Gli scontri hanno origini complesse legate a interessi politici ed economici

Alle radici del conflitto

People wait for a bus to flee from southern Khartoum on April 18, 2023 as fighting between the army ...
18 aprile 2023

In Sudan lo scontro tra l’esercito regolare e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), che ha come epicentro la capitale Khartoum, ha una genesi estremamente complessa. Anzitutto occorre tenere presente il contesto generale.

Il 5 dicembre scorso i militari ora al potere e una cinquantina di leader di partiti politici, di associazioni professionali e di organizzazioni della società civile — molti riuniti nel cartello delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc) — firmarono un accordo politico preliminare che avrebbe dovuto costituire il primo passo verso l’uscita dalla crisi seguita al colpo di Stato del  25 ottobre 2021. D’allora era partita una macchina negoziale per un accordo politico finalizzato alla formazione di un governo a guida civile, che avrebbe dovuto essere firmato, in due fasi, all’inizio di questo mese. L’obiettivo era quello di portare finalmente in porto la faticosa transizione democratica, iniziata nell’aprile  del 2019, quando la mobilitazione popolare determinò la caduta del presidente Omar al-Bashir e l’implosione del regime islamista del Partito del congresso nazionale (National Congress Party, Ncp).

Come evidenziato dall’organizzazione sudanese Sudan Policy and Transparency Tracker, che si occupa di monitorare le politiche e la trasparenza delle istituzioni nazionali, il motivo per cui si è acuita la tensione che poi è sfociata in guerra civile (perché di questo si tratta) è rappresentato dalla possibile unificazione tra esercito regolare e Rsf. Un’operazione fortemente osteggiata dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemetti”, leader delle Rsf.

Fino a che punto poi, con queste premesse, un governo a guida civile sarebbe stato in grado di controllare i militari è difficile dirlo anche perché sono molti gli interessi in gioco legati al business minerario. C’è inoltre da considerare che vasti settori della società civile sudanese, riunitisi in comitati di resistenza, si sono sempre detti contrari a qualsiasi accordo con la giunta militare attualmente al potere del generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, nella fattispecie quello del 5  dicembre  scorso. A loro parere, infatti, legittimerebbe il colpo di Stato dell’ottobre  2021 che ha bloccato il processo di transizione verso la democrazia e ha aggravato la situazione economica del Paese.

Posizioni simili hanno anche alcuni partiti sudanesi, come il partito comunista e diversi movimenti popolari, parecchi usciti dalle Ffc per formare un nuovo raggruppamento, le Ffc-Db (Forces for Freedom and Change-Democratic Block). Contrari all’accordo anche i movimenti armati darfuriani che fanno parte della giunta militare ora al potere, in posizioni di rilievo.

A tutto questo occorre aggiungere che in Sudan si è consolidata la presenza dei contractor della compagnia russa Wagner i quali operano in diversi settori del Paese, dal nord-est dove vi sono alcune miniere d’oro alla regione occidentale del Darfur. Sul fatto che Hemetti possa contare sull’aiuto di questo gruppo paramilitare russo, a Khartoum circolano le voci più disparate. È certo che egli intrattiene ottimi rapporti con Mosca e che vi è una proficua collaborazione tra Wagner e le Rsf nelle zone minerarie. Ad esempio, la Meroe Gold, società sussidiaria nel settore estrattivo della Wagner, operativa in Sudan, è stata sanzionata recentemente dal Consiglio dell’Unione europea in quanto le sue attività mettono in pericolo la pace e la sicurezza internazionale. 

di Giulio Albanese