Il magistero

 Il magistero  QUO-092
20 aprile 2023

Venerdì 14

Le ali del Papa

Ringrazio perché siete “atterrati” qui in Vaticano. E vi accolgo con piacere: voi rappresentate “le ali del Papa”, che mi permettono di volare sino ai confini della terra portando il Vangelo della speranza e della pace.

A volte penso: se San Paolo avesse avuto la possibilità di viaggiare in aereo, che cosa sarebbe successo?

E in effetti ciò è accaduto con un Papa che portava il suo nome. Il 4 gennaio 1964 san Paolo vi saliva a bordo del dc 8 dell’Alitalia, primo Pontefice a prendere l’aereo per un pellegrinaggio apostolico.

Papa Montini aveva tanto voluto il viaggio in Terra Santa, breve ma intensissimo. Lo aveva annunciato ai Padri conciliari, al termine della seconda sessione del Vaticano ii .

Quel volo, con partenza da Roma-Fiumicino e arrivo ad Amman, inaugurò i viaggi papali nel mondo: una modalità nuova di svolgere il ministero pastorale, che ha permesso al Vescovo di Roma di raggiungere tantissime persone che mai avrebbero potuto compiere un pellegrinaggio a Roma.

Dopo San Paolo vi ne compì altri otto, toccando tutti i Continenti.

Poi, con San Giovanni Paolo ii , che nei suoi 27 anni di pontificato ha compiuto 104 viaggi internazionali, questa forma di missione è diventata parte integrante del pontificato.

Così, ha viaggiato il successore Benedetto xvi ; e così ho continuato anch’io: a Dio piacendo, partirò per il 41° pellegrinaggio andando a visitare l’Ungheria. E poi ci sarà Marsiglia, e la Mongolia… e le cose che sono in lista d’attesa.

La compagnia “di bandiera” italiana, che voi rappresentate, solitamente accompagna il Successore di Pietro e il suo seguito nel viaggio di andata; e in alcuni casi lo fa anche nel viaggio di ritorno e nelle trasferte interne, o da un Paese all’altro nell’ambito dello stesso viaggio.

È un servizio che richiede competenza, cura e attenzione: lo sa bene il Papa che ha qualche problema di mobilità, ma grazie al vostro aiuto continua a viaggiare!

Per me è importante incontrare le persone, le comunità, i fedeli, i credenti di altre religioni, le donne e gli uomini di buona volontà.

Parlare di persona è diverso dal rendersi presenti con un messaggio, con un video.

Il Papa viaggia per confermare i fratelli nella fede, per essere vicino a chi soffre, per aiutare chi si impegna per la pace.

(A dirigenti e personale della società Ita airways)

Sulla strada del servizio umile
e nascosto

Per me sono preziose le occasioni in cui posso incontrare consacrati: è una testimonianza del valore di questa presenza nella Chiesa, che merita di essere riscoperta.

Vi incoraggio perché siete un segno, piccolo ma importante, indispensabile, nel mosaico delle vocazioni nella Chiesa.

Anzitutto, siete segno della fraternità secondo il Vangelo. E lo siete proprio col vostro essere fratelli: non con le cose che fate, con l’organizzazione, le attività.

Queste cose sono buone e ci vogliono, ma la fraternità si costruisce con una forma concreta di vita.

Una forma stabile, che ciascuno vive in modo diverso, con la propria personalità e i propri doni e anche i propri limiti; ma la caratteristica comune e qualificante è questa fraternità.

E penso che ciò sia per voi motivo di gioia interiore, perché è il vostro modo di assomigliare a Gesù, che ha vissuto questa dimensione dell’essere fratello di ogni uomo, fratello universale.

È un aspetto proprio del mistero dell’Incarnazione. Questa è la prima cosa che vi auguro: la gioia di essere fratelli.

Voi siete fratelli oblati. Questo è il secondo aspetto: il dono di sé nel servizio.

Gesù, dalla forma di Dio, ha assunto la forma di servo; ma non un servizio di quelli che tutti dicono: che bravo!, da applaudire, “che fa notizia”.

No. Un servizio nascosto, umile, a volte anche umiliante. Questa è la strada da seguire per ogni cristiano.

Voi però l’avete per carisma: l’oblazione. E anche qui, a chi vive così, lo Spirito Santo dona una gioia interiore. Ne parlava spesso Madre Teresa.

Quando Maria è andata ad aiutare Elisabetta, non c’erano fotografi ad aspettarla, non c’erano giornalisti. Nessuno l’ha saputo: lo sa solo il Signore!

La beatitudine del servizio. Questo è il mio secondo augurio.

E l’ultimo è legato al fatto che siete diocesani. Fratelli Oblati Diocesani. Anche questa è una dimensione dell’Incarnazione: fedeli a una terra, a un popolo, a una diocesi.

A volte vorremmo salvare il mondo! Ma Dio ti dice: sii fedele a quel servizio, a quelle persone, a quell’opera.

Gesù ha salvato il mondo dando la vita per le pecore perdute della casa d’Israele, e così ha compiuto la fedeltà del Padre; ha amato fino alla fine quelli che il Padre gli aveva dato, ha versato il suo sangue per loro, e così lo ha versato per tutti.

Questa è la legge dell’amore: non si può amare l’umanità in astratto, si ama quella persona, quelle persone.

La fedeltà è un bene raro! Il servizio diocesano è una scuola di fedeltà.

Fraternità, oblazione, diocesanità. Un bel programma di vita!

(Ai Fratelli oblati diocesani di Milano)

Sabato 15

Essere le mani
e i piedi
di Gesù

Il cammino della vita è come la via crucis che organizzate ogni anno per accompagnare il Nazareno.

Da un lato bisogna preparare tante cose, ascoltare, imparare, sperimentare; aiutarsi, avendo l’umiltà di riconoscere che non possiamo fare da soli.

Poi bisogna chiedere al Signore il coraggio di uscire nelle strade, portando la sua immagine affinché tutti lo possano contemplare. Così portate Gesù agli altri, con i vostri gesti, canti, preghiere.

È bello, nella piccolezza, essere testimoni di Gesù, missionari della sua misericordia, del suo amore!

Nella vita, come nella via crucis, tutti abbiamo un compito. Gesù ci guarda e si rallegra del nostro sforzo.

Alcuni di voi fanno opere d’arte, che poi si vendono. Essere capaci di guadagnarsi da vivere è importante, perché ogni operaio merita uno stipendio, ma credo che il beneficio sia più grande per quanti ricevono questi oggetti, magari in dono, e vedono l’affetto che siete stati capaci di mettere nel fabbricarli.

Quanto sarebbe importante che fossimo capaci di vedere la volontà di imparare, la pazienza dei suoi maestri nell’insegnare, il lavoro di squadra che è capace di far sì che le diverse capacità di ognuno convergano in un risultato finale che è di tutti.

Nella vostra via crucis portate un Gesù prigioniero: ha le mani legate e una croce ricamata in un piccolo scapolare.

Gesù si veste così perché ci rendiamo conto che molti fratelli e sorelle accanto a noi non si sentono capaci di fare le cose come gli altri, e credono di avere le mani legate. Ma non è vero, tutti insieme, con Gesù, possiamo fare cose buone.

In tal modo voi siete le mani di Gesù, quando lavorate uniti. Siete anche i suoi piedi, la sua voce, il suo Cuore, quando uscite a condividere con gli altri la gioia di averlo incontrato.

Come? Rendendo grazie a Dio per i vostri genitori, fratelli, maestri, sacerdoti, per tutte le persone che vi vogliono bene.

La croce ricamata, colorata, vi invita a sognare la resurrezione. Gesù è venuto nel mondo per indicarci il cammino del cielo.

E la nostra croce — ossia lo sforzo, la pazienza, la fatica — ha come risultato una opera d’arte, piena di colore e speranza.

Questo sia il nostro proposito, almeno per i prossimi cinquant’anni: lavorare uniti e ringraziare pieni di gioia, perché Gesù ci ha scelti per questa grande missione.

(Alla “fundación Madre de la esperanza de Talavera de la Reina” di Toledo, Spagna )

Domenica 16

L’apostolo
incredulo

Oggi, Domenica della Divina Misericordia, il Vangelo racconta due apparizioni di Gesù risorto ai discepoli e in particolare a Tommaso, l’“Apostolo incredulo”.

In realtà, non è l’unico che fa fatica a credere, anzi rappresenta un po’ tutti noi. Infatti non è sempre facile credere, specie quando si ha patito una grande delusione.

Ha seguito Gesù per anni, correndo rischi e sopportando disagi, ma il Maestro è stato messo in croce come un delinquente e nessuno lo ha liberato!

E tutti hanno paura. Come fidarsi della notizia che è vivo?

Tommaso, però, dimostra coraggio: mentre gli altri sono chiusi nel cenacolo, lui esce, col rischio che qualcuno possa riconoscerlo, denunciarlo e arrestarlo.

Potremmo perfino pensare che meriterebbe più degli altri di incontrare il risorto. Invece, proprio per essersi allontanato, quando Gesù appare la prima volta la sera di Pasqua, Tommaso perde l’occasione.

Come recuperarla? Solo tornando con gli altri, in quella famiglia che ha lasciato.

Quando lo fa, gli dicono che Gesù è venuto, ma lui fatica a credere; vorrebbe vedere le piaghe.

E Gesù lo accontenta: otto giorni dopo, appare di nuovo e mostra le piaghe che sono prova del suo amore, i canali sempre aperti della sua misericordia.

Per credere, Tommaso vorrebbe un segno straordinario, toccare le piaghe.

Gesù gliele mostra, ma in modo ordinario, venendo davanti a tutti, nella comunità, non fuori.

Come a dirgli: se vuoi incontrarmi non cercare lontano, resta nella comunità; prega con loro, spezza con loro il pane.

E lo dice a noi pure. È lì che potrai trovarmi, è lì che ti mostrerò segni dell’Amore che vince l’odio, del Perdono che disarma la vendetta.

Lì scoprirai il mio volto, mentre con i fratelli condividi momenti di dubbio e di paura, stringendoti ancor più a loro.

Senza comunità è difficile trovare Gesù. Noi, dove cerchiamo il Risorto?

In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni?

Oppure nella comunità, nella Chiesa, accettando la sfida di restarci, anche se non è perfetta? Nonostante tutti i suoi limiti e le sue cadute, che sono i nostri.

Chiediamoci se siamo disposti ad aprire le braccia a chi è ferito dalla vita, senza escludere nessuno dalla misericordia di Dio, ma accogliendo tutti; ciascuno come un fratello.

(Regina Caeli in piazza San Pietro)

Lunedì 17

Accanto
agli emarginati

Sono contento di festeggiare con voi il 50° anniversario. Il vostro carisma nasce dal Rinnovamento Carismatico Cattolico.

L’esperienza pentecostale e la dimensione escatologica sono state centrali fin dalle origini... attraverso la lode, la bellezza della liturgia, del canto e della vita fraterna.

La vostra vita si concretizza nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, nell’adorazione del Santissimo, nella vita di preghiera secondo la spiritualità carmelitana e nella ricerca dell’orazione continua secondo quella delle Chiese orientali.

I tempi di ritiro, personale o in gruppo, vi permettono anche di condividere l’esperienza con altri. La presenza in alcuni santuari in Francia, Ungheria, Italia e Costa d’Avorio e il servizio dei sacerdoti nelle parrocchie rappresentano un’opportunità di testimonianza.

Avete sostenuto diversi progetti umanitari in Paesi in via di sviluppo, come accoglienza di minori in difficoltà, assistenza ai bambini malnutriti o con disabilità, aiuto a famiglie svantaggiate e madri sole, distribuzione di pasti e cure sanitarie.

In contesti di povertà gestite anche un ospedale, una clinica, un centro oculistico e uno studio dentistico.

È motivo di rendimento di grazie a Dio il vostro impegno al servizio delle persone più fragili ed emarginate.

Nella maggior parte delle case situate in Occidente avete organizzato centri di ascolto per chi si trova in difficoltà e che questo servizio viene esteso alle carceri. È importante che quanti si sentono soli possano trovare luoghi dove essere accolti.

Un altro aspetto del vostro apostolato: le missioni occasionali, come quelle che svolgete in estate negli ambienti dove la gente va in vacanza. Offrite momenti di preghiera, la Messa, l’adorazione, incontri di formazione all’evangelizzazione, spettacoli di strada, veglie ed evangelizzazione notturna.

Questo dimostra la vostra apertura alle esigenze dei giovani e la disponibilità a portare la Parola di Dio in ogni luogo.

Organizzate anche raduni internazionali a Lourdes e Lisieux. Infine i pellegrinaggi in Terra Santa sono esperienze di grande intensità, che conducono ad approfondire o a scoprire le radici della fede.

La vostra comunità, fondata su una spiritualità di contemplazione, preghiera e missione, dà un valido contributo al dialogo interreligioso, alla promozione della pace e alla difesa dei diritti umani.

Nella vita comunitaria, incarnate il dono dell’amore fraterno, che è alla base del nostro essere cristiani.

Non siamo chiamati a stare soli, ma a camminare insieme, aiutandoci a vicenda.

Vi invito a perseverare senza timore, a testimoniare la fede con gioia e speranza, e a rimanere sempre aperti e docili alla guida dello Spirito Santo: è Lui il Protagonista.

Mantenete l’impegno per la formazione dei giovani e per il dialogo in particolare coi musulmani.

(Alla comunità delle Beatitudini)

Mercoledì 19

I martiri siano semi di pace

Parlando dell’evangelizzazione e dello zelo apostolico, dopo San Paolo, oggi il nostro sguardo si rivolge alla schiera dei martiri, uomini e donne di ogni età, lingua e nazione che hanno dato la vita per Cristo.

Dopo gli Apostoli, sono stati loro, per eccellenza, i “testimoni” del Vangelo. Il primo fu il diacono santo Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme.

La parola deriva dal greco martyria, che significa testimonianza.

Tuttavia, presto nella Chiesa si è usata la parola martire per indicare chi dava testimonianza fino all’effusione del sangue.

I martiri, però, non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, fiori spuntati in un deserto, ma frutti eccellenti della vigna del Signore.

In particolare, i cristiani, partecipando assiduamente all’Eucaristia, erano condotti dallo Spirito a impostare la vita sul fatto che Gesù aveva dato la sua vita per loro, e dunque anche loro potevano e dovevano dare la vita per Lui e per i fratelli.

I martiri sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli, perché per confessare la fede sono cacciati via dalla società o vanno in carcere.

I martiri, a imitazione di Gesù, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini.

I martiri perdonano sempre. Stefano, il primo, morì pregando: “Signore, perdona loro, non sanno cosa fanno”.

Sebbene siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa.

I martiri ci mostrano che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù.

Vorrei concludere ricordando la testimonianza cristiana presente in ogni angolo del mondo.

Penso, ad esempio, allo Yemen, una terra da molti anni ferita da una guerra terribile, dimenticata, che ha fatto tanti morti e che ancora oggi fa soffrire tanta gente, specialmente i bambini.

Proprio in questa terra ci sono state luminose testimonianze di fede, come quella delle Missionarie della Carità, che hanno dato la vita.

Missionarie della carità
uccise
nello Yemen

Ancora oggi esse sono presenti nello Yemen, dove offrono assistenza ad anziani ammalati e persone con disabilità. Alcune hanno sofferto il martirio, ma altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, di qualsiasi religione, perché carità e fraternità non hanno confini.

Nel luglio 1998 Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael, mentre tornavano a casa dopo la Messa sono state uccise da un fanatico, perché erano cristiane.

Più recentemente, poco dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2016, Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi.

Sono martiri del nostro tempo. Tra questi laici uccisi, oltre ai cristiani c’erano fedeli musulmani che lavoravano con le suore.

Commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse.

Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli. Ma insieme si può dare la vita per gli altri.

Preghiamo perché non ci stanchiamo di dare testimonianza al Vangelo anche in tempo di tribolazione.

Tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno, nell’attesa che si manifesti in pienezza il Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti.

(Udienza generale in piazza San Pietro)