hanno ricevuto dietro i loro mezzi di produzione confiscati all’inizio dell’epoca comunista. La nostra Chiesa deve affrontare una sfida enorme in questo campo. Il compito è di dare un’identità cattolica a tutte queste scuole, da quelle materne fino alle università cattoliche. Di queste ultime ce ne sono tre, tra le quali una, l’Università cattolica Péter Pázmány ha ricevuto un atto di fondazione anche dalla Santa Sede. Alla Facoltà di Informatica e Bionica di questa Università il Santo Padre avrà un incontro con i rappresentanti del mondo della scienza. Le università cattoliche erano necessarie per rompere la separazione rigida tra la fede e la scienza che caratterizzava i tempi del socialismo esistente. Grazie a queste fondazioni e ad altre iniziative il dialogo è ricominciato e si sviluppa.

Il dialogo, infatti, è di importanza speciale nella nostra società, dove i cattolici battezzati sono più della metà della popolazione (95% di loro è di rito latino, 5% sono orientali), ma i calvinisti rappresentano anche un gruppo notevole, altri protestanti e fedeli ortodossi di ben cinque patriarcati, ma anche cristiani precalcedoniani come i copti e gli armeni apostolici sono pure presenti in Ungheria. La comunità ebraica è ugualmente importante con numerose sinagoghe che funzionano e con una università ebraica a Budapest. Musulmani e fedeli di altre religioni vivono pure nel Paese e molte di queste comunità sono anche riconosciute dallo Stato. Del resto, secondo il diritto ungherese, lo Stato non può registrare l’appartenenza religiosa dei cittadini. Le domande che si pongono in occasione dei censimenti circa la religiosità, sono sempre facoltative, ed equivalgono ai sondaggi di opinioni.

Un’altra sfida decisiva è la cura pastorale delle famiglie. Negli ultimi anni sono state prese molte misure da parte delle autorità pubbliche per aiutare il matrimonio e la famiglia. Tale aiuto ha dei risultati anche nelle statistiche. La vita da single e la natalità sono cresciute, ma la diminuzione del numero della popolazione non si è fermata. Nelle nostre parrocchie sono nate delle comunità composte da famiglie che si aiutano a vicenda e che accolgono ed accompagnano le nuove coppie. Anche i movimenti di spiritualità sono attivi in questo campo. Le parrocchie molto spesso sono diventate centri della vita comunitaria anche per giovani ed anziani. Ci sono gruppi di Caritas parrocchiale che organizzano il lavoro di molti volontari.

La vita sacramentale dimostra segni di una certa continuità, ma si sente il problema della scarsità del clero. Ci sono anche alcuni sacerdoti stranieri che lavorano generosamente nelle nostre diocesi, ma non in numero così grande come in certi Paesi più occidentali. Negli ultimi anni sta crescendo anche il numero dei diaconi permanenti sposati che servono nella pastorale carceraria, tra i senzatetto, nell’organizzazione della Caritas diocesana o nei mass-media. Moltissimi sono i laici e le laiche che insegnano la religione cattolica nelle scuole pubbliche. Essi sono impiegati delle diocesi, hanno diplomi di istituti superiori di teologia o di facoltà cattoliche. Il loro stipendio avviene con mezzi provenienti dallo Stato, ma attraverso le diocesi. A Budapest, il numero di tali insegnati di religione è circa il doppio di quello del clero.

Lo slogan scelto per la visita pontificia è “Cristo è il nostro futuro”. L’incontro con Papa Francesco sarà per la chiesa ungherese, ma in un certo senso anche per la nostra società una grande occasione di incontrare Cristo stesso che è la nostra speranza e il nostro futuro. Grazie, Santo Padre.

di Péter Erdő
Cardinale arcivescovo di Esztergom-Budapest primate di Ungheria