Hic sunt leones
Oltre alla solidarietà, il continente ha bisogno di scelte politiche adeguate ai principi di equità

Risurrezione africana?

 Risurrezione africana?  QUO-087
14 aprile 2023

In questo tempo pasquale, in forza del mistero grande della risurrezione di Nostro Signore, siamo chiamati per forza a misurarci sulle temperie cruciali che minacciano di aggravarsi nel vasto continente africano. La storia contemporanea, imprevedibile e a volte feroce, costringe infatti qualsivoglia osservatore a porsi delle domande sul futuro. Si tratta di questioni aperte rispetto alle quali le risposte non sono affatto scontate. Ai problemi del passato — guerre, razzismi, dittature — si aggiungono oggi in Africa crisi economica, cambiamenti climatici, migrazioni e carestie. Su questi temi, com’è noto, sono stati versati fiumi d’inchiostro, senza però che fossero resi attuativi quei rimedi capaci di affermare l’agognato cambiamento.

La posta in gioco è alta soprattutto per le società industrialmente avanzate su cui ricade in gran parte il pesante fardello delle responsabilità. Pur considerando l’enorme accumulo d’informazioni, il cosiddetto Big data, e di quelli che, almeno sulla carta, dovrebbero essere i processi culturali legati all’accrescimento delle conoscenze umane, la cultura dello scarto, stigmatizzata spesso da Papa Francesco, sembra costantemente prendere il sopravvento. Basta riflettere su quanto sta avvenendo in questi giorni nel Corno d’Africa. Dopo tre anni di siccità, che hanno fortemente penalizzato la macro regione subsahariana, sono sopraggiunte piogge torrenziali che hanno messo in ginocchio le popolazioni autoctone. Secondo i dati forniti da Save the children, la situazione è particolarmente grave sia in Somalia, come anche in Etiopia.

Stando alle informazioni raccolte da questa benemerita organizzazione umanitaria, nelle ultime settimane, inondazioni improvvise hanno causato la morte di almeno 50 persone, costretto più di 30.000 famiglie ad abbandonare le loro case e spazzato via almeno 10.000 capi di bestiame e 21.000 ettari di raccolti in entrambi i Paesi. Si tratta di eventi meteorologici estremi che mostrano, sempre secondo la stessa fonte, la vulnerabilità del Corno d’Africa all’emergenza climatica e come gli impatti climatici e la crisi alimentare siano indissolubilmente legati. Ma attenzione, il Global warming sta manifestando i suoi perniciosi effetti non solo nell’Africa orientale, ma anche in quella meridionale, dove gli effetti devastanti di inondazioni, siccità e tempeste tropicali hanno dato il colpo di grazia ai sistemi sanitari, idrici, igienico-sanitari già precari delle comunità locali, alimentando una delle peggiori epidemie di colera degli ultimi decenni. Al momento sono undici i Paesi dell’Africa orientale e meridionale dove sia il cibo che l’acqua sono stati contaminati dal batterio Vibrio cholerae. I sintomi di quest’affezione — violenti crampi, vomito, diarrea acuta — portano a una grave e rapida disidratazione. L’Unicef riferisce che complessivamente sono oltre 68.000 i casi e 1.788 i decessi stimati. Tuttavia, le cifre effettive sono probabilmente più elevate poiché i limiti nei sistemi di sorveglianza, la sottostima e lo stigma ostacolano il monitoraggio. Due dei Paesi con il carico maggiore di pazienti, il Malawi e il Mozambico, hanno un totale combinato di oltre 5,4 milioni di persone bisognose di sostegno, tra cui oltre 2,8 milioni sono minori.

Questi dati non possono comunque prescindere da una valutazione più olistica che tenga conto anche di altri fattori altamente destabilizzanti, quali ad esempio la crisi economica che investe molte economie nazionali, un fenomeno acuitosi prima con la pandemia di covid-19 e poi a seguito della crisi russo-ucraina che ha scatenato la speculazione finanziaria. Basti pensare al fatto che gli shock globali hanno avuto forti ripercussioni sull’inflazione che, nella media continentale, è salita al 12,3 per cento nel 2022, ben al di sopra della media mondiale del 6,7 per cento. A questo dobbiamo aggiungere l’incombente crisi del debito che potrebbe minare tutti i risultati di crescita ottenuti negli ultimi due decenni. A scanso di equivoci, poi, occorre tenere presente che nel 2022, il rapporto debito pubblico/Pil in Africa è stato del 64,5 per cento, un valore significativamente più alto rispetto al dato pre-pandemia del 2019, che era del 57,1 per cento.

Recentemente, dal 21 al 22 marzo scorsi, si è svolta ad Addis Abeba, in Etiopia, la 55° sessione della Conferenza dei ministri africani delle finanze, della pianificazione e dello sviluppo economico alla quale ha preso parte Hanan Morsy, vicesegretario esecutivo e capo economista della Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (Eca). Nel corso del suo intervento, Morsy ha presentato la lista dei Paesi africani oggi più colpiti dalla povertà: Burundi, Somalia, Madagascar, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Malawi, Repubblica Democratica del Congo, Guinea-Bissau, Mozambico e Zambia. Citando una ricerca condotta dall’Eca, Morsy ha affermato che le famiglie africane spendono fino al 40 per cento del loro reddito per il cibo e che le crisi globali hanno colpito duramente le famiglie più povere del continente. Considerando che la popolazione africana è attualmente di un miliardo e 400 milioni di abitanti, sulla base di questa ricerca, sono circa 310 milioni gli africani che hanno sperimentato una qualche forma di insicurezza alimentare e 6 milioni quelli hanno affrontato la fame estrema nel 2022. Da rilevare che nei dieci Paesi più poveri del continente vi è una quota della popolazione che oscilla tra il 60 e l’82 per cento che sopravvive al di sotto della soglia di povertà, stimata dalle Nazioni Unite in 1,25 dollari al giorno. Morsy ha anche sottolineato che «livelli significativi di povertà e disuguaglianza esistevano già in Africa prima delle recenti crisi globali. Ma ora la povertà si è aggravata e le disuguaglianze si sono ampliate», precisando che oggi, circa 546 milioni di persone vivono in povertà, con un aumento del 74 per cento dal 1990. Alla luce di queste sommarie considerazioni, tenendo conto che nel nostro pianeta la popolazione è già oltre la soglia degli 8 miliardi, le parole del compianto Sergio Zavoli, a cui chi scrive fu legato da una forte amicizia, sono illuminanti. «Siamo nati per essere l’umanità. Il compito cruciale dovrà essere quello di conciliare e sciogliere le diversità per unirle, spenderle nel nome delle condivisioni, non delle separatezze».

La verità è che l’attuale congiuntura, segnata dalla contrapposizione tra Russia e Stati Uniti, a seguito della guerra che insanguina l’Europa orientale, non sembra essere affatto di buon auspicio. «L’Africa ha già subito il peso della storia», ha dichiarato il presidente dell’Unione africana e presidente del Senegal, Macky Sall. «Essa non vuole essere il terreno di coltura di una nuova guerra fredda, ma piuttosto un polo di stabilità e di opportunità aperto a tutti i suoi partner, su una base reciprocamente vantaggiosa». In effetti, l’attuale scenario geopolitico internazionale è tale per cui l’Africa, come abbiamo illustrato, sta già pagando un prezzo molto alto. Nel frattempo le iniziative politiche e macroeconomiche per riscattare le sorti del continente — lo abbiamo spesso lamentato sulle pagine di questo giornale — lasciano molto a desiderare. E qui sovviene l’appello lanciato nell’aprile del 2021 da 250 organizzazioni umanitarie: «Se i governi rinunciassero alle spese militari per sole 26 ore, avremmo 5,5 miliardi di dollari a diposizione per salvare 34 milioni di persone dalla fame nei prossimi mesi in Paesi piegati da guerra, pandemia e cambiamenti climatici». Non si tratta soltanto di essere culturalmente pronti a essere solidali, ma anche eticamente capaci di adeguare le scelte politiche ai principi di equità. Questa è la risurrezione a cui anela l’Africa, nella fede, per chi crede, azzardo dell’utopia.

di Giulio Albanese