Il magistero

 Il magistero  QUO-086
13 aprile 2023

Sabato 8

Ritorno
in Galilea
per risorgere
a vita nuova

Quando le donne si mettono in cammino verso la tomba di Gesù... avanzano incerte, col cuore lacerato dal dolore.

Ma vedendo la tomba vuota, invertono la rotta; abbandonano il sepolcro e corrono ad annunciare ai discepoli un percorso nuovo: Gesù è risorto e li attende in Galilea.

Nella vita di queste donne è avvenuta la Pasqua, che significa passaggio: esse, passano dal mesto cammino verso il sepolcro alla gioiosa corsa verso i discepoli, per dire loro che il Signore è risorto, e c’è una meta da raggiungere, la Galilea.

L’appuntamento è lì. La rinascita dei discepoli, la risurrezione del loro cuore passa dalla Galilea. Entriamo anche noi in questo cammino che va dalla tomba alla Galilea.

A volte succede anche a noi di pensare che la gioia dell’incontro con Gesù appartenga al passato, mentre nel presente conosciamo le tombe sigillate delle nostre delusioni, amarezze, della sfiducia, del “non c’è niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata”, “del domani non c’è certezza”.

Anche noi, se siamo stati attanagliati dal dolore, oppressi dalla tristezza, umiliati dal peccato, amareggiati per qualche fallimento o assillati da qualche preoccupazione, abbiamo sperimentato il gusto amaro della stanchezza e visto spegnersi la gioia nel cuore.

A volte abbiamo avvertito la fatica di portare avanti la quotidianità, stanchi di rischiare davanti a un mondo dove sembrano prevalere le leggi del più furbo, del più forte.

Altre, ci siamo sentiti impotenti dinanzi ai conflitti che lacerano le relazioni, alle logiche del calcolo e dell’indifferenza, al cancro della corruzione, al dilagare dell’ingiustizia, ai venti gelidi della guerra.

E ci siamo forse trovati faccia a faccia con la morte, perché ci ha tolto la presenza dei nostri cari o ci ha sfiorato nella malattia, nelle calamità, e siamo rimasti preda della disillusione, si è disseccata la sorgente della speranza.

Così, i nostri cammini si arrestano davanti a delle tombe e restiamo a piangere e a rimpiangere, soli e impotenti.

Per non
rimanere
paralizzati
dalla paura

Invece, le donne a Pasqua non restano paralizzate ma corsero a dare l’annuncio: Cristo è risorto! E, al tempo stesso, trasmettono l’invito del Signore ai discepoli: che vadano in Galilea.

Ci domandiamo cosa significa andare in Galilea? Due cose: da una parte uscire dalla chiusura del cenacolo per andare nella regione abitata dalle genti, uscire dal nascondimento per aprirsi alla missione, evadere dalla paura per camminare verso il futuro.

E dall’altra, ritornare alle origini, perché lì il Signore aveva chiamato per la prima volta i discepoli.

Andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, riacquistare la memoria che rigenera la speranza, la “memoria del futuro”.

La Pasqua ci spinge ad andare avanti, a uscire dal senso di sconfitta, a rotolare via la pietra dei sepolcri in cui confiniamo la speranza, a guardare con fiducia al futuro, perché Cristo risorto ha cambiato la storia; ma, per fare questo, ci riporta al passato.

Chiede di rivivere quell’esperienza in cui abbiamo incontrato il Signore e ricevuto uno sguardo nuovo e luminoso.

Per risorgere, per ricominciare, abbiamo bisogno di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva del primo incontro con Lui.

Ricorda
e cammina

Per camminare dobbiamo ricordare; per avere speranza dobbiamo nutrire la memoria. Questo è l’invito: ricorda e cammina!

Se recuperi il primo amore, lo stupore e la gioia dell’incontro, andrai avanti. Ricorda la tua Galilea e cammina verso il “luogo” nel quale hai conosciuto Gesù, dove per te Egli non è rimasto un personaggio storico, non un Dio lontano, ma il Dio vicino.

Fai memoria della tua Galilea: di quella Parola di Dio che ha parlato a te; di quell’esperienza forte nello Spirito, della gioia del perdono provata dopo quella Confessione, di quel momento intenso di preghiera, di quella luce che si è accesa dentro e ha trasformato la tua vita, di quel pellegrinaggio.

Ognuno sa dov’è la propria Galilea, ciascuno conosce il proprio luogo di risurrezione interiore iniziale, fondante.

Non possiamo lasciarlo al passato, il Risorto ci invita ad andare lì per fare la Pasqua.

Memoria
del primo
incontro

Ricorda la tua Galilea, fanne memoria, ravvivala oggi. Torna a quel primo incontro. Chiediti come e quando è stato, ricostruiscine il contesto, il tempo e il luogo, riprovane l’emozione e le sensazioni, rivivine colori e sapori.

Perché quando hai dimenticato quel primo amore, è cominciata a depositarsi polvere sul tuo cuore. E hai sperimentato la tristezza e, come per i discepoli, tutto è sembrato senza prospettiva.

Ma oggi la forza di Pasqua invita a rotolare via i massi della delusione e della sfiducia; il Signore, esperto nel ribaltare le pietre tombali del peccato e della paura, illumina la tua memoria, rende attuale quel primo incontro.

Ritorna a Lui, ritrova la grazia della risurrezione di Dio!

Seguiamolo in Galilea, incontriamolo dove attende ognuno di noi. Risorgiamo a vita nuova!

(Veglia pasquale nella Notte santa)

Lunedì 10

Le prime
ad andare
al sepolcro

Oggi il Vangelo ci ricorda che furono le donne, le prime a vederlo e incontrare il Risorto. Perché loro? perché sono le prime ad andare al sepolcro.

Come tutti i discepoli, anche loro soffrivano; ma, diversamente dagli altri, non restano a casa paralizzate dalla tristezza e dalla paura.

Di buon mattino, vanno a onorare il corpo di Gesù.

La tomba era stata sigillata e si chiedono chi avrebbe potuto togliere quella pietra pesante.

Però la loro volontà prevale su tutto. Non si scoraggiano, escono dai loro timori e dalla loro angoscia.

Ecco la via per trovare il Risorto: uscire dai nostri timori, dalle nostre angosce.

Le donne arrivano, vedono il sepolcro vuoto e corrono a dare l’annuncio ai discepoli.

Non è bene
chiudersi

Quando annunciamo il Signore, il Signore viene a noi.

A volte pensiamo che il modo per stare vicini a Dio sia di tenerlo stretto; perché se ci esponiamo e ci mettiamo a parlarne, arrivano giudizi, critiche, magari non sappiamo rispondere a domande o provocazioni, allora è meglio chiudersi: questo non è buono!

Invece il Signore viene mentre lo si annuncia. Questo ci insegnano le donne: Gesù si incontra testimoniandolo.

Ci sarà capitato di ricevere una notizia meravigliosa, come la nascita di un bambino. Allora, una delle prime cose che facciamo è condividere il lieto annuncio.

E, raccontandolo, lo ripetiamo anche a noi e in qualche modo lo facciamo rivivere ancor di più in noi.

Se questo succede per una bella notizia, di tutti i giorni o di giorni importanti, accade infinitamente di più per Gesù, che non è solo una bella notizia, ma è la vita.

Il dono
più bello

Ogni volta che lo annunciamo, non facendo propaganda — il cristiano annuncia, chi ha altri scopi fa proselitismo — il Signore viene incontro con rispetto e amore, come il dono più bello da condividere.

Gesù dimora di più in noi ogni volta che lo annunciamo.

C’era una città intera che aveva visto Gesù in croce e nonostante ciò le donne vanno in città ad annunciarlo vivo. Quando si incontra Gesù, nessun ostacolo può trattenerci.

Se invece teniamo per noi la gioia, forse è perché non lo abbiamo incontrato veramente.

Davanti all’esperienza delle donne ci chiediamo: quando è stata l’ultima volta che ho testimoniato Gesù? Oggi, che cosa faccio perché le persone che incontro ricevano la gioia del suo annuncio? E qualcuno può dire: questa persona è serena, è felice, è buona perché ha incontrato Gesù? Di noi, si può dire questo?

Venticinque
anni fa
l’accordo
di Belfast

Oggi ricorre il venticinquesimo anniversario del cosiddetto “Accordo del Venerdì Santo o di Belfast”, il quale ha messo fine alle violenze che, per decenni, avevano turbato l’Irlanda del Nord.

Prego il Dio della pace che quanto ottenuto in quel passaggio storico si possa consolidare a beneficio di tutti gli uomini e le donne dell’Isola d’Irlanda.

Sono riconoscente per le preghiere; Dio ricompensi ciascuno con i suoi doni!

Perseverare
nell’invocare
la pace
per l’Ucraina

Perseveriamo nell’invocare il dono della pace per tutto il mondo, specialmente per la cara e martoriata Ucraina.

(Regina caeli in piazza San Pietro)

Mercoledì 12

Paolo
testimone

Dopo aver visto lo slancio personale di San Paolo per il Vangelo, possiamo riflettere più approfonditamente sullo zelo evangelico così come lui lo descrive.

In forza della sua esperienza, Paolo non ignora il pericolo di uno zelo distorto, orientato in una direzione sbagliata.

In questo pericolo era caduto prima della caduta provvidenziale sulla via di Damasco.

Talvolta abbiamo una premura mal orientata, accanita nell’osservanza di norme puramente umane e obsolete per la comunità cristiana.

Non possiamo ignorare la sollecitudine con cui alcuni si dedicano a occupazioni sbagliate anche nella comunità cristiana; si può millantare un falso slancio evangelico mentre si stanno inseguendo la vanagloria o le proprie convinzioni o l’amore di sé stesso.

Armi per
la battaglia
spirituale

Quali sono le caratteristiche dello zelo evangelico secondo Paolo? abbiamo un elenco di “armi” che l’Apostolo indica per la battaglia spirituale.

Fra queste c’è la prontezza a propagare il Vangelo, tradotta da alcuni come “zelo” e indicata come una “calzatura”. Perché?

Come mai lo slancio per il Vangelo è collegato a ciò che si mette ai piedi? Questa metafora riprende un testo del profeta Isaia, che dice: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza».

Perché chi va ad annunciare si deve muovere, deve camminare!

Ma anche Paolo parla della calzatura come parte di un’armatura, secondo l’analogia dell’equipaggiamento di un soldato che va in battaglia.

Nei combattimenti era fondamentale avere stabilità di appoggio, per evitare le insidie del terreno, perché l’avversario disseminava di trappole il campo di battaglia, e per avere la forza necessaria per correre nella direzione giusta.

Lo zelo evangelico è l’appoggio su cui si basa l’annuncio, e gli annunciatori sono un po’ come i piedi del corpo di Cristo che è la Chiesa.

Non c’è annuncio senza movimento, senza “uscita”, senza iniziativa.

Questo vuol dire che non c’è cristiano se non in cammino. Non c’è annuncio senza movimento.

Non si annuncia il Vangelo da fermi, chiusi in un ufficio, alla scrivania o al computer facendo polemiche come “leoni da tastiera” e surrogando la creatività dell’annuncio con il copia-e-incolla di idee.

Il Vangelo si annuncia muovendosi, andando.

Il termine usato da Paolo, per indicare la calzatura di chi porta il Vangelo, è una parola greca che denota prontezza, preparazione, alacrità.

È il contrario della trasandatezza, incompatibile con l’amore.

Un annunciatore è pronto a partire, e sa che il Signore passa in modo sorprendente; deve quindi essere libero da schemi e predisposto a un’azione inaspettata e nuova: preparato per le sorprese.

Chi annuncia il Vangelo non può essere fossilizzato in gabbie di plausibilità o nel “si è sempre fatto così”, ma è pronto a seguire una sapienza che non è di questo mondo.

Ecco, è importante avere questa prontezza alla novità del Vangelo, questo atteggiamento che è uno slancio, un prendere l’iniziativa, un andare per primo.

È un non lasciarsi sfuggire le occasioni per promulgare l’annuncio del Vangelo di pace, quella pace che Cristo sa dare più e meglio di come la dà il mondo.

Per questo vi esorto a essere evangelizzatori che si muovono, senza paura, che vanno avanti, per portare la bellezza di Gesù, la novità che cambia tutto.

Domenica
della Divina
misericordia

La prossima domenica celebriamo la Misericordia di Dio. Il Signore mai smette di essere misericordioso: sempre ci accoglie, mai ci lascia da soli.

E perseveriamo nella preghiera per la martoriata Ucraina. Preghiamo per quanto soffre l’Ucraina.

(Udienza generale
in piazza San Pietro)