A trent’anni dagli accordi di Oslo

«Questa terra non merita muri ma ponti da costruire»

 «Questa terra non merita muri  ma ponti da costruire»  QUO-086
13 aprile 2023

A colloquio con il presidente dello Stato di Palestina Mahmūd Abbās 


Sono passati 30 anni dalla sottoscrizione degli storici accordi di Oslo. Una stagione che vide accendersi la speranza della pace nella terra di Gesù. Trent’anni nei quali sono cambiate molte cose in quella terra. È cambiata la politica, i suoi protagonisti, gli scenari internazionali, ma anche le società israeliane e palestinese. Le aspettative suscitate da quella stagione sono rimaste deluse: dopo trent’anni la pace appare ancora lontana e il dialogo tra le parti sembra arenato. Sono anche passati 9 anni dall’iniziativa di Papa Francesco di chiamare nei Giardini Vaticani i presidenti Shimon Peres e Mahmūd Abbās (Abū Māzen) a piantare un albero d’ulivo. Nel poco che può un giornale, noi vorremo suscitare il riannodarsi di un dialogo, vorremmo tornare ad annaffiare quell’ulivo voluto da Papa Francesco perché torni a crescere. Lo facciamo, oggi e nei prossimi giorni, ripercorrendo quella stagione di speranza e dando la parola ai custodi di quell’albero. Cominciamo con il presidente dello Stato di Palestina.

Lungo la strada che da Gerusalemme conduce a Ramallah il buio è già calato da tempo e le vie sono illuminate dalle luminarie che qui si accendono durante Ramadan. Qui la sera è già mite e ai bordi delle strade gruppi di famiglie sono riunite per l’iftar, la cena che segue il lungo digiuno quotidiano. Il bianco acceso degli edifici della muqata, la residenza del presidente, si staglia nel buio di una notte senza luna. Il colloquio con il presidente Abbās avviene in ora notturna; non inusuale da queste parti. Dopo diversi controlli di sicurezza accediamo ad una sala d’attesa che è arredata da un grande poster fotografico nel quale sono raffigurate, come se fossero veramente contigue, la cupola dorata della Roccia, e le due cupole grigie della Basilica del Santo Sepolcro. «Ci teniamo ad esporle insieme», ci dice Majdi Khaldi consigliere diplomatico del presidente, perché insieme rappresentano l’adesione dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) al pluralismo religioso che caratterizza il popolo palestinese. Con una certa solennità cerimoniale siamo introdotti nella stanza del presidente Abbās. La sua stretta di mano è vigorosa, appare abbastanza più giovane della sua età. «Lei è venuto qui a farmi delle domande. Ma la prima domanda la voglio fare io a lei: come sta il mio amico Papa Francesco?» E durante il corso dell’intervista la figura di Papa Francesco riemergerà più volte. Non c’è arguzia politica o diplomatica: ogni volta che parla del Papa il volto del presidente si illumina, è evidente che ne è ammirato, che gli vuole bene.

Signor presidente, lei è l’unico musulmano (forse anche l’unico tra i cristiani) che partecipa ogni anno a tre messe per celebrare il Natale. Con i latini, gli ortodossi e gli armeni. Come descriverebbe il suo rapporto con la comunità cristiana in Palestina negli ultimi anni?

La religione cristiana in Palestina è vera quanto la religione islamica.  Ciò che distingue il Cristianesimo in Palestina è che Gesù è figlio di questa terra, e qui è nato,  nella città di Betlemme, in un’umile grotta, sulla quale è poi sorta   la Basilica della Natività, che noi visitiamo per complimentarci con le diverse confessioni cristiane, ortodossa, cattolica e armena, tre volte in occasione del Natale di Gesù.  Come Anp noi siamo molto legati a questi luoghi di culto cari sia ai cristiani locali che ai tanti pellegrini che vengono da tutto il mondo. Per questo non abbiamo esitato ad avviare negli ultimi anni gli importanti restauri delle Basiliche della Natività a Betlemme e del Santo Sepolcro a Gerusalemme , in accordo con le tre confessioni cristiane aderenti allo Status Quo.  Celebriamo le ricorrenze cristiane con tutto il nostro popolo palestinese,  cristiani e musulmani, e consideriamo tutte le feste religiose cristiane come feste nazionali palestinesi.  Siamo consapevoli che la terra di Palestina è la terra della santità, da cui il cristianesimo ha avuto origine e si è diffuso nel mondo.

Presidente, sono passati trent’anni dagli Accordi di Oslo e da allora il processo di pace non ha fatto progressi.  Nel frattempo però molti cambiamenti sono intervenuti nei fatti. Per esempio nella composizione della popolazione di quella Area C, la cui definizione in quegli accordi era rimandata al futuro. Le chiedo: come si può immaginare uno stato palestinese oggi se manca la contiguità territoriale?  E lei pensa che la soluzione “due Stati per due popoli” sia ancora concretamente percorribile oggi?

La causa palestinese ha attraversato molte fasi, la più grave delle quali è stata quando le forze israeliane hanno commesso quella che ancora oggi è ricordata come la più grande tragedia subita dal popolo palestinese, la Nakba del 1948. Più della metà del popolo palestinese venne allora espulso dalla propria terra, e vennero commessi 51 massacri, e  demoliti 529 villaggi: è la più grande catastrofe della nostra storia e ancora oggi 6 milioni di palestinesi, sia musulmani che cristiani, vivono nei campi profughi.  Quest’anno ricorre il 75° anniversario della Nakba, così come ricorre il 54° anniversario dell’occupazione del resto della terra palestinese in Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza nel 1967. Malgrado l’adozione di numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e del Consiglio dei diritti umani, nessuna di esse ad oggi risulta attuata.

Nonostante la disponibilità da parte palestinese a molte iniziative di pace e la firma di accordi, come appunto gli accordi di Oslo nel 1993, l’iniziativa di pace araba nel 2002, la road map per il Medio Oriente nel 2003 e tante altre proposte, i successivi governi israeliani non hanno mai risposto ad alcuna di queste iniziative e non hanno neanche rispettato gli accordi presi. Al contrario sono state messe in atto pratiche coloniali che violano il diritto internazionale e la Quarta Convenzione di Ginevra, come la costruzione di insediamenti illegali, l’annessione di terre, la demolizione di case, l’espulsione di palestinesi dalla loro terra, la violazione di luoghi santi islamici e cristiani. Tutto questo ha contribuito a minare la possibilità della soluzione dei due Stati e ha permesso di commettere crimini di discriminazione etnica nello stile dell’apartheid.

Purtroppo devo constatare che invece di contestare Israele per la sua aggressione contro il popolo palestinese, obbligandolo a rispettare gli accordi firmati sui fondamenti del diritto internazionale, molti paesi continuano a tacere sulle responsabilità di Israele, esprimendo solo una generica e superficiale vicinanza ai legittimi diritti dei palestinesi.   Nonostante ciò però, lo Stato di Palestina, gode di un rispettabile riconoscimento internazionale, è stato osservatore nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed è stato membro a pieno titolo in più di cento agenzie e trattati internazionali, firmando accordi e rispondendo a tutte le iniziative della comunità internazionale.  In questo momento, spetta alla comunità internazionale la responsabilità di fermare Israele, obbligandolo ad attuare le decisioni di legittimità internazionale e a rispettare gli accordi firmati, ponendo fine all’occupazione israeliana della terra dello Stato di Palestina con la sua capitale, Gerusalemme Est, e tornando ai confini del 1967. Nella realtà attuale, quella cioè dello Stato unico, a dominare è invece il sistema dell’apartheid, che è contrario al diritto internazionale.

Il nostro popolo, che ha raggiunto i 15 milioni di palestinesi sparsi per il mondo e nello Stato di Palestina, merita di vivere in sicurezza, pace e buon vicinato con tutti gli stati di questa area geografica.

E riguardo a Gaza?  Forse due popoli in tre paesi?

La Striscia di Gaza è una parte essenziale e importante dello stato palestinese indipendente e del progetto nazionale palestinese: è essenziale una ferma volontà atta a contrastare tutte le congiure e i progetti di distruzione a cui è stata esposta la causa palestinese. La Striscia di Gaza e la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, sono tutte terre palestinesi occupate dal 1967, e secondo le Risoluzioni di legittimità internazionale costituiscono la terra dello Stato di Palestina.  Ciò che il movimento Hamas ha compiuto contro la legittimità palestinese non è accettato dal popolo palestinese: l’unico rappresentante legittimo del nostro popolo è l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, con le sue istituzioni legittime elette dal nostro popolo, compreso il Consiglio nazionale, che è il parlamento del popolo palestinese, e il comitato esecutivo dell’organizzazione presieduta dal presidente dello Stato di Palestina. Stiamo cercando, con tutti i nostri sforzi, di riaffermare la coesione nazionale e indirizzare le nostre azioni per affrontare la principale minaccia per il nostro popolo e la nostra causa, che è l’occupazione israeliana e la necessità di liberarsene.

Lei presidente è conosciuto come un uomo di pace.  Soprattutto tra i giovani palestinesi, che sono nati e cresciuti senza conoscere la libertà, è cresciuto negli anni un senso di frustrazione, che spesse volte si trasforma in violenza come pure è accaduto negli ultimi giorni.  Cosa sente di dire ai giovani palestinesi a questo proposito?

Noi siamo contrari alla violenza, specie se è rivolta verso civili inermi. Piuttosto, la gioventù palestinese è il pilastro fondamentale del nostro progetto per la costruzione delle nostre istituzioni nazionali palestinesi. Abbiamo lavorato negli ultimi anni per contare su istituzioni statali basate sullo stato di diritto, dando potere alle donne e ai giovani, diffondendo una cultura di pace, usando il dialogo, i metodi diplomatici e politici e la pacifica resistenza popolare.  E dico ai giovani  della Palestina fieri della loro terra, che qualunque siano le difficoltà e le sfide che la nostra causa nazionale deve affrontare, dobbiamo rimanere sulla nostra terra e sulla terra dei nostri antenati, perché i cambiamenti in atto, sia nella nostra regione che nel mondo, indicano chiaramente che la fine dell’occupazione israeliana è inevitabile, e non è lontana. Noi vogliamo la pace. La pace che verrà raggiunta è per noi una scelta strategica in conformità con le risoluzioni di legittimità internazionale, per poter infine vivere indipendenti in uno stato sovrano con Gerusalemme Est come capitale, uno stato basato sui fondamenti del diritto internazionale, della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia.

Esortiamo i giovani e le generazioni future a preservare l’eredità originaria della Palestina e a completare il percorso che abbiamo iniziato per la libertà, la dignità, la giustizia e l’indipendenza. Li esortiamo a studiare e ad utilizzare le tecnologie  più avanzate nell’industria, nell’agricoltura, nei servizi sanitari, nell’istruzione e nell’edilizia di città sostenibili.  Siamo un popolo che merita di essere amato, di vivere dignitosamente sul proprio suolo nazionale,  come è giusto e vitale per tutti i popoli del mondo.

Sono passati nove anni da quando ha accettato l’invito di Papa Francesco in Vaticano, dove lei, con il presidente Shimon Peres, ha piantato un ulivo nei Giardini Vaticani.  Questo albero cresce molto lentamente, anche se Papa Francesco si assicura di innaffiarlo ogni giorno con una preghiera per la pace.  Come è possibile rilanciare realisticamente il processo di pace?

La pace e la stabilità sono una richiesta fondamentale e costante nella nostra politica palestinese, che tenacemente cerchiamo di raggiungere attraverso l’attuazione delle risoluzioni di legittimità internazionale, l’iniziativa di pace araba e la convocazione di una conferenza internazionale di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo, rispondiamo a tutte le iniziative internazionali per rispettare gli accordi firmati e fermare le azioni unilaterali che violano la legittimità internazionale, in preparazione dell’avvio di un processo politico che metta fine all’occupazione israeliana della terra dello Stato di Palestina con la sua capitale, Gerusalemme Est, ai confini del 1967. Sono d’accordo con lei che l’ulivo che abbiamo piantato insieme a Sua Santità il Papa, debba dare presto i suoi frutti, e spero che Sua Santità Papa Francesco continui a pregare per la pace, e lo esortiamo a continuare il percorso che ha avviato nel portare avanti il cammino di pace e di giustizia in Terra Santa. E non dimentichiamo la posizione del Vaticano nel riconoscere lo Stato di Palestina ai confini del 4 giugno 1967, e nella volontà di aprire l’ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede. Ho apprezzato moltissimo la risposta positiva di Sua Santità il Papa alla nostra iniziativa di ricostruire ponti con Al-Azhar Al-Sharif, culminata nell’incontro fraterno tra Sua Santità Papa Francesco e il venerato Gran Sceicco di Al-Azhar Ahmed Al-Tayeb e la firma del documento sulla “Fratellanza Umana”.

La pace, a differenza della guerra, non conosce vincitori e vinti.  La pace è sempre il frutto di compromessi.  A Oslo possiamo dire che la pace ha vinto senza che nessuno perdesse.  Quali sono le soluzioni di compromesso che potete presentare oggi al tavolo dei negoziati per tornare a quegli accordi e fare progressi in questa direzione?

Credo di averle dato delle indicazioni già nelle risposte precedenti circa le basi e i mezzi per raggiungere la pace. Il grande problema oggi è l’assenza di un partner in Israele che creda veramente nella pace sulla base della soluzione dei due Stati in conformità con il diritto internazionale. Al contrario sembrano prevalere in Israele leader e ministri estremisti che incitano all’odio contro di noi; i coloni sono incoraggiati a commettere crimini terroristici contro il popolo palestinese, come è successo di recente nella città di Hawara e in altri siti e città. Insomma, il problema è che non scorgo interlocutori affidabili dall’altra parte in questo momento.

Sono passati molti anni dalle ultime elezioni in Palestina. Cosa impedisce di indire nuove elezioni?

Chi sta impedendo di organizzare le elezioni generali in Palestina sono le autorità di occupazione israeliane. Controllano tutti i dettagli della nostra vita, e hanno impedito che si potessero  tenere nel 2021 perché è stata negata la possibilità di votare a Gerusalemme Est, secondo gli accordi, come pure era stato fatto negli anni passati. Purtroppo, i nostri sforzi finora non hanno avuto successo con l’amministrazione statunitense e con l’Unione europea per ricevere aiuto nel consentirci di organizzare le elezioni a Gerusalemme, insieme al resto della terra palestinese, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Le posso garantire che noi siamo pronti a organizzare immediatamente queste elezioni se sarà consentito che si tengano anche  a Gerusalemme Est.

Presidente, sono passati tre anni dal primo dei cosiddetti Accordi di Abramo.  Cosa è cambiato per voi in questi tre anni?

Il raggiungimento della pace, della sicurezza e della stabilità nella regione passa attraverso il riconoscimento del diritto del popolo palestinese alla libertà e all’indipendenza e, chiaramente, la fine dell’occupazione israeliana... L’attuazione dell’iniziativa di pace araba, come è stato già affermato, è il modo giusto per raggiungere questo obiettivo.

Come l’opinione pubblica palestinese guarda alla guerra in Ucraina, e lei cosa ne pensa?

Siamo un popolo sotto occupazione, viviamo una vita da rifugiati da 75 anni e fino ad ora il nostro popolo non è stato risarcito.  L’occupazione israeliana della nostra terra non è finita, gli accordi internazionali non sono stati attuati ma continuiamo a sentire tante errate valutazioni sulla nostra situazione.  Le posso rispondere con assoluta certezza che noi siamo per la fine di tutte le guerre e il raggiungimento della pace in tutte le parti del mondo, affinché tutti i popoli possano  godere di sicurezza, di libertà e di prosperità.

I patriarchi e i capi delle chiese di Gerusalemme denunciano i ripetuti attacchi a chiese, cimiteri e clero cristiano.  Ritiene, presidente, che la comunità internazionale mostri una sufficiente sensibilità alle minacce e i pericoli che incombono sulla presenza cristiana in Terra Santa?

È essenziale ricordare che durante la visita e il pellegrinaggio di Sua Santità  a Betlemme, Papa Francesco rimase in un attonito ed eloquente silenzio alla vista di quella stridente umiliazione rappresentata dal muro di separazione, e mise la mano su quel muro chiedendo all’Onnipotente di abbattere le barriere, perché questa terra merita non muri ma ponti da costruire.  La presenza cristiana è in pericolo e temiamo che la Terra Santa perda i suoi buoni figli cristiani , che sono qui il sale della terra. In questo contesto, chiediamo alle chiese e alle capitali del mondo di schierarsi a sostegno del popolo palestinese per preservare i luoghi santi tanto della fede cristiana che di islamica.

I consiglieri del presidente fanno segno che il tempo è scaduto, altri impegni lo attendono. Ma lui più di noi vorrebbe continuare a parlare. Accende una sigaretta e beve un caffè al sapore di cardamomo, ricordando tutte le occasioni in cui ha incontrato Papa Francesco, e poi dei suoi tre figli e nove nipoti, che, lamenta, vede troppo poco.

La macchina che ci riporta a Gerusalemme scivola veloce nel buio lungo le strade ormai deserte. Sul cellulare di chi ci accompagna arriva un messaggio. «Ho scordato di dire una cosa importante. Potete passare al mio amico Papa Francesco gli auguri di buona Pasqua?»

dal nostro inviato Roberto Cetera


Ha collaborato padre Ibrahim Faltas, o.f.m., vicario della Custodia di Terra Santa